Lettere

5 febbraio 2008

Carissimo Professore,

ho deciso di seguire in questa lettera il Vostro esempio, pertanto niente corsivo o virgolette …

Non vi nascondo che la lettura delle Vostre riflessioni sulla preghiera di Sant’Alfonso mi ha creato tumulto nell’anima per l’esplicitazione di quella comunione dei santi di cui più volte ho letto nei Vostri romanzi: mi riferisco particolarmente al patrimonio spirituale cristiano che assimiliamo e, metabolizzandolo, restituiamo arricchito di nuove possibili modalità di sviluppo.

Questa lunga lettera di amore a Dio che giunge a coronamento dei tanti sms inviatiGli nel corso dei 4/5 della Vostra esistenza, mi ha veramente commosso. Ho pianto lacrime di gioia sopra ogni pagina che ho letto.

Contrariamente a quanto sono abituato a fare, non ho dato una scorsa veloce al libro per poi ritornarci con calma nei periodi più propizi ma l’ho assaporato sorso a sorso. In esso è certamente descritta la più ravvicinata esperienza del divino che la Vostra produzione letteraria abbia mai toccato: il fidem servavi al termine della lunga corsa che ho letto in Paolo prossimo al martirio ma che ho da sempre ammirato in Giovanni, il vegliardo testimone di quell’Amore nel quale fermamente crediamo.

Se nella nostra buona battaglia ci è riservato di sperimentare ancora la sozzura del peccato [perché come scrissi nel 1998

Sémmu fatti accussì,

lóta e brillànti,

frutta alleàta

e scióre che se sfràgna

‘ncopp’ a una pianta,

orìve nére e jànghe

còte re tutti i sànti,

frunnélle appése agli’àrulu

che vòria scutuléa, annu pe annu]

possa il Signore misericordioso concederci la forza e il tempo necessario per riscattarci e vincere come Voi dite quella guerra che si combatte dentro di noi...

Pur consci della nostra nullità, non disperiamo proprio in virtù di quell’amore divino che ci ha dischiuso la Porta attraverso la quale ci attende l’eternità.

Carissimo professore Vi voglio anche ringraziare per la premurosa telefonata con la quale avete interrotto questo mio scritto per assicurarVi che avessi ricevuto il libro.

Vi assicuro che lo avrò caro fino a quando, come è capitato a Voi, giungerà il giorno in cui non la sua veste materiale ma i frutti suoi e di ogni altro talento affidatomi presenterò al Signore.

Ricevete un affettuoso saluto e gli auguri di buone vacanze.

31 Marzo 2008

Carissimo Professore,

già nel 2005, leggendo Il diavolo, percepivo che presto sareste tornato ad analizzare più in profondità il difficile rapporto tra Cristianesimo e Islam e non mi ero sbagliato. Io purtroppo conosco poco il mondo arabo ed eviterò, quindi, per il momento, di entrare nello specifico della questione. Quello che mi sento di dirVi è che ho apprezzato il tentativo di “far convergere nell’amore eterno ed infinito di Dio” [in quest’ultimo (per il momento) tassello della Vostra “opera totale sull’amore”] i complessi sentimenti di quella parte di umanità con la quale continuiamo ad avere tanti problemi. Mi ha attratto il modo come li avete definiti “due mondi diversi (conservazione e progresso) che si avvicinano, interferiscono, si compenetrano”.

Come Vi ho detto mi mancano le basi per meglio poterne evidenziare i contenuti. Riesco a cogliere solo che il dramma è a monte se “il terrore di perdere la propria identità” o “la paura d’essere sopraffatti” da un’esegesi fuori dai vincoli tradizionali, porta la splendida protagonista a interrompere in modo così brutale quel feeling di intesa col prete che tanto lasciava sperare. Egli rappresentava per lei una minaccia ma anche lo strumento attraverso il quale riscattare una scelta amorosa fuori dagli schemi: una voce fastidiosa da eliminare, per lo scandalo che scatenava verso i propri correligionari, ma con la quale continuare ad interrogarsi nell’intimo, come credo lasci intendere il desiderio di chiamare Bruno il proprio nascituro.

Io, come potete immaginare, ho seguito con particolare apprensione le sorti del “mio amico Vincenzo” (a proposito: mi è piaciuta tantissimo la descrizione del mare della sua fanciullezza alle pp. 73-74) perché, incredibile a dirsi, ho realmente condiviso e cantato nel lontano 1981 quei suoi stati d’animo e “le poesie che tiene dentro”. Eccone a riprova il testo:

Ho veduto

e se tremo, lo sento,

è perché sì profondo è l’abisso

negli occhi miei fissi …

Il tremore incostante del chiaro,

l’attesa, non vana, che brilli

da incerte sembianze del piano

riflessa, l’ombrata pupilla …

Solivago l’iride varco,

irreale, febbrile,

mi attardo sgomento,

poi proseguo, mi addentro,

ma la luce ormai bassa

avvicina quel ciglio:

è la fossa dei pazzi,

il mio ultimo appiglio.

