Piedimonte_18

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Cap. XVIII

IL MATESE ED IL SUO LAGO

(pp. 172-178)

IL MATESE – Scrisse il Petella che dire « Matese » è come dire Piedimonte.

La Regione del Matese

Infatti gran parte del suo nucleo centrale appartenne al nostro antico feudo, spartito, poi, tra i Casali che lo costituivano. L’intero gruppo – che ha una mole del circuito di 74 chilometri – è una agglomerazione di alte cime, che, addossate le une alle altre, racchiudono pianure e vallate, nonché boschi di faggio, acero ed elci.

La vetta più alta del gruppo è Monte Miletto (m 2050). Poi vengono le montagne: Tamburro (m 1984), Esule (m 1964), Gallinola (m 1922), Mutria (1822), Ianara (1574), Serra Porcareccia (m 1567), Cappello (m 1380), Pranzaturo (m 1362), Maio (m 1309), Raspato (m 1256), ecc.

MATESE: Campo dell’Arco

Si giunge in Matese da Piedimonte per una strada mulattiera, abbastanza comoda, lunga 11 chilometri, che si può percorrere in circa 5 ore a piedi od in quattro su cavalcatura. Essa passa per Castello d’Alife (m 476), per S. Gregorio d’Alife (m 750), e per il passo di Prete Morto (m 1072). Vi si giunge anche percorrendo la nuova Strada Interprovinciale n.° 76, carrozzabile in parte, che ora termina a S. Gregorio.

Il Matese – di una fisionomia tutta propria – ha la caratteristica di essere ora un bosco ed ora una selva; ora un piano ed ora un parco... È un paesaggio, insomma, variato, con viali e sentieri, ricco di acque e di caverne; ed ha nell’insieme, del bello e dell’orrido, del selvaggio e del pittoresco. Nella sua immensa estensione risaltano qua e là macchie di un verde cupo e prati fioriti, rocce striate di violetto e di rosa, e soffici tappeti di erbe aromatiche.

LA FLORA E LA FAUNA – La flora, nel suo stato selvaggio, è lussureggiante. Vi crescono il miosotis, la viola, la carlina, l’elefantide, il ribes, il lampone, la fragola, il trifoglio fibrine, la genziana acquatica, la poligola alpina, la menyantes trifoliata, il doronicum columnæ, la druba aixoides, il dente di leone (la famosa cicoria del Matese), il lino dal fiore giallo, il dauco cretico, la pimpinella, ecc., piante che, un tempo, furono studiate dagli insigni botanici: Domenico Cirillo, martire politico del 1799; Sante Cirillo; Macry, amico e corrispondente di Linneo; Guarnieri, Tenore e Gasparini.

Vi hanno il loro regno: l’assiolo, l’allodola, l’avvoltoio, lo sparviero, l’aquila imperiale, la quaglia, la pernice, la starna, l’anitra selvatica, la folaga, il piviere, la faina, la lepre, la volpe, il lupo, la martora, il caprio, il cinghiale, ecc.

GEOLOGIA – La massa centrale più elevata del gruppo è formata da calcare compatto a stratificazione poco inclinata, dell’epoca cretacea, e contiene, in certa quantità, fossili di varie specie, in particolar modo della famiglia degli ippuriti. La parte periferica, specie a sud, è formata di calcari dolomitici, pure cretacei, ma alquanto più antichi, e a nord, calcari eocenici, con nummoliti e scisti argillosi e calcare della medesima epoca. All’ingiro vi sono terreni terziari più recenti ed anche quaternari.

Il sottosuolo è ricco di giacimenti bauxitici con un banco regolare dello spessore costante di oltre due metri, e per una linea di circa 20 chilometri.

UN PANORAMA INCANTEVOLE – Dal Monte Miletto – ove la Sezione Napoletana del Club Alpino Italiano costruì, nel 1898, un rifugio intitolato a Beniamino Caso, che venne distrutto dalle folgori – si ammira il più bel panorama creato dalla natura e che alcuna fantasia saprebbe immaginare: si vedono di là le isole di Capri, Ischia, Procida e Ponza, Napoli ed il Vesuvio col suo pennacchio; poi: Roma, le montagne degli Abruzzi, la vasta pianura pugliese e l’Adriatico. Da questo, alle 3,30 di estate, si vede sorgere il sole allorquando il cielo è terso. Esso comincia a rischiarare le vette dei monti più alti ed i paesi che vi sono appollaiati, mentre quelli delle valli e del piano dormono in una profonda oscurità.

