intendo con questa visita adorarvi

15 – Terzo, intendo con questa Visita adorarvi in tutt’i luoghi della Terra, dove voi Sacramento ve ne state meno riverito, e più abbandonato.

La definizione dell’intenzione nel nostro Catechismo è data non solo con esattezza di terminologia e con buona scienza morale anche negli elementi costitutivi dell’atto e dettagliatamente. Mi piace riportarla per intero oltre che considerarla com’è con l’oggetto e le circostanze fonte della moralità degli atti umani, per spiegarmi quanto e come ci torni sopra sant’Alfonso e quale valore abbiano i termini dell’agire proposto da chi scrive la preghiera, i quali sono di una vastità di dimensioni immisurabili e superano ogni limite dell’umano volere: «Di fronte all'oggetto, l’intenzione si pone dalla parte del soggetto che agisce. Per il fatto che sta alla sorgente volontaria dell’azione e la determina attraverso il fine, l’intenzione è un elemento essenziale per la qualificazione morale dell’azione. Il fine è il termine primo dell’intenzione e designa lo scopo perseguito nell'azione. L’intenzione è un movimento della volontà verso il fine; riguarda il termine dell’agire. È l’orientamento al bene che ci si aspetta dall’azione intrapresa. Non si limita ad indirizzare le nostre singole azioni, ma può ordinare molteplici azioni verso un medesimo scopo; può orientare l’intera vita verso il fine ultimo. Per esempio, un servizio reso ha come scopo di aiutare il prossimo, ma, al tempo stesso, può essere ispirato dall'amore di Dio come fine ultimo di tutte le nostre azioni. Una medesima azione può anche essere ispirata da diverse intenzioni; così, per esempio, si può rendere un servizio per procurarsi un favore o per trarne motivo di vanto».

Quel che intende sant'Alfonso, la pienezza del fine, dietro di lui intendo pur io, piccolo piccolo, qui come in tutte le frasi che strutturano la preghiera. Io sono quel che sono davanti agli occhi di Dio, che la mia pochezza può trasformare nella grandiosità di un coro di angeli. È questa speranza che mi fa ancora più piccolo e mi dà la forza di osare tanta supplica. E la visita si riduce ad un incontro tra muti, mi piace vederti, immaginare il paradiso, avvertire magari il crepito della fiammella che galleggia ed arde sull’olio, ma, oltre uno stare insieme di corpi, è un colloquio silenzioso e segreto di anime che fila da tempo e tesse lo Spirito, servendosi per la misericordia divina delle mie stesse colpe.

È sempre, Dio, un inno di ringraziamento a te ogni visita all'altare del suo sacramento, ringraziamento di tutto, della vita, della capacità che mi dai di intendere e di amare, del desiderio di sognare, ancora di far progetti, di cantare col mare, stamattina un tantino imbronciato sotto il cielo stopposo di nuvole, ma che fa la musica nuova che accompagna il mio canto. Canto o lamento? Canto, sì, canto, Dio, e te ne ringrazio a capo chino, sprofondato nel mio essere nulla, ma nella mistica adorazione che i trasporta nel tuo infinito e mi fa gemere di consolazione. Ti adoro pur io in tutti i luoghi della terra dove stai sotto le specie eucaristiche.

Il de’ Liguori nella sua visione totalizzante, la quale in qualche modo può dirsi proprio dell’ascetica, comprende il tutto; ha detto tutte le ingiurie, tutti i nemici. Ora dice tutti i luoghi, li assomma per togliere ad essi l’individualità e quindi eliminare la categoria. L’ha fatto con il tempo, lo fa con lo spazio. Non ci sono più il tempo e lo spazio, tutto si riduce all’unità e diventa uno e possibile di colloquio con Dio, omnicomprensivo del mondo e della vita, il personale diventa tutto e s’india con l’inabissarsi nel vortice dello Spirito, che soffia dove vuole.