Grazie! davvero grazie, di tutto cuore, per la citazione inserita in un contesto molto ben riuscito, fatto di flash mnemonici di grande carica emotiva e di coinvolgente rivisitazione personale.

Mi fermo qui. Ricevete, insieme alle notizie che ho potuto reperire in allegato, i saluti più affettuosi e la gratitudine che Vi porto nell’anima.

20 dicembre 2008

Carissimo professore,

nel rileggere il Vostro commento alla 2a quartina davvero accattivante, oltre che per il preambolo sulla bellezza della lingua latina anche per gli approfondimenti sul Divino Amore, ho associato i Vostri scritti ai miei biscotti. Provo a spiegarVene il motivo.

È mia abitudine, a scuola, tenere una buona scorta di questo tradizionale prodotto paesano, oltre che per i miei bisogni, soprattutto per soccorrere eventuali insufficienze energetiche dei ragazzi. Ebbene, un giorno, particolarmente pieno di richieste, ne erano rimasti solo tre. A uno studente in crisi di fame ne diedi due e, dopo un po’, alla richiesta di un altro giovanotto, il primo che stava ancora colloquiando con me intervenne cercando di persuaderlo: “Lasciaglielo, ne è rimasto uno solo!”

A queste parole meditai e compresi che nel momento in cui, per amore, ti priverai dell’ultima tua cosa è allora che agli occhi di Dio avrai dato qualcosa!

Così, ritornando al Vostro caso, io mi sento di poterVi dire che, nonostante avete dato tanto con gli scritti di una vita, se aveste tenuto per Voi queste meditazioni avreste solo dato il superfluo.

Ho ancora nella mente quanto di veramente commovente scriveste in Una preghiera di S. Alfonso commento al verso 21.

Avevate pienamente ragione “Il povero in via diventa sempre più povero…”. È un divenire necessario, dato il traguardo agognato, perciò continuiamo fiduciosi a donare, finché il Signore vorrà, Voi le Vostre esperienze preziose, io i miei biscotti prelibati.

Buon Natale!

27 dicembre 2008

Carissimo professore,

a causa della mia pressoché totale ignoranza della lingua latina, la terza quartina si presentava, a un primo esame, davvero ostica perciò ho provato un triplo piacere nel seguire la Vostra illuminante traduzione.

Mi pare di averVi già detto, in passato, quanto gradisca le pillole d’Arte che abilmente dosate per attrarre il lettore. A questa su Michelangelo, particolarmente gradita, aggiungo l’apprezzamento per l’invito a riflettere sui doni dello Spirito e l’ozioso stato di attesa di quel venticello che a me, da sempre estraneo ai lidi, odo frusciare leggero tra i secolari ulivi delle mie colline.

Familiarissima, invece, e di facile intendimento esteriore la successiva quartina. Quante volte l’ho sentita proferire dal mio caro amico Bruno. Ho il rammarico di non averne approfondito con lui le ricchezze che tanto bene Voi evidenziate. Ve ne sono proprio grato e prego costantemente il Signore affinché possiate continuare a stillare gocce perlate di saggezza da una sofferenza che, pur essendo totalmente Vostra nella carne, trova compartecipazione spirituale in quanti Vi amano.

Oggi è la festa del Santo al quale io sono particolarmente devoto e come di consuetudine ho recitato, in greco, il prologo del suo meraviglioso Vangelo. È un gesto di provata efficacia terapeutica per me e spero anche per tutte le persone care alle quali lo dedico.

Appena trovo un buco di qualche giorno in questo periodo di feste Vi spedisco questa e l’altra lettera che per vari motivi è in giacenza da una settimana. Spero Vi arrivino per il 31 in modo tale che valgano anche di augurio per un Buon (capo e proseguimento di) Anno!

19 gennaio 2009

Carissimo professore,

durante il periodo festivo, ho portato a termine, con le restanti tre quartine, la lettura del Veni Creator Spiritus. Tralasciando le considerazioni sul nemico che ho già, in qualche modo, espresso nell’ultimo mio articolo, mi preme parteciparVi che ho molto apprezzato, per aderenza e concisione dei contenuti, il Vostro schema strutturale dell’inno annunciato nella prefazione e svolto poi a p. 52. Toccante la postilla esortativa a fine pagina: il mare, fin qui citato già tre volte, assurge in questo scorcio finale, con sei nuovi richiami, a testimone privilegiato delle Vostre ammirevoli professioni di fede.

