Lava quod est sordidum

Lava quod est sordidum,

riga quod est aridum,

sana quod est saucium.


L'aderenza della sostanza e del ritmo dell'inno alla quotidianità dell'esistenza dell'uomo, e in questo senso potrei dire la sua popolarità, nonché la scorrevolezza incalzante della preghiera hanno determinato l'inserimento di esso come sequenza nella liturgia della celebrazione eucaristica della festa di pentecoste, dopo la lettura del passo appropriato degli Atti, da noi avanti già citato, e il versetto tratto dal salmo di lode a Dio creatore scritto da Davide, Ps. 103: «Emitte Spiritum tuum et creabuntur et renovabis faciem terrae».

La successione delle invocazioni, una dopo l'altra, ogni verso una, profila il quadro della condizione umana, aggancia al terrestre lo Spirito di Dio, lo inchioda alle necessità della creatura fatta dal Padre a sua immagine e somiglianza, ma fiaccata dal peccato d'origine, che il Figlio redime ma che rimane nella natura marchio della colpa immensa di avere abusato della libertà che Dio ci aveva donato togliendola a lui. È chiaro che tutte le immagini, verso dopo verso, sono ad adjuvandum me, povero in via, pellegrino e forestiero in questo mondo, bisognevole di tutto, ma soprattutto della pace interiore, che è un bene insieme per l'anima e per il corpo. E la richiesta si cala nel vivo della vita, dove c'è bisogno di aiuto, nel sordidum, nell'aridum, nel saucium. Si coinvolge lo Spirito nell'humanitas dolorante, lo si chiama a toccare i segni della terrestrità, lo si prega di toglierci la sofferenza, che dell'essere umano riempie l'esilio quaggiù e ne è il segno caratterizzante...