Componenti francescane

COMPONENTI FRANCESCANE DELLA SPIRITUALITÀ DEL GAGLIONE

DI GAETANO ANDRISANI

 

 

Al termine spiritualità, nell'accezione di nostro interesse, si dà il senso di contenuto spirituale, ascetico, di una determinata religione o di una concezione religiosa; non ne siamo soddisfatti per la genericità della definizione, che è giusta e pertinente nel quadro di riferimento generale, ma non è analiticamente esplicativa della pregnanza della parola. Per spiritualità intendiamo noi la maniera di concepire e di vivere i propri rapporti con Dio Padre, con Gesù Cristo, con lo Spirito Santo, con se stesso, con i fratelli e con le cose circostanti. Quando al termine, come nel caso nostro, diamo una specificazione siffatta, sottolineiamo la peculiarità distintiva afferente.

Per spiritualità francescana, quindi, intendiamo il modo particolare di Francesco d'Assisi e dei suoi discendenti qualificati di concepire e di vivere i rapporti con Dio trinitario, con gli uomini, con se stesso e con la natura. Volessimo entrare nel significato più esteso della dicitura, dovremmo dire che esso implica la comprensione degli elementi fondamentali di ascetica, mistica, pietà, pedagogia e pastorale, differenziati appunto nella visione francescana, che ci preme nel presente saggio riferire a Giacomo Gaglione.

Non possiamo in questa sede, oltre tutto per ragioni di opportunità pratica, approfondire con un'analisi dettagliata ed esaustiva in che misura pienamente il messaggio evangelico venga inteso e vissuto da Giacomo Gaglione alla maniera di San Francesco; le indicazioni che diamo, però, costituiscono una traccia metodologica

di approccio al tema e danno le basi serie per lo studio severo da svolgere in merito. A fondamento di tutta la discussione poniamo i fatti, rilevati attraverso la documentazione esistente, cercando di sfrondare di ogni rimaneggiamento agiografico le narrazioni, costruite certamente sui dati e sulle testimonianze, ma talvolta arricchite di apporti personali derivati dalla tensione emotiva e dalla devozione.

La vicenda alla quale la Provvidenza si affida perché si sviluppi la vita cristiana di Giacomo Gaglione è l'andata del 1919 da padre Pio; l'incontro con il cappuccino costituisce anche il primo impatto diretto del giovane ammalato di Marcianise con il francescanesimo. Ci sono certamente stati conoscimenti di natura letteraria di San Francesco per via degli studi fatti, come ci sono stati riscontri con i francescani per la presenza del convento dei frati minori nel paese natio e per i rapporti di vita familiare intessuti con il mondo religioso locale; ma a San Giovanni Rotondo il Gaglione ha vivo quanto immediato un contatto folgorante, che gli trasforma non solo la vita dello spirito, ma anche quella della carne sofferente, diventata strumento di santificazione e di apostolato. Dio opera il miracolo servendosi del frate del conventino sperduto nel Gargano, martire pur egli nel corpo e alter Christus stigmatizzato come il Serafico d'Assisi.

 

 

1 - IL PRIMO INCONTRO CON PADRE PIO

 

L'anno 1919 può definirsi senz'ombra di errore l'anno di grazia per Giacomo Gaglione; ma lo è pure per padre Pio da Pietrelcina, che ha ricevuto il dono delle stimmate il 20 settembre 1918. E questa prova che il Signore dà al frate cappuccino a fare scalpore notevole nell'opinione pubblica, in ispecie negli ambiti meridionali italiani. Gaglione, che patisce enormemente nell'anima e nel corpo per la malattia che l'ha portato all'immobilità, legge nelle pagine del quotidiano «Il Mattino» la notizia delle sorprendenti vicende del francescano e decide di recarsi, per incontrarlo e in qualche modo parlargli della sua disavventura, a San Giovanni Rotondo, presso il conventino dov'è di stanza il religioso.

