Gesù mio, io v'amo con tutto il cuore

16 – Gesù mio, io v’amo con tutto il cuore.

Un’altra volta si chiama in causa direttamente Cristo, ma questa volta solo con il nome proprio, in maniera più familiare, con maggiore confidenza, certamente con più fervore di cuore. Si rafforza altresì il senso di appartenenza reciproca: io son tuo e tu sei mio, e ci si porta su un piano mistico, che implica il senso completo della donazione. L’invocazione accorata esprime l’urgenza interiore e avvia la dichiarazione d’amore. Scava con più accanimento la colombella stamani nella sabbia, perché vi ha scorto briciole di pane; così il sentimento scava dentro per ritrovarvi il germe dello Spirito, il germe che vi ha messo lo Spirito, che è la carità divina, e, quando l’ha trovato, ne sente la forza, ne è preso e tutto si adopera per farlo crescere e sviluppare. Così chiama il de’ Liguori il suo Signore per aprirsi a lui e dirgli l’incanto che gli arde dentro.

Anch’io ti chiamo in causa, Dio, ma per altri versi, perché ho bisogno di aiuto, perché sto male, perché sento il peso schiacciante delle mie paure, le tante mie paure, perché pronunciare il tuo nome, Padre, Cristo, Spirito, mi rassicura; però, pure per ringraziarti di mantenermi in vita. Sento sì che mi tieni la mano sulla testa, e di questo ti ringrazio, ma ti chiamo non per empito d’amore. Anzi, talvolta ti metto in mezzo alla mia vita perché ho perduto l’amore, perché mi manca l’amore, perché non si corrisponde al mio amore, quando addirittura non ti offro incenso e ti voglio incontrare, ma per onorare l’altra e per averla, come Fedra, quella che vidi tradotta da Raboni, la quale mi ripete, come ho scritto altra volta, che la stagione che vivo ha i millenni del mistero dell’amore dell’uomo che son io. Vorrei che non fosse più e spero che la vecchiaia mi aiuti in questo, a sentire il tuo bisogno ed a chiamarti sempre, in ogni momento, e sempre a chiederti perdono per avere tanto osato con te e a ringraziarti per i doni, la sfilza dei doni che mi fai, da mane a sera.

Ora ti chiamo come Alfonso de’ Liguori e l’intenzione che ci metto è la sua, anche se so bene che la forza dell’invocazione non è quella, anzi è la debolezza del povero in via che cerca con affanno la porta stretta della salvezza e spera di passarvi. Per il santo è il modo più giusto per introdursi alla dichiarazione d’amore: amare Dio è il culmine dell’esistere dell’uomo. Mi pare giusto quanto opportuno seguire il ragionamento catechistico per comprendere il travaglio intellettuale di una vita. Se riconosco Dio eterno, immutabile, sempre eguale a se stesso, affermo con ciò anche la sua infinita veracità e sento l’obbligo di accogliere le sue parole e di aderire ai suoi comandi con la piena accettazione della sua autorità. Se è così, ne riconosco l’onnipotenza, la bontà, i benefici e di conseguenza ne ho illimitata fiducia e tanta speranza.

Se è l’infinità bontà e l’infinita carità, con non offrirgli tutta la mia dedizione e dargli tutto il mio amore? Il «v’amo» di sant'Alfonso è pure il mio, piccolo piccolo, ma questa volta vero, inzuppato di cattiverie, ma finalmente sincero. Te lo dico, Signore, perché cerco l’amore dell’anima mia, cerco te, che sei Gesù vivo e vero, e in te è il Padre, nella fede pura, quella fede che fa nato da te, mi fa vivere in te, e mi da te come fine ultimo del mio essere e del mio esistere. E nel cercarti mi sprofondo nella preghiera, che è silenzio, e non mi va di usare parole, anche se queste, come si dice nel Catechismo, sono ramoscelli che alimentano il fuoco dell’amore. Sto zitto e ti contemplo, mi appaga l’intimo rapporto di amicizia col quale mi trattengo ora spesso con te, da cui so di essere amato, io misero, miserrimo, tu abissalmente grande, o col cuore malato, senza sangue, tu col cuore sano infinitamente aperto alle mie miserie.

