Caiazza_il castello di Sant'Angelo d'Alife

Domenico Caiazza

AGER ALIFANUS

FORTIFICAZIONI PREROMANE E MEDIEVALI DEL CASTELLO DI S. ANGELO D’ALIFE – NOTE PRELIMINARI

(in S. Angelo di Ravecanina – Un insediamento medievale nel Sannio Alifano, a cura di L. Di Cosmo, 2001, pp. 13-63)

L’INSEDIAMENTO MEDIEVALE

Il Mastio

Sulla cima del colle sorge una torre quasi quadrata, con lieve, ma abbastanza alta, scarpa al piede. È realizzata con muratura calcarea per lo più di scapoli irregolari di piccolo e medie dimensioni, con inzeppature di tegoloni o mattoni, che talvolta costituiscono anche un esiguo corso.

È il mastio che, ridotto già quasi alla rovina totale, fu oggetto degli interventi del Martone dal 1965 in poi. Le condizioni precedenti risultano da qualche fotografia, in particolare una che documenta i lati orientale e settentrionale. Il primo appare conservato quasi completamente e sulla parete si leggono nella fotografia due strisce più scure, una specie di marcapiano, oggi meno visibili.

La parete nord nella fotografia è incisa da un crollo nell’angolo e priva del muro in alto, difatti oggi il muro nord del secondo piano è di spessore più esiguo, realizzato dal Martone in blocchi di tufo all’interno, mentre all’esterno il paramento è stato rifatto con pietrame di recupero.

Nella foto appare il vano della porta del primo piano. Ai suoi piedi è una vistosa erosione del paramento della parete nord. Il Martone provvide a risarcirla e a chiudere una breccia sita ai piedi dell’angolo NE evidentemente aperta per attingere acqua alla cisterna o meglio per trasformarla in ricovero per animali.

Nella fotografia compare anche, in fondo a destra, una specie di pilastro, chiaramente il cantone di SO. A sinistra dello stesso è uno squarcio che il Martone ci assicura essere stato prodotto da una cannonata nel ’43. Più o meno questo cantone è alto quanto la parete est.

Altri dati ci vengono dalle descrizioni del restauratore.

Questi, che aveva iniziato a studiare il dongione ben prima delle distruzioni dell’ottobre del 1943, e che seguì la sarcitura delle vaste brecce e la ricostruzione, individuò gli strati di muratura sovrapposti ed affiancati, ma anziché descriverli espressamente espone direttamente le conclusioni che ne trasse.

Egli parla di una prima fase con una torre a pareti perpendicolari sopraelevata da impalcato ligneo:

Originariamente furono costruiti in muratura di pietrame due vani terranei comunicanti di m 6,80 x 2,50 e 6,80 x 2,30, dimensioni interne, e di circa m 4 di altezza; ad essi si accedeva dal soffitto mediante una botola; tale configurazione e l’impossibilità di abitare locali cosifatti e così piccoli fanno pensare che il conte dovesse avere a disposizione una sovrapposta torre in legno.

Su punto non sappiamo se egli abbia individuato segni obiettivi: ad esempio uno strato di copertura che definiva la sommità della muratura e/o le buche qui lasciate dalle travature verticali dell’impalcato o se invece si sia rifatto a notizie più generali sulla prima fase delle torri normanne, applicandole alla nostra torre.

Il Martone parla poi di una seconda fase costruttiva:

In un secondo tempo si elevò la muratura sino all’altezza di m 11; uno dei vani terranei fu trasformato in cisterna, l’altro in terrapieno; sulla cisterna furono costruite due piccole crociere unite da una volte a botte; nel primo piano, all’altezza di sei metri, si apriva una porta d’ingresso cui si accedeva certamente con un ponte levatoio, in comunicazione con la terrazza sopra il secondo piano del fabbricato prospiciente; nel primo piano si ricavano due vani, rispettivamente di m 7 x 2,30, ricoperti da volte a botte: dette volte distrutte dai bombardamenti del 1943 ed anche quelle della cisterna, erano di tendenza ogivale. In alto per le considerazioni già fatte dovevano esserci altri piani in legno.

