Da oggi avanti fate Voi di me

21 – Da oggi avanti fate Voi di me, e delle mie cose tutto quello che vi piace;

È facile dir questo, pregar così, oggi, quando sul groppone gli anni si ammonticchiano e pesano, e ancora pochi, comunque vada, ce ne sono da contare: la rinunzia e l’offerta diventano liberatori ed è oltremodo conveniente il rifugio nel grembo della provvidenza. Certamente anche qui va bene dire: meglio tardi che mai. Ma l’interrogativo ci viene: perché non l’hai fatto prima, nel fiore della gioventù? Perché alla chiamata della grazia, cioè al vento dello Spirito, rispondi solo ora? Il mistero dell’uomo coincide qui con quello della misericordia del Signore. Eppure le preghiere le faccio, specie la mattina e la sera, con formule pregne di sostanza teologica e morale: ti adoro, ti ringrazio, ti amo, ti offro. Al senso delle parole e alla sostanza dei contenuti di quelle orazioni mnemoniche penso ora, e me ne sorprendo, e benedico quelli che me le insegnarono, e ne allargo in estensione i significati, quasi a recuperare i tempi e gli spazi perduti.

Non ti ringrazio, Dio, di avermi conservato sì in questa notte, ma specie di avermi conservato per ottant’anni e in un peregrinare così tortuoso e stupefacente. L’ultima notte è la vita trascorsa, l’itinerario peregrinato, il cumulo di esperienze vissute. È il giorno che viene è il futuro: ti offro le azioni della giornata diventa: ti offro il resto della mia vita, e la sostanza della preghiera di sant’Alfonso si acconcia bene alla mia situazione. Non era, per questo verso, giusta la reprimenda del giovane prete nell’omelia della messa di domenica scorsa, quando rimproverava ai fedeli convenuti di pregare ancora come i bambini, con le formule vecchie. Il fatto grave è, invece, che i preti non insegnino più a pregare, perché son essi che per primi non pregano; non insegnano con catechesi pazienti e appropriate a scoprire il valore di quelle formule scritte con la saggezza degli antichi, non predicano la positività della preghiera ripetitiva, come il rosario, non riescono a dare il gusto di ritrovarsi con il Padre da solo a solo, ma pure la gioia di pregare insieme la sera in famiglia, tutti insieme, nella penombra che rimarca la lampada, la sola accesa, che sta davanti all’immagine della Vergine Maria. Si prega poco nel mondo, è vero, anche se si scrive che la preghiera, comunque essa sia fatta, giova anche al fisico.

È sempre più piccolo il tempo che in una giornata si spenda per la propria vita interiore, anzi non c’è più. Anche in sede di riflessione filosofica e culturale si teorizza il pensiero debole e corto, contro il quale noi ci siamo sovente espressi con decisione. Dicono gli uomini d’oggi che majora premunt, ma noi pensiamo che quel majora debba segnarsi oggi pejora, perché c’è tanta confusione sulle cose che contano sul serio nella vita e l’effimero si fa sostanza e la sostanza viene rilegata ai margini. Così la quotidianità si consuma senza fermarsi nella memoria, senza costruire la memoria, e la memoria quando non c’è non si può far presente ed essere incentivo di crescita ulteriore e mezzo di esame sulla differenza tra l’ieri e l’oggi.

È sant’Alfonso che l’invocazione fa partire da oggi e il proponimento vale anche per il poi, perché tiene in conto la memoria, il passato che si è fatto memoria e che la donazione e la rinunzia non cancellano ma redimono. Il tempo diventa così parte costitutiva dell’orazione: il passato viene bruciato dal tuo amore, ma da oggi in avanti, il futuro, il piccolo futuro che ancora mi resta, e quanto carico di progetti e di speranze lo vedo, mi metto nelle tue mani, Signore: fate voi di me tutto quello che vi piace. Non vi sono limiti, tutto puoi fare di me. La specificazione, come notiamo ogni volta, è rafforzativo della volontà di rimettersi per intero alla volontà di Dio, ma è anche semplificativo, nel senso che si elimina, come già abbiamo sottolineato, ogni fatica di elencazione e senza alcuna analisi introspettiva attuale, difficile quanto laboriosa, ci si affida alla provvidenza che governa il mondo.

Fate, facite, realizzate, predisponete, non per me, ma di me. Non ti sostituisci a me, ma mi inglobi. Io mi butto in te e tu di me sei la vita; non sei di me il padrone, ma sei me stesso. La mia libertà si annega nella tua, che è libera d’amore: tutto quello che ti piace non può non piacere a me, perché tu sei la bontà infinita, la pienezza dell’essere, la gioia dell’esistere. Ma il discorso non riguarda solo me, la mia persona dentro e fuori, anima e corpo, ma pure le mie cose. Sono coinvolte nella preghiera e nell’offerta le protezioni esterne della mia esistenza, le azioni, le attività, gli impegni dell’intelligenza, i rapporti affettivi, ma pure le cose materiali, quelle che si vedono. Penso ai miei libri, gli amici veri di una vita, tanti, usati con amore a formare il sacrario della mia conoscenza, ma pure a divertirmi, a tenermi in contatto col mondo. Sono i libri le cose da cui mi distacco con più dolore; non ce la faccio a distaccarmene del tutto. Ma lo farò.

