specialmente di avermi donato voi stesso

9 - specialmente di avermi donato voi stesso in questo Sacramento,

L'avverbio specialmente, in modo speciale, in special modo, ha il senso di soprattutto e particolarmente: penso che Alfonso de' Liguori l'abbia usato proprio nel suo senso più pieno che tutti gli altri compendia, questi e anche quelli di massimamente e segnatamente. La parola si riferisce al valore del dono: sopra ogni altra cosa, prima e più di tutto. Il concetto di dono, l'atto di dare ad altri una cosa, spontaneamente e senza compenso, implica sempre un valore a fronte del più popolare regalare; non è il dare, perché presuppone sempre il sottinteso della spontaneità, della liberalità, del sacrificio. Ma qui ancora c'è di più, perché c'è il significato della dedizione, dedicarsi, e della consacrazione, consacrarsi. Qui il dono è unico, di valore incalcolabile, mistico e reale nel mistero eccelso che racchiude: è Dio che si dona all'uomo. Il Cristo che si è immolato sulla croce, agnello sacrificale d'infinita potenza, la sua presenza in corpo, sangue, anima e divinità vuole che rimanga fino alla fine dei giorni, vuole che accompagni tutti gli uomini della terra nell'itinerario difficile del loro esilio doloroso.

Bastava l'incarnazione alla redenzione; però, il suo amore immenso lo ha portato al ludibrio della pena massima dei malfattori del tempo. Ma, amando l'uomo fino allo spasimo, e spasimo del Figlio di Dio, non l'ha voluto abbandonare e negli accidenti del pane, il cibo quotidiano nutrimento umano, nel cenacolo, a preparare la pasqua, la sua pasqua, ha riversato la sua sostanza divina e ha delegato ai suoi seguaci consacrati nel sacerdozio ministeriale il potere di rinnovare la transustanziazione per stare con l'uomo, a lui vicino, anzi per essere mangiato dall'uomo in una comunione redentiva d'indicibile valore. L'eucaristia, Gesù vivo e vero, in carne ed ossa, è, deve essere il centro della vita della Chiesa e di ogni fedele che della Chiesa fa il suo ovile provvido.

Tutti gli attributi che qualificano il dono nel sacramento delle sacre specie vengono esaltati al massimo possibile, la nobiltà, la sacralità, l'oblazione, il sacrificio, per cui la considerazione del mistero nella sua essenza filosofica e teologica e la verifica non solo concettuale, intellettiva, della sua non ripugnanza alla ragione sono di giovamento alla vita dell'uomo per le tensioni che creano ad un rapporto teandrico, se non di comunione, certamente di stupore. Lo Spirito Santo misteriosamente interagisce e l'eucaristia come donazione e atto d'amore entra dalla mente nel cuore e da commozioni di vita. Un accorto critico, riferendosi alla continua dichiarazione di ateismo di una scienziata, annota che la sua imperturbabile sicumera sfiora l'arroganza, la quale è tanto più irritante se si paragona agli abissi d'incredulità, la notte oscura di Giovanni della Croce o i dubbi atroci di Teresa di Calcutta, di chi col cuore vorrebbe credere il contrario: con il cuore, ribadisce il critico, perché la ragione, secondo lui, in un caso e nell'altro, non dimostra un bel nulla.

Un mio amico ateo, malato gravemente di cancro, ora morto, mi diceva, invece, che, entrando all'ora di pranzo, di ritorno a casa, nella chiesa sempre aperta dei frati francescani, lo sguardo fissava sulla porticina del tabernacolo con la fiammella ad olio sempre accesa, vi si sedeva accosto e lì, in quella penombra mistica e solitaria, trovava tanta pace che ogni dolore finiva e tale giovamento anche fisico gli durava un bel po' di tempo. L'eucaristia è il culmine delle mirabilia di Dio. Noi di certo non conosciamo le vie misteriose che nell'animo umano percorre Cristo vivo e vero, ma sappiamo che la presenza del Signore nel sacramento dell'altare è il più grande beneficio che abbia avuto l'umanità intera. Se il dono di se stesso è l'espressione di fatto massima dell'amore, quando questo dono è fatto da Dio stesso non esistono parole per misurarne e dichiararne il valore, per esaltarne meriti ed effetti, e l'amore che lo genera è lo Spirito Santo stesso, procedente tra Padre e Figlio, ma coinvolgente in pieno l'uomo nel vortice caritativo della creazione e della redenzione.

Una caratteristica che deve cogliersi in questa donazione di se stesso all'uomo da parte di Dio è l'umiltà: Dio per amore si riduce alle dimensioni dello spazio e del tempo, le categorie che sono le coordinate della condizione umana e, come se tanto non bastasse, si chiude nelle sacre specie per darmi tutta la sua disponibilità di fatto. E l'umiltà è tanta che nella sua presenza silente nel tabernacolo diventa attesa paziente e comprensiva. Dio aspetta che l'uomo si accorga di lui, desideroso com'è di farsi vicino a chi soffre e ha bisogno di aiuto. I palpiti di quella fiammella ad olio che arde mattina e sera, giorno e notte, talvolta malamente sostituita da una lampada elettrica, perché ad essa si tolgono per ignoranza i pregnanti riferimenti getsemanici, sono il segno vivo della sua presenza e del battito del suo cuore in attesa.