Questo colloquio di amicizia pure solo con te è possibile, perché nel mondo è difficile poterlo intessere, anche se chi vorresti per amico oggetto delle tue attenzioni ti è vicino, è sulla terrazza di fronte a prendere il sole e ad ascoltare musica con le cuffie sulle orecchie. Sono di certo illuminanti in merito le riflessioni che svolge Ratzinger nel suo Gesù di Nazaret, quando si riferisce di Mosè e si dice che la sua caratteristica antica ed essenziale è quella di aver comunicato con il Signore faccia a faccia. Come parla l’amico con l’amico, così egli aveva parlato con Dio. L’elemento decisivo della figura di Mosè non è costituito da tutti i prodigi che si narrano di lui, né da tutto ciò che ha fatto e ha sofferto nella via che l’ha condotto dalla condizione di schiavitù in Egitto, attraverso il deserto, fino alla soglia della Terra promessa. Il punto decisivo è che ha parlato con Dio come con un amico: solo da lì potevano venire le sue opere, solo da lì poteva venire la Legge che doveva indicare ad Israele la strada attraverso la storia. E, riportandosi a Gesù, ben a ragione l’attuale papa sostiene che il suo insegnamento non proviene da un appuntamento umano, qualunque possa essere. Viene dal contatto immediato con il Padre, dal dialogo faccia a facia, dalla visione di Colui che è nel seno del Padre. È parola del Figlio, la quale senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà. Così la valutarono i sapienti del tempo di Gesù, proprio perché non vollero accoglierne il fondamento interiore: il vedere e conoscere faccia a faccia.

Così io voglio vederti, o mio Signore, e mi basta vederti, ed essendo la conoscenza amore così voglio conoscerti e con il mio niente, nella preghiera silente, voglio dichiararti col de’ Liguori che t’amo e, sebbene in così tanta piccolezza, in questo parlarti voglio essere come tuo Figlio per comprendere il quale, come dice ancora Ratzinger, sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che egli si ritirava sul monte e lì pregava per notti intere, da solo a solo con te, Padre. Questi pochi accenni, osserva il papa d’oggi, diradano un po’ il velo del mistero, ci permettono di gettare uno sguardo dentro l’esistenza filiale di Gesù, di scorgere la fonte sorgiva delle sue azioni, del suo insegnamento e della sua sofferenza. Questo pregare di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte la coscienza e la volontà umane, l’anima umana di Gesù, di modo che la preghiera dell’uomo possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre.

La dichiarazione d’amore di Alfonso de’ Liguori è rafforzata dall'espressione esaustiva: con intero il cuore. Anche qui il santo usa tutto a specificare il pensiero; ma questa volta l’affermazione è scritturistica: Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio. Il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze. E, quando gli si pone la domanda: «Qual è il più grande comandamento della Legge?», Gesù, che l’ebraismo ha radicato nel cervello e nel sangue, risponde alla stessa maniera della sacra scrittura. L’amore è il primo dono, quello contiene tutti gli altri, ed è stato riversato da Dio nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato donato. Amare è vivere bene: le parole son nulla, se non si traducono in opere.

Lo dice sant'Agostino: vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà un amore totale che nessuna sventura può far vacillare, un amore che obbedisce a lui solo, che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere dall'astuzia e dalla menzogna. Con tutto il cuore, sì. Il cuore è la dimore dove sto, dove scendo, secondo la Bibbia. È il centro nascosto, irraggiungibile della mia ragione e da ogni altro; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo, come si scrive nel Catechismo. È il luogo della ricerca della decisione, della verità, dell’incontro, dell’alleanza nella povertà e nella fede.

Con questo cuore io ti prego, Signore mio; anzi questo cuore dono a te, fanne ciò che vuoi, con le sue brutture, con le sue sfilacciature. Nella pienezza di quel che è, comunque, ti faccio la mia dichiarazione d’amore. Si muove di più la fiammella della lampada ad olio, mentre te lo dico, commosso per tutto quanto concedi a me di gaudio spirituale in questo momento. Prenditelo tu, questo mio cuore, governalo secondo la volontà del Padre e continua ad amarmi, come amasti Lazzaro che resuscitasti. Tu sei tutto per me, tu sei l’amore.