La natura seconda, lo dico sempre, il nostro pellegrinare con ritmo materno e ci prepara all’evento. La natura è figlia di Dio, che l’ha fatta e se n’è compiaciuto di volta in volta che si è plasmata. Ci aiuta ad essere poveri in via e a farci sempre più poveri man mano che si consuma la strada che mena alla morte sorella. L’ho sempre sentita, questa, come la bellissima giovane bionda con la benda davanti agli occhi per non vedere, pronta a consegnare il giglio del passaggio all’altra vita a chi le metta davanti Dio. Ora pur essa penso via via invecchiata, ma sempre conserva la bellezza dei lineamenti del volto, lo splendore del sorriso, i capelli d’oro oggi diventati d’argento, tirati indietro e annoccati con gusto, la buona fattezza del fisico, tutto sempre di una nobiltà unica, in linea del resto con il valore dell’evento cui ci mena. Gli antichi esorcizzano la morte, che certo non vedono di belle forme, i cristiani riprendono il tema nello stesso tempo giustamente festeggiamo tutti i santi e ricordiamo con riconoscente devozione i defunti, gli uomini d’oggi danno al rito antico un nome nuovo, Halloween, e, presi nel vortice del consumismo carnascialesco americano che c’invade, cercano di allontanare il problema e tutte le paure che porta. Riescono a cancellare la realtà inesorabile della fine della vita dell’uomo sulla terra?

Il povero in via diventa sempre più povero e la povertà è la virtù indispensabile appunto per il transito. Si nasce solo e si muore solo. Fate voi di me e delle mie cose tutto quello che vi piace. La povertà è piena, totale: esisto in te, Dio, solo in te e il tuo volto aspetto di vedere così come dice Giovanni. Non avrai più la barba bianca pietosa, morbida come l’ho sognata per una vita, gli occhi pieni di benevolenza e di misericordia, la lacrima appena accennata per il dolore che ti dà la mia disubbidienza recidiva. Questa povertà interiore è rispecchiata nelle parole scarne, nude ma essenziali della preghiera, che non è frutto di una ricerca di semplificazione di effetto, né di un’elaborazione letteraria; essa è invece riflesso della semplicità del cuore e della confidenza che il richiedente ha con il padrone del cielo e della terra, ridottosi in croce per amore e per amore chiusosi nelle specie eucaristiche.

È la semplicità una delle doti primarie di questa orazione e da essa deriva per buona parte la sua attualità. Dire con linguaggio semplice le cose difficili dello spirito è attrarre chi fruisce di ciò che vuoi comunicare. Questa è pure una regola della pedagogia, quella degli adolescenti e quella degli adulti. Quando si dà sostanza, perché possedendola la si comunica con semplicità e con carità, si viene ascoltati e si producono buoni effetti. Lo sa bene chi ha trascorso una vita nell’insegnamento e ha cercato sempre di tenere desta l’attenzione dei discenti trattando temi sostanziosi con la dovuta serietà e con tanta facilità.

L’uomo d’oggi è stanco della complessità che gli creano attorno torturante e oppressiva, la società, la scienza disordinata, l’incomprensione umana, il caos di una trama di problemi tutti sospesi, perché tutti senza soluzione chiara, di miti che uno appresso all’altro si rivelano fragili e caduchi, di sottintesi senza garanzia e carichi di amarezze. L’uomo d’oggi ha bisogno di semplicità, immerso com’è in sempre più complicate confusioni babeliche: della semplicità della preghiera di sant’Alfonso e della confidenza con cui egli si rivolge a Dio si ha urgenza nel mondo d’oggi per un approccio agevole all’ordine divino che schiarisce la nostra intelligenza e guida la nostra volontà. Basta essere attenti e consenzienti alla chiamata per gustare la bellezza e la sapienza del Padre, per abbracciare tutto in uno sguardo d’amore, per vivere la propria spiritualità con sapienza, per godere della creazione senza falsi riflessi.

Fa di me, Dio, e delle mie cose tutto quello che ti piace. E ti piace che io t’ami e venga a te, che viva il tuo messaggio fino in fondo, che non tolga più la mano dall’aratro. Tu sei colui che governa quanto mi resta dell’esistere, concedimi di amare ciò che comandi e di desiderare ciò che prometti, perché tra le vicende del mondo là sia fisso il mio cuore dov’è la vera gioia. Ci conto, Signore, mio re e mio tutto, perché so quanto è stata e quanto è grande la tua misericordia con me e quanto amore mi riversi addosso quando mi abbracci e mi dai le tue benedizioni. Deus meus et omnia.