Vi è nella interpretazione qualche evidente ingenuità: i due vani terranei, espressamente definiti dal Martone inabitabili, ed accessibili solo tramite botole, sono nati evidentemente come cisterne dall’origine.

Per motivi che ci sfuggono (forse la cisterna perdeva o si era irrimediabilmente inquinata o magari a seguito di un crollo, o perché si temeva un cannoneggiamento dalla collina ad ovest) il vano occidentale fu poi riempito e la riserva d’acqua ridotta a quella del vano orientale. Non è chiaro poi come conciliare la prima descrizione delle volte della cisterna (due piccole crociere unite da una volte a botte) con la seconda (volte a botte di tendenza ogivale).

Chiara è invece la descrizione della terza fase:

In un terzo tempo, le mura furono rinforzate con forti scarpate in muratura di pietra calcarea, più irregolare della primitiva, fino all’altezza di m 7, sulle quali si appoggiava un contromuro esterno di m 0,50 di spessore. Con tali aggiunta i muri perimetrali, all’altezza di m 14,40, ossia all’altezza del pavimento del 3 piano, ebbero uno spessore di m 1,40.

Non vi è motivo di dubitare di tali affermazioni perché il Martone poté osservare su tutti i lati, e grazie ai crolli, le sezioni di muratura. Inoltre l’aggiunta della scarpa incongrua per un maniero normanno, e la rifoderatura, funzionale ad un innalzamento e, presumibilmente, ad un coronamento sporgente per difesa piombante, debbono essere un ammodernamento di età angioina.

Il Martone riferisce che da due documenti iconografici, da sue misurazione del 1919, e da dichiarazione di anziani non si ha notizia di costruzioni più alte del detto pavimento del terzo piano. Ma dalla misura dei calcinacci caduti attorno alla torre e nell’interno di essa, si è potuto calcolare il volume della muratura crollata e, considerando lo spessore terminale dei muri in m 0,80 uguale a quello terminale dei recinti non crollati, e considerando le riseghe di m 0,15 per piano esistenti nella torre, si può arrivare alla conclusione che essa doveva essere composta da una cisterna e da un terrapieno al piano terraneo, fino all’altezza di m 6,50; da due ambienti coperti da volte al primo piano, dell’altezza di m 4,60 e delle dimensioni di m 6,90 x 2,50 e m 6,90 x 2,30 (in quest’ultima esisteva la porta col ponte levatoio) e di cinque locali sovrapposti di m 3,30 cadauno e rispettivamente delle dimensioni di m 5,80 x 7,20; 6,10 x 7,50; 6,40 x 7,80; 6,70 x 8,10; 7 x 8,40 e certamente divisi da tramezzi in legno.

Sopra ci doveva essere una terrazza, probabilmente con parapetto merlato e ricoperto da un tetto di tegole.

I solai dal 3° al 5° piano, e rispettivamente pavimenti, ed anche quelli sopra le volte, dovevano esser di legno, perché mancano le impronte dei lastrici sulle mura perimetrali esistenti; il solaio sotto la terrazza, in legno, doveva sostenere un lastrico in calcestruzzo di cocciopisto perché se ne trovano i frammenti. Cosicché il maschio, tutto in muratura dopo la terza modificazione, raggiungeva la imponente altezza di circa trenta metri. Si accedeva ai piani superiori ed alla terrazza per mezzo di scalandroni di legno.

Naturalmente le considerazioni del Martone, seppure logiche, vanno accolte con prudenza, tuttavia una notevole altezza della torre è compatibile sia con il rilevante spessore delle murature, sia con la necessità di ricavare quanti più vani per ricovero di persone e derrate, sia per la comparazione con altre torri normanne (Marino in c.s.) e con le alte torri angioine, quali ad esempio quelle di Castelnuovo o di Maddaloni.

D’altro canto la torre mastia di Alife, oggi scomparsa, ai primi del XX secolo era ancora alta 17 metri fuori terra, nonostante avesse subito crolli (Caiazza in c.s.).

