I laghi

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Raffaello Marrocco

I L M A T E S E

Napoli

Editrice Rispoli Anonima

1940

Cap. III (pp. 67-85)

I Laghi, gli Sports e il Folclore

Il lago del Matese è situato in un grandioso anfiteatro montano nel cuore del massiccio, e, malgrado le innovazioni per utilizzarlo a scopo idroelettrico, ha serbato quasi intatte le sue condizioni naturali. Esso è un bacino carsico lungo cinque chilometri e mezzo, largo un chilometro e duecento metri, e profondo circa tre metri. Non ha nessun affluente importante né corso di acque che funzioni da emissario. Vi si raccolgono le acque superficiali e sotterranee e quelle scaturenti dalle montagne circostanti.

La quota è di m. 1007, ma nella primavera raggiunge quella di 1012, con un volume di 14.875.000 metri cubi e con un’area di oltre 5.000.000 di metri quadrati.

Il fondo è formato di argille eoceniche, come si è constatato sopra una sponda a Campo delle Séccine e nelle valli del Lete e del Sava ad occidente, nonché nella valle del Titerno ad oriente. Il lago non è privo di inghiottitoi, specie verso la riva meridionale. I principali sono: quelli nella località Brecce (sud-ovest) in forma d’imbuto, e l’altro nella località Scennerato (sud-est), che trovasi nell’interno di un piccolo anfiteatro roccioso con avvallamenti ed imbuti ora circuiti da dighe.

Le acque sotterranee sono in effetti costituite da sorgenti del lato settentrionale, di cui alcune perenni. Ve ne sono undici presso le località Capo di Campo e Vollanito, S. Maria, Cavoli, Fontana Fredda, Fontana Spina, Fatella, Sorgiva Monterone e Tana delle Volpi, Fosso Monterone, Ritorto e Cannella, Fosso dei Pescatori e Fosso della Valle dei Ladri.

Il lago ha forma allungata in direzione da ponente a levante e nella sua parte centrale, presso la riva settentrionale, sorge un isolotto – il Monterone – che si scopre soltanto in estate. Che sia di natura carsica lo dimostrano queste caratteristiche: la natura delle rocce in cui trovasi, la mancanza di un emissario superficiale, le oscillazioni di livello e la forma allungata. Le acque non sono limpide, ma permettono distinguere il fondo ricoperto di piante lacustri. Hanno un colore giallognolo-scuro con una temperatura, in luglio di 22° 5 alla superficie e di 22° a due metri di profondità. Dal mese di dicembre a tutto marzo la superficie si ricopre di una crosta di ghiaccio di notevole spessore.

Compreso tra il ciglione meridionale a fitte macchie boschive e la rocciosa cortina del Miletto e della Gallinola, le cui cime si rispecchiano nelle acque, il lago popolato di tinghe, è, come scrive il Colamonico, “il luogo di maggiore attrattiva dell’imponente nucleo di alture e indubbiamente una fra le località più interessanti d’Italia”. Ed è bello davvero quando qualche barca lo attraversa o quando il chiaro di luna l’illumina nelle notti serene. Le acque allora, increspate dalla brezza, racchiuse in una cornice di verde metallico, gli danno la parvenza di un ricamo dalla trama d’argento. Dato però il movimento turistico che si va delineando a favore del Matese, occorrerebbe che il lago venisse spogliato di tutta la vegetazione di canne e di alghe che vi affiorano, specie nelle parti meno profonde. La visione allora risulterebbe suggestivamente imponente.

Ad occidente di questo lago vi è quello artificiale di Letino, ottenuto dallo sbarramento del fiume Lete presso il suo inghiottitoio. Fu creato per formare un grande bacino da utilizzarsi a scopo idroelettrico. Questo lago costituisce anche esso un’altra attrattiva del Matese, formando, con l’insieme dei monti che lo circoscrivono, un interessante paesaggio. In alto, a sinistra, si vede il caseggiato di Letino e, in fondo alla fuga delle montagne, il Miletto. Il lago è a m 894 e nel massimo invaso giunge a m 908. La sua superficie è di kmq 0,108 con un volume di acqua di un milione di metri cubi.

Il lago di Campitello – che è sopra un pianoro (m 1396) alle falde del Miletto – anch’esso artificiale, è alveato in canali e specchi a platea di cemento, alimentato da rilevanti sorgenti come quella di Capo d’Acqua e dalle acque di displuvio della catena del Miletto. Venne creato allo scopo di formare un bacino da utilizzarsi per uso idroelettrico.

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Tutti i luoghi del Matese si prestano a dei campeggi, escursioni ed esercizi sportivi estivi ed invernali, che ora si rendono di più facile attuazione mercè l’impianto di rifugi-alberghi, già in atto in S. Gregorio, a Boiano ed in qualche altra località.

Tra le escursioni più notevoli vanno segnalate quelle al Miletto (m 2050) al Tamburro (m 1984), alla Gallinola (m 1922), al Mutria (1822), al Janara (m 1574), ecc. località che offrono varietà ed originalità panoramiche piene d’interessanti attrattive. Quella al Miletto vale per tutte, essendo la più importante ed anche la più faticosa.