Questa figurazione, che è nello stesso tempo ascetica e mistica, la ritrovo in san Francesco d’Assisi che amo. La sua preghiera, sintetica, efficace, facile da imparare a memoria da tutti i suoi seguaci, anche i fratelli laici più incolti, coinvolge tutti i luoghi della terra ed è espressiva dell’intensità dell’adorazione: «Adoramus te, sanctissime Domine Jesu Christe, hic et ad omnes ecclesias tuas quae sunt in toto mundo, et benedicimus tibi, qua per sanctam crucem tuam redemisti mundum». In un commento diligente trovo considerazioni da tutti condivisibili. L’Adoramus te, in cui è facile rilevare una grande ricchezza concettuale, è evidentemente diretta alla persona di Cristo, alla realtà significata nel sacramento, alla quale i teologi del tempo rivolgevano d’altra parte una particolare attenzione. Nella prima parte la preghiera dell’Adoramus esprime l’atteggiamento dell’adorazione e della lode: due atteggiamenti classici della pietà eucaristica e, vorremmo dire, inscindibili. L’adorazione non si limita al luogo in cui il santo si trova, ma, superando l’idea di una presenza eucaristica localizzata, si allarga a tutte le chiese dove il sacramento è conservato. Lo sguardo si apre su un vasto orizzonte e prende le dimensioni dell’universo intero, come in un amoroso abbraccio dell’augusto mistero. Si noti l’invocazione «Signore Gesù Cristo» di chiara ispirazione liturgica.

In questo saluto sanfrancescano ci sono, dunque, come in quello di sant'Alfonso, tutti i luoghi della terra dove Cisto eucaristico è conservato. Purtroppo, Signore, sono ancora pochi questi luoghi, perché il messaggio evangelico non ancora è arrivato dovunque. Allora qui, tra le righe, io, piccolo piccolo, aggiungo sotto voce un intendimento apostolico. Fa, Signore, che sia predicato al più presto il tuo Vangelo in tutto il mondo, che tutti conoscano la tua parola di vita, che tutti riconoscano la signoria del tuo regno e tutti infine possano averti presente sotto le divine specie eucaristiche in ogni parte della terra. Questa parentesi relativa al mio sommesso intendimento missionario, la quale pura ha un empito totalizzante ed è una richiesta fervida, si chiude dicendo che, rispetto alla formulazione sanfrancescana, la preghiera di sant’Alfonso ha dei limiti, che sono posti perché attengono alla visione ascetica di chi sente e scrive la preghiera e quindi danno all’invocazione un valore preminentemente riparatorio. San Francesco canta una preghiera che è un inno a Gesù sacramentato dovunque si trovi; sant’Alfonso vuole supplire alle incurie degli uomini verso le sacre specie e prega per quelli che non lo fanno, chiedendo indirettamente perdono per i manchevoli.

Te ne stai sacramentato, Gesù, immobile nella tua essenza caritativa, prigioniero nel panis viatorum, a farti presente all’uomo sempre più pellegrino e forestiero in questa terra. Gerardo Majella, che nella sua bonomia tesseva colloqui comuni con te, raccontandoti la sua quotidianità, qualche volta rispondeva ai tuoi accenti che immaginava lo redarguissero: «Povero me? Povero te, che te ne stai là dentro, stretto nella custodia, in prigione, e non puoi prendere manco un po’ d’aria fresca!». Il fraticello laico alla sequela di sant'Alfonso si riferisce alla grandezza del tuo sacrificio. Quanto sei paziente, Signore, e aspetti, e non ti stanchi di essere solo. Sono lunghe le tue attese, Cristo sacramentato, i giorni sono secoli. Allora tu sei oggetto della pietà alfonsiana, che costituisce un capitolo importante e interessante della spiritualità liguorina. Gerardo, il fraticello, la praticava in tutta la sua semplicità ed evidenzia con gusto il valore sacrificale delle tue lunghe attese. Il pensiero va pure a Polo De Majo, il conosciuto pittore di Marcianise di quel tempo, il quale le sue opere cerca di improntare appunto alla spiritualità alfonsiana, di cui è fervido accolito.