Si può aggiungere che il palazzo sito a nord della torre, doveva essere alto almeno 10-12 metri, pari ad un piano terra o seminterrato e due piani superiori, data la ristretta superficie e l’utilità di sfruttare l’altezza per la difesa.

Non è infatti scontato che il ponte levatoio della torre poggiasse sul terrazzo ed è anzi più probabile che raggiungesse un balcone a 1° o 2° piano del palazzo.

Ne consegue che la torre doveva sovrastare di parecchio il palazzo per cooperare alla difesa verso nord e, d’altro canto, nelle pareti superstiti del mastio si nota solo qualche feritoia il che lascia pensare che più cospicuo numero ve ne fosse nei piani sovrastanti.

Oggi al primo piano si leggono solo due saettiere nella parete sud, mentre il vano sopra la porta, oggi cieco, doveva servire anche per la fune che sollevava il ponte levatoio.

Al secondo piano le aperture sono probabilmente ricostruite in buona parte, se non in tutto, dal Martone. Certo le due lunghe feritoie della parete sud, che non appaiono sulla fotografia anteriore al restauro, furono da lui create per tirare su la scala lignea mobile che aveva installato per accedere al primo piano.

Egli trovò probabilmente i fori circolari nelle nicchie sulle pareti est e sud e si limitò a munirle di chiusure lignee. Si tratta di feritoie per spingarde o archibugi, come i sottostanti fori circolari, contorniati da mattoni, che si leggono pià o meno a livello di pavimento, sulle pareti est e ovest. Oggi questi non passano all’interno ma deve opinarsi che si tratti di archibugiere poiché certo sono inadatte ad archi o balestre né può trattarsi di scarichi, visto che siamo al coperto e che un canale di scarico, una latrina, è nella feritoia presso l’angolo SO del secondo piano. È evidente che si tratta di innovazioni o trasformazioni di precedenti saettiere. Esse dimostrano che il secondo piano era adibito a residenza e guardia.

Da notare la copertura a V rovescia di questi vani ricavati nello spessore delle mura per consentire ai difensori di avvicinarsi al filo esterno delle mura e tirare. È un sistema di soglia raro, poiché di solito è impiegato l’architrave monolitico, o la piattabanda o l’arco in muratura, e non sembra dovuto ad invenzione del Martone poiché lo stesso sistema si ritrova nella saetteria del muro della rocca, nella piccola torre ad ovest del muro di cinta e, probabilmente, nella torre di SO del castello di Alife.

Terrazzo di copertura e merli che oggi si vedono sono pertinenti alla ricostruzione degli anni 60 dello scorso secolo, come pure il camino, che preso probabilmente il posto di una feritoia o finestrella.

Resta da aggiungere che ai piedi della torre si leggono due corti muri ortogonali, uno ad ovest, altro a sud, dei quali non è chiara la funzione che potrà essere rivelata dallo scavo.

Ai piedi della parete est è un altro muro parallelo. Qui la scarpa del mastio si assottiglia verso l’angolo NE ed è probabile che la stessa fosse crollata già in antico e non ricostruita e che il Martone si sia limitato a rifare il paramento. Ai piedi si nota la base dell’originario muro di scarpa.

Probabilmente su tutti i lati, ma certo sul lato est, il piede della torre è più basso del livello attuale, infatti non si vede il punto di contatto tra la rocca affiorante e muratura mentre nel lato esterno della cortina parallela al lato orientale della torre si nota una posterula tompagnata, sita a livello inferiore dell’attuale piano di calpestio, attorno alla torre. A qualche metro di distanza, dopo l’angolo, sul muro che affaccia a sud è un’altra porta murata, larga un paio di metri. Anche qui solo lo scavo consentirà di sciogliere i dubbi, ma appare probabile che si tratti dell’accesso principale al cortiletto sito tra la torre ed il palazzo a nord della stessa.

Il Palazzo dei Conti

Nell’interno della rocca, a nord della torre sono poi i resti di un edificio appoggiato alla cortina ovest.