Padre Pio ha trentadue anni e Giacomino ventitrè. Una riflessione sull'età giovanile dei protagonisti è giovevole soprattutto a rimarcare il valore immenso della misericordia di Dio: lo Spirito del Signore aleggia e si posa, nell'iconografia sapiente dei secoli immacolata colomba radiosa di benedizioni, come vuole e dove vuole; ma pure è utile ad acconciarsi al meglio che si può sulle direttrici della volontà divina, la quale dispensa a ciascuno la croce che può sopportare e da essa predispone che si tragga buon profitto nel proprio itinerario di salvezza.

Il viaggio a San Giovanni Rotondo è assai difficoltoso per il malato, immobilizzato sulla sua barella. Si decide, comunque, di andare e non si frappongono indugi, sebbene turbino il pensiero di papà Gaglione i sicuri disagi di un percorso avventuroso; siamo nell'immediato dopoguerra, le risorse e le disponibilità sono ridotte al minimo, i collegamenti possono dirsi quasi inesistenti. Eppure, passano le sei ore di treno tra la folla, le quattro o cinque ore disteso su un divano nella stazione ferroviaria in attesa di un'automobile, le due ore legato in barella agli schienali della provvidenziale macchina che attraversa il Tavoliere. Fanno il viaggio con l'infermo i genitori, lo zio Nicola Gaglione con la moglie Maria, il fratello Giovanni, il medico di famiglia Antimo Farro, il seminarista Pasquale Busacca e la fidata fantesca di casa Raffaella Grimaldi. I sacrifici che si sopportano nella dura trasferta da Marcianise al Gargano sono sorretti dalla grande speranza che dentro si alimenta della guarigione.

L'incontro tra i due ha risultato immediato. Lo documentiamo con una testimonianza dello stesso ammalato, che è partito con la speranza di ottenere la salute del corpo. A padre Frezza, che viene nel 1926 a predicare a Marcianise il mese di maggio e gli fa visita, il Gaglione testualmente dice: «Vedere Padre Pio e dimenticare la ragione del mio viaggio a San Giovanni Rotondo fu tutt'uno».

«Da quanto sei infermo?».

«Sette anni al 20 ottobre».

«Speriamo che non finisca l'anno».

Il cappuccino ascolta la confessione di Giacomino e dopo lo guarda «con i suoi occhi tanto profondi e tanto belli». E gli sorride, scrive il confessato, «con un sorriso di bambino innocente che non ho dimenticato mai». Il Gaglione, però, non può ricevere Gesù ostia, perché ha bevuto poco tempo prima un sorso d'acqua. Fa la comunione tornando da San Giovanni Rotondo, e, raccontandone gli effetti, annota: «Mi sentii miracolato più che se fossi guarito». Le meraviglie del Signore sono queste.

E che deve dirsi della guarigione del corpo? Per sgomberare il campo, ne riferiamo subito. Il medico Farro aveva espresso a papà Valerio, prima di partire, i suoi timori con sano realismo: «Giacomino è così pieno di speranza; ma se non guarirà che sarà di lui? Che sarà di noi?». Le sorelle Gaglione, che non hanno potuto partecipare al viaggio, si danno da fare a «cambiare disposizione al mobilio di casa», a fare pulizie eccezionali, a lustrare tutto, tanto è forte la speranza della festa della guarigione del corpo. E tale speranza continua e si rafforza al ritorno del sofferente, per quella frase: «Speriamo che non finisca l'anno». Testimonia la sorella Nicolina: «Una sera noi eravamo in sala da pranzo, Giacomino a letto; udimmo chiamare padre Pio. Accorremmo, lo trovammo tutto giulivo; ci disse che al fianco del suo letto come in una grande fiamma aveva visto P. Pio che gli sorrideva. Era contento, noi ... ugualmente, ma aspettavamo la grazia».

