Gesuiti mancati

Armando Arturo Vendettuoli

I DUE GESUITI ...MANCATI

(in Narrazioni vol. 2, n. 1, marzo 2000, pp. 42-45)

Rientrato dagli USA (Fayetteville N.C.) insieme a mia madre, con la turbonave Raffaello, ritornammo ad abitare nella casa paterna Via S. Croce. Era iniziato l’anno scolastico 1965/66; mia madre, preoccupata per l’apprendimento scolastico, subito mi iscrisse alla scuola elementare “Orlando Martino”, dove ho trascorso cinque anni con gli insegnanti Marianna e Mario Fattore.

Del mitico professore Mario conservo i ricordi più belli del mio percorso elementare; era tanto bravo da farci credere che sotto la palestra, nella casetta adesso abbattuta, vivevano gli alligatori, che aspettavano gli allievi disubbidienti e quelli che non imparavano la lezione.

Un altro ricordo, indelebile, erano i compagni dell’ultimo banco - quindi i più alti della classe - ripetenti da molti anni - tali: Gennaro Cocozza, Gennaro Giardiello, Ninuccio Simone - tipici nel goffo grembiule nero, senza colletto bianco.

Un supplizio era l’ora di religione. Temibile era anche l’insegnante, don Carmine Moraca, curato dell’epoca, il quale metteva in ginocchio dietro la lavagna i più monelli; alla fine dell’ora, i puniti di turno, dovevano baciargli la mano. Non so come, ma mi legai fortemente a don Carmine, al punto che mi invitò a diventare un suo chierichetto per la gioia di mia madre cattolica praticante e sorella di un gesuita, di cui conservo il nome.

Quando iniziai a “servir messa” i miei predecessori, Alfonso De Simone di Raffaele e Nicandro Moscatiello, ora residenti in Svizzera, la combinavano di tutti i colori. I due erano le bestie nere del sacrestano Pasqualino Sbriglia, fedelissimo di don Carmine.

L’idea balzana di combinare qualche scherzo a don Carmine mi venne quando notai il colore del vino era simile a quello di alcuni distillanti. Toccava, quindi, procurarsi qualche mignon di Stock 84 o di Vecchia Romagna. Non ricordo come ne venni in possesso, ma quando ne ebbi uno tra le mani si creò automaticamente l’occasione al posto del vino versai nell’ampollina la bottiglietta mignon di Stock 84; poi con una scusa banale evitai anche di servir messa e mi nascosi dietro la porta centrale, al di fuori della Chiesa di S. Croce.

Attesi che don Carmine mischiasse nel calice il vino e l’acqua e quindi bevesse. Nell’atto del bere, per il sapore non usuale e forte, sbruffò tutto sull’altare tra lo stupore e la meravigli dei numerosi fedeli, che assistevano alla celebrazione della Santa Messa.

Per qualche giorno in paese non si parlò d’altro, forse giocarono anche dei numeri al lotto; poi si venne a sapere che a compiere lo scherzo ero stato io. Il primo rimprovero mi fu rivolto dalla sig.ra Giulia Mancini, detta da noi bambini due tuppi, per la particolare acconciatura dei suoi capelli. Quanto a don Carmine, con mio grande dispiacere, non mi volle più al suo fianco. E questa fu per me un’amara punizione, perché gli ero sinceramente affezionato.

A scuola, invece, compagno di tanti scherzi era mio cugino Domenico De Lellis, alias Mimmé, attuale gestore del “Circolo cacciatori”. Dopo lo scherzo a don Carmine mia madre, condizionata anche dal fratello gesuita, decise che era necessario non solo darmi una lezione ma anche togliermi da un ambiente, che col passare del tempo poteva offrirmi sempre di meno, così in famiglia, con l’impegno anche di mia zia, fu deciso di chiudermi in collegio. Per evitare, però, un impatto traumatico, fu stabilito di farmi trascorrere “le colonie” e poi di farmici rimanere definitivamente. Fu scelto l’Istituto S. Giuseppe di Castelgandolfo, residenza papale. Insieme a me venne Mimmé e Marco Loffredo, di Vairano Scalo, paese di origine di mia madre. L’obbiettivo finale era, comunque, di farci diventare preti, ed in particolare GESUITI, facendoci frequentare le scuole medie in convitto per poi passare agli studi classici. Ma le colonie durarono pochi giorni. Ricordo che io piangevo sempre e cercavo mia madre. A Mimmo, invece, non andava giù il cibo. Soprattutto, però, date le nostri abitudini radicate, non avevamo alcuna voglia di studiare.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l’udienza papale nel cortile della residenza dello stesso. L’intero collegio venne convocato in udienza speciale. Sua Santità Paolo VI, sotto il sole rovente del mese di giugno, fece un discorso, che durò circa un’oretta, tutto centrato sul nostro futuro di preti. Stremati, alla fine, scrosciarono gli applausi, ma all’improvviso si udì un fischio sordo, accentuato dall’eco del cortile.

Ad emettere il fischio era stato Mimmé. In risposta a tale .....saluto, inusuale per un Papa, ricevette un ceffone secco dietro la nuca da padre Coppetti, superiore dell’ordine dell’Istituto.

Il giorno appresso, nel primo pomeriggio, Felice De Lellis con la moglie Immacolata e mia madre vennero a ritirarci. E fu così che l’ordine dei Gesuiti perse .......due “illustri” raviscaninesi.