L’edificio era a pianta rettangolare, articolata su due vani paralleli e non si notano accessi o finestre sulla parete nord, oggi in parte ancora in piedi, e questo fa pensare che più in alto vi fossero saettiere e merli a dominio del sottostante cortile cintato nel quale erano la chiesa ed altri edifici. A quanto può notarsi doveva trattarsi di una semplice costruzione rettangolare, alta un paio di piani. L’edificio fu poi raddoppiato da altro sito ad est, innestato a quello descritto con angolazione leggermente diversa. Si tratta di un’altra sala rettangolare.

Poiché si impostava ad un livello più basso si conserva oggi un locale interrato sui lati sud, ovest e nord e dotato di vano di accesso, probabilmente non antico sulla parete est. Conserva tracce di una apertura tompagnata a sud e di un pennacchio di volta nell’angolo NO, finemente intonacato. Per queste caratteristiche e per l’assenza di tracce di intonaco a cocciopesto non sembra si tratti di una cisterna.

Sul vertice NE di questo edificio fu poi aggiunta una torre quadrata, vuota, per poter effettuare difesa fiancheggiante sui due lati scoperti del palazzo comitale: quello settentrionale e quello orientale.

Seguiva la cortina orientale sulla quale sono evidente le tracce di aggiunte o ricostruzioni, sino ai resti di una altra torre poco sporgente, meno conservata, sita sul vertice SE dell’edificio ed a cavalcioni della cortina esterna della rocca.

Salvo quanto potrà risultare dagli scavi, da migliore analisi delle fasi costruttive e da puntuale rilievo, pare possibile ipotizzare che in origine il solo doppio ambiente rettangolare ad ovest costituisse il palazzo. E forse allo stesso si appoggiava anche la cortina orientale della rocca. Poi fu aggiunto il vano ad est, con volta gotica, successivamente rafforzato con la torre quadrata, probabilmente pertinente all’intervento federiciano. Non sappiamo se un altro l’edificio rettangolare, appoggiato sempre sulla cortina ovest, del quale si coglie un angolo presso il campaniletto costruito dal Martone raggiungesse il vano rettangolare, descritto per primo, ma è probabile.

La Rocca

Attorno al dongione corre un perimetro difensivo costituito da un muro verticale, semplice, senza scarpa, torri, piegature o angoli, che ingloba il palazzo fortificato dal quale si accedeva alla torre. La cortina muraria scende in basso verso NE per poi piegare e risalire verso la torre mastia e costituisce una rocca.

Ad ovest, sud ed est le pareti della torre mastia sono contornate e strette da un muro di controtorre verticale, senza scarpa, ad esse parallelo ma curvilineo negli angoli, notevolmente alto – circa 7 metri – rispetto alla pendice esterna. Il muro fu rialzato chiudendo i varchi tra i merli preesistenti. Conserva alte saettiere verticali per arco, una delle quali oggi tompagnata, che certo non poteva essere utilizzata dall’attuale livello di calpestio. Deve perciò pensarsi che vi fosse un camminamento, probabilmente in legno, sul quale si schieravano i difensori dietro i merli.

Il livello attuale di calpestio, come già detto, non deve essere quello originario poiché sulla parete est del muro perimetrale alla torre si nota una posterula o arciera tompagnata e un andamento obliquo della muratura, poi sopraelevata, potrebbe accennare al parapetto di una scala che saliva dalla porta verso nord. Naturalmente solo lo scavo potrà chiarire se vi era questa scala, ma l’esistenza dell’apertura sembra certa ed è probabile che la stessa sia stata chiusa contemporaneamente ad altra sita a qualche metro di distanza ed a quella presso la torre cappella della quale diremo.

Il muro di controtorre, dopo aver circondato il dongione su tre lati ad ovest si raddrizza e corre verso il basso.

All’esterno si nota che poggia sulla roccia affiorante e che è stato rifoderato. Evidente è il punto di giunzione nel quale il muro di fodera proveniente da est e quello proveniente da ovest si incontrano senza legarsi. Poiché il paramento che viene da monte appoggia sull’altro è evidente che la muratura di fodera fu realizzata procedendo verso il basso, in direzione della porta inferiore, e poi risalendo verso la torre sino a raggiungere il punto di partenza.