Il valore autentico dell'incontro è tutto nella conversione che si realizza, miracolo in un coro di angeli che cantano la gloria di Dio, in interiore hominis; al suo amico Vicari, prefetto di Palermo, Gaglione dice: «P. Pio mi fece un'operazione chirurgica, mi levò una testa e me ne mise un'altra». Vasi di coccio fragili tutti e due, i giovani Pio e Giacomo sono attori di una delle infinite mirabilia del Signore sulla nostra terra, valle di desolazioni e di lacrime. Si aprono allo Spirito, e il dialogo si fa vita per tanti fratelli che soffrono.

La ricostruzione dell'incontro vien fatta rigorosamente sulle testimonianze nel processo cognizionale verbalizzate e sottoscritte. Tra queste, una, pur se ci obbliga ad una citazione un po' lunga, val la pena di ben considerare. «Ho appreso direttamente dal Gaglione che in lui avvenne un profondo cambiamento spirituale in seguito alla visita compiuta a P. Pio da Pietrelcina, residente, com'è noto, a San Giovanni Rotondo. Il cambiamento fu improvviso e totale in maniera tale che Giacomino, rientrato a Marcianise, si trovò completamente trasformato nello spirito, tanto da dire, nel raccontare l'episodio: Sono tornato con un 'altra testa. L'amico mai mi ha parlato del contenuto del primo colloquio avuto con P. Pio, di quelli che si succedettero negli anni; mi è rimasta impressa questa espressione che avrebbe detto il francescano: Giacomino, Giacomino, non avrai le gambe, ma un giorno sarai conosciuto in tutto il mondo. Riferendomi di queste parole che credo di aver riportato fedelmente, me ne chiariva il significato: P. Pio voleva fargli comprendere che moltissime persone avrebbero appreso da lui il modo per accettare cristianamente la sofferenza. Ciò lo diceva, e credo esclusivamente a me, per dissipare qualunque sospetto di vanagloria... Ora comprendo quella espressione dettami: Se il Signore mi facesse guarire, dimostrerebbe di non amarmi con preferenza ... Giacomino parlava con venerazione, ammirazione e commozione del santo cappuccino; posso anche testimoniare che fra i due vi erano dei rapporti soprannaturali: P. Pio si rendeva presente a Capodrise, non posso dire se visibilmente, ma certamente attraverso un intensissimo profumo, che io stesso distintamente ho sentito, mentre il Gaglione mi diceva: Sta giungendo P. Pio, non lo senti?». La citazione è tratta pari pari dalla lunga deposizione di Francesco Russo al processo.

Lo stesso Russo aggiunge che tra i due protagonisti «vi era una corrispondenza epistolare di cui non sono in grado di fornire particolari». Sullo smarrimento di una tanto preziosa documentazione già mi sono espresso, ed anche in termini duri. La sorella Nicolina dice testualmente nelle sue dichiarazioni ufficiali: «Dopo il 1919 fra Giacomino e Padre Pio vi fu una corrispondenza epistolare; in particolare, P. Pio scrisse a mio fratello una lunga lettera nel 1921 in occasione della morte di nostro padre».

Che materiale di indubbia validità anche storica, come la documentazione relativa ai rapporti epistolari fitti ed interessanti, sia andata persa nuoce alla ricerca obiettiva e certa su molti aspetti della personalità e dell'opera del Gaglione. Nel recente abbandono della casa di famiglia a Capodrise, acquistata dalle «Sorelle di Gesù Eucarestia e dei poveri», anche quando, da parte di chi dava una mano alla fatica del trasloco, si volgeva caloroso invito alla conservazione delle tante carte trovate, la decisione ferma era per la distruzione di tutto. In qualche modo ci consoliamo, considerando che simili atteggiamenti da parte dei familiari si ritrovano anche in altri casi eguali: faccio riferimento, per esempio, agli appunti di diario e di preghiera della madre carmelitana Colomba di Gesù Ostia del monastero di Marcianise, bruciati dalle sorelle di carne, pur esse monache della stessa clausura, dopo la morte della priora, della quale è in corso il processo di beatificazione su cui lavoro.

