e d'avermi chiamato a visitarvi in questa Chiesa.

11 – e d’avermi chiamato a visitarvi in questa Chiesa.

L’impulso ad entrare nella casa di Dio è opera dello Spirito che è in noi in virtù della creazione, essendo l’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma dopo la disubbidienza in virtù della redenzione, il riscatto dell’incarnazione, passione e morte di Gesù Cristo. Potrebbe dirsi che questo impulso ad entrare in una chiesa, rispondendo alla chiamata, è cosa piccola; ma noi non sappiamo Dio quali cose grandi possa trarre dalle cose piccole e di più dobbiamo considerare che la conversione comincia con una piccola fiammella cui gran fiamma seconda. Comunque, l’incontro con Dio, con il Figlio di Dio nella sua divinità e nella sua umanità vivo e vero, non è poca cosa, anche se si riduce solo allo scambio di uno sguardo. Il Signore percepisce tutto di noi nella sua onniscienza e nella sua onnipotenza può operare tutto in noi, anche mille miracoli insieme. Qualcuno mi ha toccato, e subito il male cessa, il diavolo è sconfitto, vince l’amore. Ha ragione, quindi, Alfonso de’ Liguori a ringraziare il Signore per l’impulso positivo a visitarlo.

Chi ha la testa sul collo e osserva lo svolgimento della vita nella natura e nell’uomo, di fronte alla realtà incontestabile che di essa poco, quasi niente, è nelle sue mani, l’interrogativo deve porsi delle origini e della fine, l’alfa e l’omega, sue e del mondo che lo circonda e, considerando il mistero che l’inonda, non può che rivolgere la mente al creatore e all’ordinatore nel bene e nel male di tante meraviglie, chiunque egli pensa che si, ed esprimergli con moto spontaneo del cuore il suo ringraziamento. Anche l’ateo dovrebbe farlo col suo non dio. Solo l’indifferente di fronte alla forza del cosmo che gira non ha stupore. Ma chi non ha stupore non ha attese, non ha speranze e non vive.

L’atto di riconoscimento a Dio per tutto quello che ci dona è dovuto ed è sentito con vivezza da chi ha un rapporto con lui di filiale attaccamento e con il cuore aperto vive la sudditanza alla sua signoria nel regno d’amore, che solo nella beatitudine eterna, dopo il tunnel della morte, ha compimento pieno. Il mio regno non è di questo mondo.

La chiamata al regno, al sacerdozio regale della fede è il tema principale dell’uomo toccato dalla chiamata di Dio; ma è pure il tema principale dell’uomo e basta, perché l’invito è conveniente e la risposta è altrettanto conveniente. Mi hai chiamato a visitarti in questa chiesa, ad essere con te vivo e vero, a sentire il beneficio della tua signoria, il più grande, la quiete della mente e la pace del cuore. Cristo stesso è presente nel sacramento dell’altare e questa presenza va onorata con un culto di adorazione, con genuflessione, quella che il mio amico farmacista indebitamente faceva alla statua del Crocifisso della chiesa del paese. Paolo VI, il papa problematico che ho tanto in stima, afferma in Mysterium fidei che la visita al santissimo sacramento è prova di gratitudine, segno di amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore.

Non si dovrebbe parlare di fede e di regno in chiave di convenienza, ma questo è un discorso accessibile che può portare ad esiti positivi. L’amore non è calcolo, ma può pure originarsi dalla concretezza delle cose e dall’efficacia dell’impostazione di un rapporto corretto. Giova indubbiamente il ritrovarsi con Dio da solo a solo, quando la risposta alla chiamata si fa preghiera, e quanto sia utile pregare lo dicono tutti anche nel campo della medicina. È tanto vero che gli americani hanno creato anche negli aeroporti e nei luoghi di sosta dei viaggiatori le sale della preghiera, le praying room, posti della riflessione, e taluni studiosi affermano che anche, anzi particolarmente, in preghiera ripetitiva, come il rosario, sia utile alla salute pure del corpo. Del resto, è indubbio che i consigli della Chiesa, il digiuno periodico, la continenza sessuale, la severità della normativa che regola il matrimonio tra parenti, solo per fare qualche esempio, hanno riflessi positivi anche nella via corporale della persona e portano benefici consistenti all’esistere dell’uomo.

È una grazia, quindi, la chiamata e la risposta lo è altrettanto da tutti i punti di vista. Si fa fatica, e lo so per esperienza diretta, a credere che Dio possa avere con il singolo uomo, con me, un rapporto personale, ma poi ci si rende conto che non solo è possibile, non ripugna alla ragione che lo sia, è generato dalla grazie ed è generatore di grazia, ma è utile, piacevole, fortemente appagante all’anima e al corpo. E fatica pur si fa, ed anche qui l’esperienza è diretta, ad abbattere il proprio orgoglio per accettare la signoria del regno, ma poi ci si rende conto sul serio che il giogo è soave, la propria personalità viene esaltata, non umiliata, ed è assai giovevole tenerla e viverla con amore. Allora, dalle viscere, come al santo vescovo campano, sgorga irrefrenabile il bisogno di ringraziare Dio per la chiamata e di ringraziarlo per tutto quanto ci dà, alzandoci al mattino, quando il sole si avvia ad indorare il nostro mondo, e stanchi alla sera, quando la malinconia del buio che s’avanza riempie di nostalgia l’area dei ricordi e la speranza si fa più forte nel giorno nuovo che verrà, che si attende più carico di grazia, della grazia che è il sorriso di Dio.