Dopo un tratto il muro abbandona l’andamento rettilineo ed inizia a piegare morbidamente verso est, oltrepassa la porta che oggi dà l’accesso alla rocca e raggiunge più in basso prima una porta antica murata e poi una torretta semicircolare.

Una guancia della porta conserva tracce di intonaco e di un muro ortogonale alla cortina, probabilmente residuo di una torre che sormontava la porta.

Questa torre dovette essere abbattuta per realizzare in sua vece la torretta semicircolare, appoggiata all’esterno della cortina.

All’interno della torre è stata ricavata un’abside definita da un arco realizzato con pietra da taglio di origine sedimentaria che reca tracce di affreschi di fine XII o inizi XIII secolo effigianti, su precedenti affreschi, due santi. Questi se, come è probabile siamo della chiesa di S. Maria a Castello, con buona pace del Martone (che vuole si tratti di S. Lucia ed ha introdotto il culto di questa santa, ma non dice dove tragga la notizia dell’intitolazione) dovevano fiancheggiare un’immagine della Vergine.

Tornando a seguire il muro all’esterno è da dire che oltre la torre il muro continua per qualche metro, poi svolta con un angolo rifatto e corre verso sud. Questo tratto è stato ricostruito dal Martone, poiché dalla muratura e da fotografie preesistenti si ricava che qui il muro era crollato e si era ripristinato il pendio naturale. Ma è da credere che lo studioso abbia seguito la residua traccia della fondazione del muro crollato, e comunque l’andamento è condizionato da un lato dalla cappellina dall’altro dal raccordo al muro superstite e dunque praticamente obbligato.

Dopo un tratto lineare il muro prima curva come per risalire verso il mastio, poi dopo qualche metro si innesta ad un’alta cortina.

Ciò induce a pensare che il muro, in origine, con percorso simmetrico a quello del muro ovest doveva correre sino a saldarsi direttamente con l’estremo del muro curvilineo che fascia la torre.

Poi, la parte che si avvicinava alla torre fu abbattuta per cause belliche o naturali o forse quando fu costruito l’edificio fortificato sito a nord-est del mastio.

In ultima ipotesi può essere stato distrutto quando in questa zona fu effettuato un ampliamento che modificò nelle forme attuali il perimetro sud orientale della rocca. Infatti basta uno sguardo alla pianta per notare che, mentre il muro attorno e ad ovest della torre mastia ha andamento morbido, senza angoli netti e senza torri, ad est della torre è un organismo edilizio articolato su cortine ortogonali, con una torre quadrata nel vertice sud est e la semitorre della cappella su quello nord est.

La rocca attorno alla torre consta, dunque di due strutture collegate ma disomogenee per concezione ed esecuzione.

Infatti il muro curvilineo ovest e la sua prima prosecuzione oltre la cappella non trova facili confronti e sembra, ictu oculi, la trasformazione in muratura di una originaria palizzata, condotta in modo sommario a cingere la torre ed una porzione di spazio attorno, la bassa corte, sul modello normanno di motte and bailey.

Invece il complesso orientale ricorda, anche per l’imponenza, evoluti impianti “a cassero” organicamente disegnati con torri angolari a guardia di brevi cortine rettilinee ed è con ogni evidenza un innesto successivo.

L’originario impianto curvilineo aveva due accessi, quello superiore presso la torre ed altro a quota inferiore a fianco della cappella. Poi quest’ultimo fu chiuso a fil di muro e all’interno ricoperto da notevole riporto di materiali sicché l’accesso fu spostato più a monte, dove Martone ha ricostruito l’attuale porta. Egli la segna in pianta come porta antica ed è possibile che lo sia poiché no vi sono segni di altri accessi alla rocca, pare però strano che non sia guardata da una torre, della quale, in superficie perlomeno, non vi sono indizi. In ogni caso dovette essere realizzata dopo la chiusura delle altre due porte.