Giorno e notte in un tempo: sole che illumina e stelle che ancora brillano! Tutti i colori dell’alba si fondono e s’intonano di oro, di celeste e di ciola in una piacevole gamma ora netta ed ora sfumata nel vaporoso e rasato barbaglio di punti luminosi lontani e vicini.

MONTE MILETTO visto dal valico di Monte Raspato

Tra quei monti che alzano al cielo la loro cima quasi sempre coperta di neve; tra quelle valli solcate da cascatelle; tra quei folti cespugli e tra quelle verdi praterie, ove gli armenti vanno pascolando, sembra come trovarsi in piena Arcadia. E poiché nelle caverne le acque producono strani e sonori chiocchiolii, specie nelle ore notturne, si ha l’impressione come se, in quegli antri segreti, Geni Ninfe ed Oreadi danzassero e cantassero in un’orgia selvaggia. Così che mentre nel meriggio la silvestre natura risuona di canti e di strane armonie, rallegrando l’animo di chi vive in essa, il silenzio notturno, rotto dai rumori delle caverne e dall’eco delle vali, produce un vago sentimento di paura, e dà l’impressione come realmente in esse si ripetano le antiche favole della mitologia greca.

Tra le meravigliose caverne va annoverata quella di Campobraca. « Non vi si può entrare – dice il Trutta che la visitò – se non che carpone ed assai disagiatamente, per la bassezza dell’apertura, ma dopo un tiro di mano, comincia ad innalzarsi la volta, e quindi camminando più addentro, con la compagnia però di più fiaccole, si vedono, per dire così, gallerie, portici, basiliche, sale, cupule, sisti, teatri; di là scorre una fonte d’acqua gelida, di qua si aprono voragini profondissime, sotto le quali si sentono gorgogli e cadute d’acque, risposte replicate di echi e lontani e vicini... ».

Eppure non si è pensato finoggi a valorizzare a scopo turistico questa meravigliosa caverna.

MONTE MILETTO – Ruderi del rifugio

I Municipi di Piedimonte, Castello e S. Gregorio vi potrebbero provvedere con un’adeguata spesa, innanzi tutto ingrandendo l’accesso, poi corredando le lunghe gallerie d’illuminazione elettrica, e laddove necessario, di appositi passaggi e ponticelli pensili, per aversi così, sul Matese, una ripetizione, in minori proporzioni delle famose grotte di Postumia.

UNA PIETOSA LEGGENDA – E poiché tutto qui, in Matese, ha una storia od una leggenda – l’hanno la Valle dell’Inferno, la Valle Tancredi, l’Esule, ecc. – ci piace ripetere quella che riguarda quest’ultima montagna.

« C’era una volta – essa dice – una Principessa chiamata Jole ed un giovane chiamato Fosco: Jole e Fosco si amavano.

Le terre di Jole furono invase: ella ne affidò la difesa a Fosco; le schiere di Fosco vinsero, ma egli rimase morto sul campo. Allora Jole divise lo Stato fra parenti; poi fece caricare tutto il suo oro sopra una mula, l’argento su di un’altra e gli abiti su di una terza, e si avviò pei boschi seguita da un servo che conduceva gli animali.

La sera del primo giorno chiese un pò d’acqua ad un uomo d’un villaggio che traversava e gli regalò la mula carica d’argento; all’imbrunire dell’altro incontrò alcuni fanciulli che le offrirono delle frutta ed essa li ricambiò con la mula carica d’oro; ed il giorno appresso chiese ad una fanciulla, che vangava, la di lei tunica cilestrina, e la indossò invece del suo ricco abito, che donò a quella misera insieme alla terza mula: Si separò poi dal servo e tutta sola continuò il cammino... Finalmente si fermò in una vallata in cui non erano che pastori. Tutto il dì vagava d’intorno e non si cibava che di fragole e beveva l’acqua d’un ruscello. Ma il tempo delle fragole finì, il ruscello gelò, la neve coprì ogni cosa, ed un giorno non si vide più errare pel monte la fanciulla dalla veste cilestrina.

Quando incominciò il disgelo, di mezzo la neve apparve il suo bel corpo inanimato. Si seppe dappoi che quella meschina era una Principessa che esulò dal suo regno, e da lei quel monte venne chiamato Esule ».

IL LAGO MATESE – Di sotto questo monte si stende il Lago del Matese (m 1007-1012 massimo. Lat. 41,25; longit. 1°, 57 E, dal meridiano di Roma). Esso occupa il fondo di una conca denominata « Piano del Matese », che può considerarsi come il centro di tutto il gruppo, stendendosi dalle falde di Sprecavitelli a nord-ovest fino alla Macchia Strinata a sud-est, per una lunghezza di circa dieci chilometri.