Alfonso de' Liguori nell'Introduzione per la visita del Ss. Sacramento, con la chiarezza che distingue ogni suo scritto e con la vigoria che gli da la carità che dentro gli urge, annota: «La Santa Fede insegna, e noi siamo obbligati a crederlo, che nell'Ostia consacrata vi sta realmente Gesù Cristo sotto le specie di pane. Ma bisogna che intendiamo insieme ch'Egli sta ivi su i nostri altari come in trono d'amore, e di misericordia, per dispensare grazie, e per dimostrare l'amore che ci porta, col voler dimorare di giorno e di notte così nascosto fra noi. Ben si sa che specialmente a questo fine la S. Chiesa ha voluto istituire la Festa del SS. Sacramento, con ottava solenne, e con tante solennità di processioni, e di esposizioni del Venerabile, che in quel tempo si praticano, acciocché gli uomini co' loro ossequi, ringraziamenti, ed affetti sieno grati a riconoscere ed onorare quest'amorosa presenza e dimora di Gesù Cristo nel Sacramento dell'altare».

A parte i segni esterni, quelli della liturgia, della tradizione e della devozione popolare, quello che conta è la sostanza del mistero. Colui che è diventato uomo si da a noi nel Sacramento, annota Ratzinger discutendo del pane quotidiano del «Padre nostro», e solo così la Parola eterna diventa veramente manna, il dono del pane futuro già oggi. Poi, però, il Signore unisce ancora una volta il tutto: questa estrema corporeizzazione è appunto la vera spiritualizzazione: è lo Spirito che da la vita, la carne non giova a nulla. Bisogna forse supporre che nella domanda del pane Gesù abbia escluso tutto ciò che si dice sul pane e che voleva darci come pane? Se prendiamo il messaggio di Gesù nella sua interezza, allora non si può cancellare la dimensione eucaristica nella quarta domanda del «Padre nostro». La domanda del pane quotidiano per tutti è essenziale proprio nella sua concretezza terrena. Altrettanto, però, essa ci aiuta anche a superare l'aspetto puramente materiale e a chiedere già ora la realtà del domani, il nuovo pane. E pregando oggi per la realtà del domani, veniamo esortati a vivere già ora del domani, dell'amore di Dio che ci chiama tutti alla responsabilità reciproca.

E subito dopo Benedetto XVI torna a dare la parola a Cipriano, che riferisce il possessivo «nostro» anche all'eucaristia, che in un senso particolare è pane nostro, pane dei discepoli di Gesù Cristo. Noi, che possiamo ricevere l'eucaristia come il nostro pane, dobbiamo tuttavia sempre pregare affinché nessuno sia tagliato fuori, separato dal corpo di Cristo. Per questo preghiamo, affinché il nostro pane, cioè Cristo, ci sia dato quotidianamente, affinché noi che viviamo e rimaniamo in Cristo non ci allontaniamo dalla sua forza santificante e dal suo corpo.

Il valore di comunione messo in evidenza dalla necessità di pregare affinché nessuno venga tagliato fuori è un altro aspetto sostanziale del sacramento dei sacramenti, per il cui dono con Alfonso de' Liguori dobbiamo ringraziare Dio, ma dal profondo del cuore, a nome di tutti gli uomini della storia. Il Figlio dona se stesso a noi ogni giorno, sempre, in un atto di amore infinito per la nostra salvezza e per la salvezza degli altri. Dio è amore e l'amore è il primo dono, quello che contiene tutti gli altri, si chiarisce nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Questo amore, Dio l'ha riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato. Egli ci da la caparra, e le primizie della nostra eredità, la vita stessa della santissima Trinità, che consiste nell'amare come egli ci ha amati. Questo amore è il principio della vita nuova in Cristo, resa possibile proprio dal fatto che abbiamo forza dallo Spirito Santo.

In questo circuito noi siamo inseriti, noi che possiamo ricevere l'eucaristia come il nostro pane e che siamo chiamati a pregare. Il sacramento è allora la via per vivere in noi la Trinità, per immerger­ci nel mistero, e anche qui è Cristo Gesù ad esserci via: il mistero dell'uomo trova luce, vera luce, solo nel mistero del Verbo incarnato. Allora con l'antica preghiera della Chiesa diciamo: O sacrum convivium in quo Christus sumitur, recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur. È Cristo stesso che offre il sacrificio eucaristico, ed è Cristo stesso, realmente presente nelle specie consacrate del pane e del vino, l'offerta del sacrificio eucaristico.

Ringraziamo Dio per il dono che ci fa di se stesso, ma l'eucaristia stessa è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una benedizione con la quale la Chiesa esprime, come si attesta nel Catechismo, la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la creazione, la redenzione e la santificazione. Eucaristia significa prima di tutto azione di grazie. Queste opere di Dio, la creazione, la redenzione e la santificazione, sono proclamate, specie dalle benedizioni della tradizione ebraica, durante il pasto, allo spezzare del pane. Che tu ti sia donato a me, Signore, ti ringrazio, e questo ringraziamento sia preghiera viva affinché tu stesso mi aiuti ad essere servo fedele della tua signoria, che liberamente ho scelto e che sento gioiosa caparra del tuo regno celeste. Sia preghiera fervida affinché la tua signoria possano sentire giogo soave tutti gli uomini della terra. Pange, lingua, gloriosi / corporis mysterium, / sanguinisque pretiosi, / quem in mundi pretium, / fructus ventris generosi / rex effudit gentium.

Dei dieci lebbrosi che ti vengono incontro quando, nel tuo itinerario verso Gerusalemme attraversando la Samaria e la Galilea, entri in un villaggio e tu li guarisci, io non sono, non voglio essere uno dei nove che non vengono a dirti la loro riconoscenza. Io corro a ringraziarti, lodo Dio a gran voce e mi getto ai tuoi piedi. Voglio essere lo straniero che torna e rende gloria a Dio, non uno dei nove per cui ti poni la raccapricciante domanda severa. Mi aspetto con fiducia, pur se non me lo merito, che tu mi dica: «Alzati e va': la tua fede ti salva».