Il fatto che ambedue gli accessi leggibili nella cortina curvilinea siano oggi interrati lascia pensare che gli stessi furono abbandonati e chiusi dopo un evento che determinò la distruzione della cortina orientale e notevole innalzamento del livello interno al punto da sconsigliare la rimozione delle macerie. Questo evento potrebbe coincidere con gli assalti subiti dai Drengot ad opera di Re Ruggiero, o con un terremoto. Nella ricostruzione ad est del mastio e del palazzo fu aggiunta l’alta cortina rettilinea che corre verso est, terminante con una torre quadrata, alla quale il Martone ha solo ricostruito gli angoli e qualche brandello di paramento.

Questa torre conserva, proprio all’innesto con la cortina est, consunti blocchi di pietra sedimentaria che indicano uno spigolo al quale poi si congiunse la cortina. La pietra da taglio è dello stesso tipo di quella impiegata nell’arco della cappella e dovrebbe essere contemporanea a questa. Nella cortina si notano strette aperture, probabilmente antiche piccole feritoie più che bocche di luce ed aria per il sottostante locale oggi interrato. È immaginabile che torre angolare e cortina erano in origine più alte di almeno un piano.

Ai piedi della cortina sono resti di una scarpa aggiunta in epoca al piede successiva.

Dopo la torre quadrata sul vertice SE il muro cambia direzione e corre verso il mastio.

Le Mura del Borgo

Si può sin da ora affermare che una fitta schiera di abitazioni, composte da una cisterna o un vano seminterrato (stalla?) e da altro a livello superiore, si appoggiava al lato interno delle mura perimetrali.

Dopo questa prima schiera di case vi era a monte delle stesse una strada livellata nella roccia, larga un paio di metri. Sul lato opposto era un’altra schiera ininterrotta di case composte da ampi vani rettangolari affiancati, con accesso dalla strada, mentre il lato opposto al piano terra è semincassato nella roccia artificialmente spianata, risparmiando i setti divisori da sopraelevare. I soprastanti vani al primo piano affacciavano sul retro su un’altra stradina sulla quale, sul lato opposto, nuovamente seguivano case a schiera, sempre col piano terra scavato nella roccia. In tal modo secondo uno schema, sicuramente preordinato per allineamenti, quote e dimensioni costanti, più schiere di case circondavano progressivamente le pendici contribuendo alla difesa. Resti di abitazioni e muri sono anche fuori le mura, dispersi nella pineta.

Attorno alla torre ed alla rocca, sulla pendice grosso modo conica della collina, sono evidenti fitte tracce di abitazioni testimoniate da sbancamenti nella roccia e da resti di muri in pietrame di vario spessore e lunghezza, che per lo più definiscono semplici ambienti rettangolari. Il Martone nella sua pianta indica sentieri e resti di edifici, ma oggi l’area è densamente invasa da rovi e ginepri sicché senza un disbosco è impossibile rilevare ed analizzare il tessuto edilizio, che tuttavia è piuttosto fitto ed in qualche luogo fa sospettare l’esistenza di torri o case forti a causa del grande spessore di alcuni muri.

Assai più evidenti sono i resti della cinta muraria che cingeva il borgo con andamento avvolgente l’intera pendice conica del colle.

L’andamento del perimetro fu condizionato dalla decisione di recuperare una cinta sannitica preesistente, soprelevando in muratura i resti di mura poligonali sannitiche.

La muratura è in pietrame calcareo irregolare legato con buona malta ed è dappertutto leggibile, anche dove i crolli hanno rovinato alcuni tratti. Lo spessore è di 80-90 cm, l’altezza massima di circa m 7, merli inclusi.

L’impianto è di tipo ad avvolgimento totale, cioè circonda tutta la sommità correndo intorno alla rocca, ed ha un andamento grossolanamente ellittico. Il lato nord è quasi rettilineo e con torri che fuoriescono dalle mura, i restanti lati hanno andamento curvilineo.

Si tratta di una cinta in origine costruita senza torri. Vennero, poi, aggiunte piccole torri rettangolari, piene o vuote, probabilmente sempre di epoca normanna e poi un paio di torri tonde, sulla parete nord dove il pendio era minore.

Per comodità descriveremo sinteticamente la cinta a partire dalla torre circolare che domina il ripido stradone di accesso, sulla pendice settentrionale del colle.