Ma più ancora ci acquieta il turbamento che ci procurano tali devastazioni, per una ragione o per l'altra volute dall'uomo, la riflessione sulla sorte che hanno pure gli scritti di Teresa di Lisieux, sui quali mettono le mani pur le sorelle di sangue, monache dello stesso carmelo[1], tanto che il lavoro di pubblicazione critica integrale dei manoscritti[2] e delle lettere può avere inizio solo quando madre Agnese, la sorella custode più gelosa e intraprendente delle carte della santa, muore nel 1951. Una digressione ci sale dall'anima doverosa: il richiamo alla gioia che ci procura la proclamazione a dottore della Chiesa della «piccola» carmelitana, la terza donna, dopo la grande Teresa di Avila e la fervida Caterina da Siena, nella serie dei «santi maestri», che, dopo i «santi padri», apportano illustrazione giovevole a nostra santa religione[3].          Leggi tutto.



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[1] Suor Maria del Sacro Cuore (Maria), Celina e madre Agnese di Gesù (Paolina).

[2] Cfr. Gianni Gennari, Ma c'è anche un caso teresiano, nel Dossier di «Jesus» (Milano, a. XIX, n. 9, settembre 1997, pp. 59-85) dal titolo Una storia d'amore. Mi pare utile rimandare alla fondamentale opera: J. F. Six, Thérèse de Lisieux par elle meme, Paris, Grasset-Desclée, 1997.

[3] Vogliamo pur noi associarci alla festa della proclamazione di Santa Teresa di Gesù Bambino a dottore della Chiesa. Lo facciamo, ricalcando la conclusione della Lettera a Teresa di Lisieux nel centenario della morte (1897-1997) di Carmelo Mezzasalma («Feeria», Firenze, a. VI, N. S., n. 11, giugno 1997, pp. 28-33): «Ormai, anche se atroci sofferenze ti riducono all'estremo delle forze, puoi sorridere di fronte alla morte. Ecco, allora, quel giovedì 30 settembre 1897, giorno in cui tu esali l'ultimo respiro mormorando: Mio Dio, vi amo! E il tuo volto era davvero molto bello. Così si chiude la tua storia sulla terra. Vissuta sconosciuta in un Carmelo di provincia, muori sconosciuta di tubercolosi e di Amore, secondo tutte le tue grandi aspirazioni. Avevi scritto a un missionario, il Padre Bellière: Non muoio, entro nella Vita. E tutto non era che agli inizi ... La Chiesa ti onorerà con un numero straordinario di titoli: Patrona delle missioni universali (1927), Patrona secondaria della Francia (1944), Protettrice della Russia (1932), del Messico (1929), dell'Azione Cattolica operaia (1929). Ed ora, forse, quando Dio vorrà e come vorrà, tu - una ragazza di ventiquattro anni! - sarai proclamata Dottore della Chiesa. Ma per noi, pellegrini della vita e ansiosi di conoscere il bel volto di Dio, tu sei semplicemente Teresa: una compagna di vita in Gesù, una sorella nelle nebbie del nostro vivere il silenzioso angelo custode di tutti i nostri ideali. Nessuno come te ha saputo farci toccare con mano ciò che Gesù aveva detto nella sua avventura terrena e continua ancora a dire nello splendore della sua Risurrezione: cosi come è, la nostra anima non tende a nulla. Senza il fuoco dell'amore misericordioso di Dio il suo moto sarebbe circolare non avrebbe una direzione, uno scopo. Perché trovi la direzione, occorre fissarla e rapirla nel fuoco di Gesù, come accadde al profeta Elia. In te si fa chiaro sempre di più che la creatura umana è la piccola aquila attratta dal fascino di Dio».