Chiamati a visitarti, Cristo Gesù, nella chiesa, a vederti, se possibile a parlare con te, a toccarti per avvertire ancora più dentro la potenza della tua energia divina, veniamo dove tu sei vero e vivo ad aspettare che ci sia la risposta nostra all’impulso dello Spirito. Un luogo è la chiesa. I luoghi, lo diciamo sempre, fanno parte della nostra vita, la scandiscono nello spazio e si fanno come punti di riferimento nella curva dell’itinerario percorso: il duomo di San Michele Arcangelo del mio paese, i Lattani, Pompei, San Giacomo all’Ardenza, Santa Lucia al Monte, Santa Maria la Nova, la cattedrale casertana, la cappella dell’Immacolata, San Giovanni a mare, San Pietro e le tombe dei miei papi, Santa Croce, Santiago de Compostela, Lourdes, Fatima, Montecassino, San Francesco con le reliquie misticamente cattivanti del gran poverello sono tappe di una vita che si rinnova nella memoria, e quante volte ripetute, e quante altre, mille e passa, non elencate, piccole e grandi, tutte con te, Signore conservato nelle sacre specie, e il lumicino ad olio sempre acceso.

Sia il cielo carico di nuvole, con il sole a tratti fosforescente nella sabbia, qui oggi, a ridosso delle cabine, i colombi già hanno messo i segni del loro passo, ma il vento forte di maestrale li ricopre, e il mare ringhia furioso e grigio nero sulla paziente riva tra gli speroni rocciosi silenti dall’una e dall’altra parte, sia che tutto sia terso, e l’uccelletto marino ti giri tra i piedi a beccar qualcosa, e il mare sia di un azzurro limpido, all’orizzonte più marcato d’azzurro che davanti a me, sempre il cervello torna ai luoghi con te presente. E tu sei pure qui, anzi lì, di fronte a me, nella chiesa un tempo degli alcantarini alla montagna spaccata e netto si vede l’antico convento e s’ode, quando il vento lo porta in questa direzione, il suono delle campane della chiesa. E pure lì c’è il lumicino, sì, il lumicino della mia fede, che sovente smuove l’incertezza della condizione umana, ma spero mai si spenga. Sono i topos dell’esistenza, di un viaggio antico che mena alla risurrezione e alla visione del volto di Dio; sono soste che danno l’assaggio del paradiso che è ritrovarsi con te, Cristo Dio, seduto alla destra del Padre, a sentire la pienezza dell’amore dello Spirito; la fiammata potente dell’Oreb eterno a rivelarmi la potenza del tuo volermi bene sempre crescente.

Per darci tutto questo, pure i luoghi del rifugio in te, nella tua pace caritativa, sei venuto sulla terra ed hai fondato la Chiesa intorno a te, uno, vivo e reale nel sacrificio eucaristico e nella conservazione delle sacre specie. Ma il luogo fisico è il segno dell’ecclesia, una e santa, che è il tuo corpo mistico. Vengo a visitarti in questa chiesa, ma non sono solo, sono con tutto il tuo popolo a cantare la tua gloria e la tua misericordia. Son io la folla che ti segue per sentire la tua parola, il logos che sei, il Verbo incarnato, la folla che tu sazi con il miracolo dei pani e dei pesci, la folla da cui ti allontani sulla barca per farti vedere meglio quando predichi e tutti possano udire la tua voce? Certamente no, perché io son solo, piccolo, povero in vita, ma son uno di quelli che vogliono seguirti, che hanno tolto le mani dall’aratro, ma vogliono che tu li aiuti a continuare e a finire il solco. E qui, davanti a te, a San Pietro come nella più piccola cappellina dove c’è il miracolo eucaristico, alla Porziuncola, nella mistica solitudine del luogo, sono con gli altri, con tutto il popolo di Dio peregrinante a dirti grazie.

Joseph Ratzinger, nel suo commento al Padre nostro, in merito ci fa riflettere, perché quando sono con te eucaristico non sono solo e con te prego Dio come tu mi hai insegnato. Solo nel «noi» dei discepoli possiamo dire Padre a Dio, perché solo mediante la comunione con Gesù diventiamo veramente figli di Dio. Così questa parola «nostro» è decisamente impegnativa: ci chiede di uscire dal recinto chiuso del nostro io. Ci chiede di entrare nella comunità degli altri figli di Dio. Ci chiede di abbandonare ciò che è soltanto nostro, ciò che separa. Ci chiede di accogliere l’altro, gli altri, di aprire a loro il nostro orecchio, il nostro cuore. Con questa parola «nostro» diciamo sì alla Chiesa vivente, nella quale il Signore ha voluto raccogliere la nuova famiglia. Così il Padrenostro è una preghiera molto personale e insieme pienamente ecclesiale. Nel recitare il Padre nostro noi preghiamo totalmente col nostro cuore, ma preghiamo allo stesso tempo in comunione con l’intera famiglia di Dio, con i vivi e con i defunti, con gli uomini di ogni estrazione sociale, di ogni cultura, di ogni razza. Il Padre nostro fa di noi una famiglia al di là di ogni confine.

Così, al di là di ogni confine, fa Chiesa la tua presenza nel santissimo sacramento, ci unisce tutti in ogni parte della terra e ci fa sentire come siamo di fatto parte viva del tuo corpo mistico. Ti ringrazio, Signore, perché mi chiami a star con te in ogni chiesa dove si conserva il pane consacrato: è farmi sentire fratello degli altri, unito in comunione con l’intera famiglia di Dio, con i vivi e con i defunti, anche con i miei che non ci sono più, il padre, la mamma, mia moglie Anna Maria e gli aneli del tuo paradiso, che spero sia pure il mio dopo l’abbraccio della morte sorella.