Questa torre si addossa alla cinta ed è la più ampia, l’unica circolare, a base piena, e munita di beve scarpa. Si tratta con ogni probabilità di una torre di prima epoca angioina, forse costruita poco prima dell’epoca nella quale la cortina del cassero e la torre mastia vennero dotate di scarpa. Era destinata ad essere un punto di forza della difesa, con molte feritoie per arco al piano terra, molte altre al primo piano, con il solaio sorretto da travi lignee delle quali restano gli alloggiamenti.

Poco più a monte, nello stradone si notano pietre allineate che potrebbero essere i resti di una torre rettangolare poco sporgente dalla cortina, che dopo esser crollata fu smantellata completamente e sostituita dalla torre circolare. La cortina qui mostra un raddoppio.

Pochi metri più a monte, è una torre quadrata addossata alla cortina. Fu realizzata solo dopo la costruzione della cinta a protezione di un preesistente varco di accesso. Ha base piena, priva di scarpa, e al piano terra un’apertura verso est, dominata dalla cortina muraria sovrastante, che consente l’ingresso nella torre; qui giunti occorre svoltare ad angolo retto e si può valicare il muro di cinta, uscendo dalla torre. Vi era un solaio ligneo del quale si notano gli incassi delle travi ed altro doveva essere più in alto. Misura m 4 x 5 alla base.

Segue un breve tratto di cortina con ancora i merli antichi, rettangolari e senza feritoie. Poiché non vi sono tracce di un cammino di ronda in muratura è evidente che lo stesso doveva essere realizzato in legno sul margine del tetto delle case addossate alle mura.

La conservazione dei merli consente di conoscere l’altezza originaria, di circa m 7. Di seguito, invece, i crolli sono estesi e invasi dalla vegetazione e dal muschio e diventa difficile senza una pulitura persino rintracciare la torre successiva, quadrata, che sporge per 4 metri circa ed è lunga m 5. I muri sono spessi cm 70 e sono aderenti e non connessi alla cinta e dimostrano la successiva costruzione della torre.

Ancora più ad est sul muro settentrionale si apre un’altra porta. In origine era un semplice varco nel muro con il portone sbarrato da una trave del quale resta l’alloggiamento. Poi fu costruito un anvancorpo probabilmente una torre articolata in due vani a piano terra. Occorre uno scavo per verificare se si tratta dei resti di una torre a cavaliere della porta, con annesso corpo di guardia ma sin da ora si notano sotto il muro di spina pochi blocchi poligonali che potrebbero denunciare un varco più antico.

Poi la cortina cambia tipo di muratura, che appare fatta di piccole pietre, e scende ripidamente immedesimandosi con un palazzo del quale restano evidenti avanzi all’interno.

Il vertice NE del palazzo segna l’angolo delle mura che da qui in avanti presentano resti di mura poligonali sannitiche alla base.

Poco più avanti sono scarsi avanzi di una torre mezza tonda appoggiata alle mura, ma molto più piccola della prima descritta, piena e priva di scarpa.

Procedendo verso ovest si nota la porta di accesso medievale che, per il fatto che adotta la tipologia a corridoio obliquo, probabilmente ricalca un precedente ingresso sannitico.

Più ad ovest era una seconda porta, ma a semplice e stretto vano rettangolare, murata già in antico. Sembra, inoltre, di cogliere tracce del raddoppiamento del muro o forse di un accenno di scarpa aggiunta.

Le mura poligonali sannitiche sopraelevate si notano sino al punto nel quale la cinta svolta per risalire e formare la curvilinea cortina occidentale, costruita con muratura calcarea di pietre più piccole e fittamente connesse. In questo tratto, che termina sulla torre tonda a scarpa non vi sono torri ma solo una torricciola vuota con una porta volta all’esterno con architrave a V rovescia, che probabilmente grazie ad una scala lignea retrattile serviva per le sortite. Anche essa è aggiunta alla cortina e non coeva e non è testimoniata in altri castelli dell’area.