Il Lago ha la forma allungata in direzione da ponente a levante. Lo specchio d’acqua è variabile secondo le stagioni: in quella estiva misura 4 chilometri di lunghezza, m. 900 di larghezza massima, m 560 di larghezza media, 9 chilometri di perimetro e circa 3 chilometri quadrati di superficie; sul finire dell’inverno misura circa 6 chilometri di lunghezza e 12 di circuito.

È alimentato dalle acque provenienti dalle alture circostanti e dalle sorgenti che vi sgorgano d’intorno. Notevoli sono le sorgenti presso la cascina di S. Maria e di Capo di Campo a levante e quella del Ritorto a ponente. Quest’ultima è temporanea, rimanendo in gran parte asciutta nell’estate.

Il lago non ha emissario visibile. Le sue acque si perdono parte in evaporazione, parte per infiltrazione perché il fondo non è tutto impermeabile, e parte in una voragine che si osserva ad est-sud-est, sotto il passo di Prete Morto.

Nella parte centrale, presso la riva settentrionale, sorge un isolotto denominato Monterone; altri sono sparsi qua e là, ma non vengono allo scoperto che nell’estate.

Le variazioni di livello avvengono due volte l’anno.

La parte più profonda del Lago è, in estate, di m 2,60 in inverno da 5 a 6. Nel marzo-aprile le acque decrescono e nell’agosto si ha un periodo di massima magra.

IL LAGO MATESE visto da Campo dell’Arco

LAGO MATESE

LAGO MATESE – una gita in barca

Il lago è scavato in calcari semi-cristallini del cretaceo; il suo fondo costante, quello cioè che rimane nel periodo di massima magra, è costituito da uno strato argilloso impermeabile, e le sponde, meno la meridionale che è calcarea, sono formate da detriti quaternari, provenienti dalle montagne e da terra vegetale (humus). Esso è lago carsico, e lo dimostrano la natura delle rocce in cui è scavata la conca, la mancanza di emissario superficiale, le oscillazioni di livello e la forma allungata che presenta.

Sebbene l’acqua non sia molto limpida, pure essa permette di distinguere chiaramente il fondo ricoperto di fitte erbe e di piante palustri. Il colore dell’acqua è di un giallastro-bruno, e la sua temperatura, nel luglio, è di C. 22° 5 alla superfice, e di C. 22° a due metri di profondità. Quella dell’aria è di C. 22°.

Il Lago gela ogni anno verso dicembre e forma una crosta di ghiaccio di notevole spessore; il disgelo comincia in marzo ed incerti inverni rigidi anche più tardi.

Va segnalata questa conca, chiusa com’è da alti monti, per la grande umidità dell’aria che vi stagna sopra: nella maggior parte dell’anno, specialmente d’estate e d’autunno, e quando non soffia vento, il Lago è ricoperto, al mattino, di un denso e spesso strato di nebbia, la quale non scompare che dopo un’ora dalla levata del sole.

I venti predominanti in questa conca sono il nord (borea) frequente, rigido e violento nella stagione invernale; il sud-est (scirocco) quasi sempre seguito da pioggia, ed il nord-ovest (maestro) conosciuto col nome di vento romano, che è regolare e spira sempre durante i giorni di tempo bello.

Mancano vere barche sul Lago, ma i pescatori vi rimediano usando tronchi di faggio scavati, simili a piroghe. Misurano circa due metri di lunghezza, sessanta centimetri di larghezza, e cinquanta di profondità. Usano altresì dei sandali della medesima forma delle piroghe con tavole di abete, e ciò per la necessità di doverli guidare con un sol remo per l’ingombro delle piante palustri. Soltanto di recente la Società Meridionale di Elettricità vi tiene due barche a vela.

Presso le rive del Lago sorgono sparpagliati pochi casolari, capanne di pastori, e capannoni in legno. Da pochi anni la stessa Società vi ha costruita una palazzina a due piani.

Questo Lago è per metà di proprietà del Comune di Piedimonte al quale pervenne per effetto delle leggi eversive, e per l’altra metà della Società Meridionale, avente causa da Casa Gaetani, come in altra parte abbiamo detto. Di recente è stato iscritto nell’elenco delle acque pubbliche.

Meraviglioso è desso nelle ore notturne quando i raggi lunari riflettendosi sulle onde increspate, danno allo specchio d’acqua l’aspetto di un ricamo intramato d’argento. Sembra, allora, che un incanto attanagli la vita delle cose lassù, ove in tempi remoti – a dirla con Orazio –

gl’inarati colli

solo e muto ascendea l’aprico raggio

di Febo e l’aurea luna.

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