Il cenno poi al Dies irae di p. 63 mi ha, dopo tanto tempo, risvegliato l’estro poetico spingendomi a comporre questa poesia dialettale che Vi dedico con gratitudine per tutte le meditazioni che mi sollecitate con le Vostre pubbliche confessioni.

Scìmmuci ‘nnanzi ca se và ‘ fa séra.

Levàmmuci ra ‘ncuógliu unu cu n’atu

rancùri e cattivèrie re jurnàta.

Spunnémmuci re tuttu e, come a frati,

circàmmu r’ì r’accordu a ‘sta menàta.

Momó, quannu cumència la ciamàta,

re chéllu ch’ammu fattu amma rà cuntu:

le tèrze amma pavà r’iu primu accùntu

e chi cciù ha ‘vutu è assai cciù rebbetóre…

Scìmmuci ‘nnanzi mó ch’è vintun’óra.

Conscio della difficoltà del dialetto provo a renderVene il senso.

Di quando ero piccolo, il ricordo più bello che ho è l’andare incontro a mio padre che rincasava dal lavoro per togliergli di dosso lo zaino, e spero non solo quello. Nasce da qui l’esortazione a essere fraternamente amorevoli e pronti al reciproco perdono.

Il tempo che ci resta (e Voi lo mettete così bene in evidenza) è poco: la vita, anche la più lunga che ci possiamo attendere, è breve e alla fine ci attende il giudizio su come abbiamo impiegato i talenti che ci sono stati affidati.

Gesù ci ha indicato i criteri in base ai quali saremo giudicati (mi riferisco, in questo caso, particolarmente a Mt. 5,25-26; 18,23-35; 25,15-46) ecco perché è necessario sfruttare il tempo rimastoci per riconoscerLo e amarLo nei compagni di cammino.

Saluti affettuosi

16 novembre 2009

Carissimo professore,

desidero esprimerVi, questa volta, un grazie tutto particolare per quel suo corretto in tuo con il quale avete voluto evidenziarmi l’affetto e la familiarità che mi portate. Sappiate, infatti, che l’uso della terza persona mi è stato, da sempre, completamente estraneo. Non sono mai riuscito a percepire in esso quel senso di riconoscenza dovuto alle persone che ci arricchiscono interiormente. Mi riferisco alla generazione superstite della grande guerra: agli uomini che ammiravo da bambino e per i quali scrissi (nel 1996) i versi:

No cciù alla Libia

e mancu a Stalingradu,

a unu a unu, mó,

mòrunu ccà, rent’ au paese,

sti poveri uagliùni sfurtunàti.

Requiem Eternam

a chi n’è cciù turnàtu,

e a vui che giàte

Rechiamatèrna

pe tutti i cunti che m’ète cuntàti.

ma anche a quelli che, come Voi e il professor Marrocco, mi hanno voluto bene nell’età adulta aiutandomi notevolmente nella formazione sia culturale sia spirituale.

Ho ricevuto il pacco e appena mi sarà possibile distribuirò le copie nel modo che mi avete indicato.

Mi è piaciuto tantissimo il pensiero “certo, i ricordi si tengono nell’animo e, allor che l’occasione lo richiede, fanno ribrillare vive nel cervello e nel cuore le emozioni che li hanno generati” ma anche tutto il resto e le riflessioni sulla poetica di Elpidio Jenco.

Aspettavo l’uscita dell’Annuario 2009 (prevista per la metà di dicembre) per spedirVi qualche libro e per farVi gli auguri di Natale. Durante il periodo estivo Vi ho pensato assiduamente, immaginandoVi impegnato nella ricerca del “fiore lilla del ricordo triste” ispiratore di nuove emozionanti pagine narrative, e ho anche pregato spesso per Voi. Il mio desiderio più grande è che, pur nella malattia che Vi attanaglia, possiate conservarVi, fino in fondo, lucido testimone di quell’amore smisurato al quale tutti siamo stati chiamati.

Vi partecipo, terminando, che il mio piccolo lavoro su Fistelia è stato discretamente apprezzato anche all’estero, permettendomi conseguentemente di conoscere persone buone e meritevoli, oltre che esperti numismatici di grandissima levatura.

Passo ora teneramente a salutarVi con la promessa di mandarVi, presto, nuove pubblicazioni per la “Bibliografia di Terra di Lavoro” e, soprattutto, di continuare a pregare il Signore per Voi, amico prezioso, affinché possiate trovare sollievo dalle pene che Vi affliggono.