Fasi costruttive e datazioni

Da quando sin qui descritto, e con le cautele d’obbligo per chi deve utilizzare anche letture delle murature fatte da altri e non ha potuto compiere scavi, si possono ipotizzare le seguenti fasi:

Età longobarda:

L’abitato è a valle presso la grotta di S. Michele.

Età normanna:

    1. Una palizzata a collana sembra indiziata dal disegno della cortina curvilinea della rocca, alla stessa sarà stata contemporanea una torre pure in legno o, forse, la torre con base in muratura e sopraelevazione in legno di cui parla il Martone. Queste strutture dovrebbero risalire al primo arrivo dei Normanni sul colle e testimoniare la prima fase normanna, probabilmente anteriore alla stessa presa di Alife. Siamo dunque intorno alla metà dell’XI secolo.
    2. Seguì poi la costruzione delle mura e pare il caso di segnalare che impianti avvolgenti sono noti nella media valle del Volturno ad esempio a Rocca di Dragoni, Pietramelara, S. Felice Vecchio e Pratella (Caiazza a, in stampa). La stessa rioccupazione di una fortezza sannitica è consueta nel medio Volturno in epoca normanna, essendo testimoniata a Presenzano ed a Rocca di Dragoni, che la stessa tipologia muraria e le stesse piccole torri rettangolari piene (Caiazza 1986).
    3. Probabilmente negli anni delle guerre tra i Drengot e Ruggero II la torre mastia, la rocca, il palazzo comitale e borgo dovevano essere stati ricostruiti in muratura. Furono poi dotate di torri rettangolari poco sporgenti, appoggiate all’esterno della cortina del borgo durante quelle guerre, quando Rainulfo rafforzò le sue munitiones (Alessandro Telesino 11,12) o meno probabilmente nella successiva epoca federiciana.

Età federiciana:

S. Angelo fu castello imperiale e Federico II ne dispose la riparazione ed il potenziamento come risulta dallo Statutum de reparatione castrorum:

Castrum Sancti Angeli de Ripacanina reparari potest per homines ipsius terre, baronie Prata, Aylani et Rocce S. Viti.

È questa, con ogni probabilità, l’epoca nella quale viene ampliato il palazzo, rifatta la cortina orientale della rocca, realizzata la torre quadrata di SE, (poi ad est pareggiata da una cortina aggiunta), rinnovata la cortina tra il mastio e la torre di SE, e vengono rifoderati all’esterno il muro curvilineo e la cappella.

Età angioina:

Con l’aggiunta di basi scarpate e di soprastante muratura di fodera viene trasformata la torre mastia, dotandola presumibilmente di coronamento sporgente. Al piedi della cortina est viene aggiunta una scarpa. La torre rotonda con scarpa venne costruita forse al posto di una torre quadrata sita poco più ad est, demolita. Questi lavori poterono avvenire al principio o sotto la lunga dominazione dei Marzano, durante la quale cominciò l’esodo a valle.

Età aragonese:

Nell’età rinascimentale, con l’introduzione delle armi da fuoco, sulla torre mastia vengono realizzate le archibugiere e nel borgo probabilmente la grande conserva d’acqua, della capacità di 300.000 litri detta Cisternole, che fu forse l’ultima grande realizzazione prima dell’abbandono del borgo al servizio di quanti ancora vi abitavano.

L’abbandono e la decadenza:

Nel 1437 le mura e la popolazione che vi era asserragliata furono attaccate dalle soldatesche del cardinal Vitelleschi (Martone 29).

Poi il terremoto del 1456 diede il colpo di grazia all’insediamento già grandemente spopolato (Martone 29, Catalogo, 228-230). L’abbandono totale ed il saccheggio dei ruderi per riedificare a valle fecero il resto, mentre la collina veniva resa sterile e nuda dal pascolo intensivo.

Passarono secoli sinché il Martone, temendo che i danni inferti dalle granate americane non ne provocassero il crollo totale rinsaldò e recuperò la torre mastia e le mura della rocca e della cappella.

La torre ricaduta in abbandono con la sua morte, è in fase di restauro su iniziativa del Rotary Club Alto Casertano.