Usa bene il verbo che classifica la posizione di Cristo eucaristico il vescovo di Sant'Agata dei Goti: ve ne state. Stare è rimanere immobile, fermarsi, cessare da un movimento. Ma la tua immobilità è apparente, Signore, perché è consumata dal dinamismo dell’amore che ti muove e muovi intorno a te, il popolo di Dio che all'eucaristia si aduna attorno, come la folla attorno alla montagna della predica delle beatitudini, o la calca da sfamare con i pochi pani e i pochi pesci, o la gente dalla quale ti allontani sulla barca per essere visto meglio e fare arrivare ben percepibile la tua voce. La tua solitudine della sosta apparente nelle specie eucaristiche è la spinta ad avviare e sviluppare il colloquio personale rigeneratore con chi ti viene a visitare.

Ma stare ha pure il senso di entrare, di essere contenuto, e tu stai negli accidenti del pane, che è mezzo di sostentamento ineliminabile della vita corporale dell’uomo, perché ne sei il nutrimento essenziale della vita spirituale. Anche qui per il santo che scrive è preminente il valore riparatorio e allora vengono posti allo stare dei limiti d’interesse e il pensiero fissa i luoghi delle negatività, l’irrispettosità e l’abbandono. È irriverente non salutare e onorare con rispetto, e pur io sono tra questi inadempienti. Quante chiese ho visitato per motivi turistici a destra e a manca, o per fatti culturali, o per attività di mestiere? Ho sostato, ho guardato, ho studiato, ma quante poche volte ho pensato di venire a salutarti nella tua cappella, almeno a vederti di sfuggita, a sentire i tuoi gemiti d’amore? Nelle chiese quante volte sono andato, anche molto lontano, a vedere un restauro finito o a seguire l’artista nel suo lavoro, e penso a Pietro Annigoni che affresca gli scomparti della cupola della basilica di Montecassino, e neppure un attimo mi son fermato da te?

Ma dove stai abbandonato è ancora peggio: sant'Alfonso ne soffre e ti adora per riparare a tanta incuria, alla negligenza degli uomini e alla loro inconsapevolezza del bene che perdono. I missionari portano l’eucaristia in lande desertiche, dove per la carità cristiana si cercano di migliorare le condizioni di vita degli indigeni. Ma quanti ti vengono a trovare, mio Signore abbandonato? E, quanto stai nelle chiesette di New York, di Chicago e delle metropoli americane e di tutto il mondo, a Ginza di Tokyo, in mezzo al cosmopolitismo, al consumismo, al globalismo, alla febbre del profitto che caratterizza quegli ambienti di progresso tanto spinto, chi pensa a te e viene a fermarsi un attimo, un attimo solo, da te? E mi salta in mente l’avanzamento tecnologico, commerciale e scientifico delle comunità riemergenti, come quella cinese o l’indiana, penso a Urumqi nella regione dello Xinjiang, la Denver cinese, per esempio, là dove pur qualche prete cattolico consacra e ti conserva sotto le specie eucaristiche, chi si cura di te, o mio Dio sacramentato?

Più la società va avanti, più l’attività produttiva e il traffico degli scambi aumentano, più il multinazionalismo si afferma, più aumenta la tua solitudine, più gli uomini ti abbandonano, completamente si scordano di te. Anzi, molti, moltissimi, e nelle terre estreme della povertà, percorse dai missionari, e nelle aree delle accelerazioni vertiginose dell’avanzamento tecnologico e dello sfarzo, non sanno che esisti, che li chiami, li attendi, li ami. La preghiera di sant'Alfonso è pregna di attualità e il desiderio suo di riparare a tanta stoltezza e trascuratezza pur in un mondo così progredito ma tanto diverso deve diventare nostro e tradursi in un impegno maggiore a invocare e a diffondere il regno di Dio.