Vi si può giungere partendo da Piedimonte attraverso l’interprovinciale per il Matese, che, valicando il Cila, tocca Castello d’Alife e S. Gregorio. Qui si prende la mulattiera per il Raspato (m 1200), dalla cui vetta si domina la conca del lago naturale e tutta la catena del Miletto di fronte. Dal Raspato si scende alla palazzina della Società Meridionale di Elettricità accosto al lago. Indi si segue la mulattiera che, attraversando il piano, si inoltra lungo la diga di S. Michele, piegando verso la serra di Macchietelle. Si sale, e si lascia a destra il vallone Cannella giiungendo a Campo dell’Arco, così denominato per un arco naturale roccioso presso un inghiottitoio. Poi si prosegue fino alla vetta.

Anche dalla Gallinola si va al Miletto. Per raggiungere la Gallinola si parte o dalla Palazzina del lago oppure dalla defensa Gaetani (m 1067). Nel primo caso l’itinerario è quello indicato. Bisogna però proseguire prendendo il sentiero a destra della chiesetta di S. Michele. La vetta della Gallinola è posta tra Colle Monaco (m 1700) e l’Esule (1737) dove s’incontra il sentiero proveniente dalla Defensa Gaetani. Se l’ascensione si vuol fare da quest’ultima località – essa importa però maggiore cammino – bisogna o muovere verso est, costeggiando dal nord il lago Matese, o risalendo, oltre la masseria del Giudice (m 1352), la fiancata dell’Esule fino all’incontro del sentiero di S. Michele, oppure muovendo verso est dal Concone delle Rose, Pianellone e per Piano della Corte, superando pendenze più forti. Dalla Gallinola si scende alla masseria del Giudice per portarsi alla Serra del Monaco e di qui al Miletto.

Partendo invece dal versante molisano si può compiere la ascensione da Letino, seguendo la mulattiera nella Valle del Lete e giungendo al Campo delle Séccine donde si sale alla Serra delle Vallocchie Scure (m 1581). Indi si attraversa l’altipiano e, risalendo per Macchia Celano, si giunge a sud del Tamburro, ove si piega a sinistra per salire sulla sua vetta, dalla quale, per la Vallocchia dell’Orso, si arriva al Miletto.

Anche da S. Massimo si può agevolmente effettuare l’ascensione seguendo il sentiero che porta a Campitello, oppure profittando della teleferica della Società Molisana per le Imprese Elettriche. Partendo da Roccamandolfi si deve salire per Cese Collecastrilli, indi, presa la salita della costa del Monaco a Macchia Celano, si raggiunge il Tamburro attraversando la costa e la Valle dei Ladri. Si prosegue per i canali dello Strazzo dell’Isola per giungere alla Forca dei Cani e alla Vallocchia dell’Orso, per toccare poi la vetta del Miletto. Oppure si sale per S. Scriddiziano, Fosso di Vallerina, Colle Perrino, Falubrico, Costone di Campanariello giungendo a Fondacone.

Da Boiano, infine, si va al Miletto salendo a S. Egidio e attraversando monte Acerone, Costa Alta, Soglio, Campo dell’Orso, Capo d’Acqua e Campitello.

Non è il caso d’indicare altri itinerari. Da tutte le parti si può andare al Miletto: si tratta di compiere dei percorsi più o meno lunghi e più o meno disagevoli.

Ci sono poi da visitare le singolarissime grotte, cioè quelle, conosciute finoggi, di Campobraca, della Gallinola, delle Ciavole, del Fumo, dei Briganti, di Macchia Saporita, di Riofreddo, di Camporotondo, di Letino, ecc.

La grotta di Campobraca – che fino a pochi anni or sono si presentava in maniera attraentissima, oggi è divenuta una galleria, con tre cavernette, terminante in un sifone. Ha della incrostazioni calcaree, ma senza formazioni stalagmitiche. Quella di Camporotondo, che la struttura morfologica della grande dolina, con un’aspra incisione sul piano di fondo a nord-est, termina in un inghiottitoio. Ha uno sviluppo di sessanta metri di forte pendio. Il fondo è invaso da materiale alluvionale di riporto e termina in un basso sifone inaccessibile. Non ha formazione stalagmitica. La grotta a sud-ovest della Gallinola, a picco del Vallone Fallaco, verso la quota 1740 si interna nella grande montagna, che ha orridi imponenti e a due terzi di profondità si ode lo scroscio di una cascata sotterranea. La grotta delle Ciavole, ricca di stalattiti e stalagmiti, è spettacolosa e, malgrado si trovasse ostruita nel fondo da un enorme macigno rotolato dalla volta, continua il suo cammino attraverso i visceri della montagna per finire ai piedi di Mone Pelato (1930). Non mancano in questi maestosi meandri freschissime polle che formano sonore cascatelle. Così la Grotta del Fumo e la Grotta dei Briganti, esplorate in parte, e la caverna in fondo a Macchia Saporita a nord-ovest del Miletto, in cui freschissime correnti spirano attraverso le stalattiti. Le grotte di Letino e di Cauto, infine che erano un antico passaggio del Lete, sono anch’esse di particolare interesse scientifico e turistico. Per giungervi bisogna inoltrarsi verso un fianco della diga di sbarramento del piccolo lago, scendere numerosi scalini, indi salire con una scala. Ci si trova così all’ingresso della prima grotta ampia, lunga e pianeggiante. Si entra poi nella seconda, anch’essa ampia. Voltando a sinistra si va nella terza, simile ad un corridoio. Per entrare nella quarta necessita attraversare una crepa. Questa quarta grotta è denominata il “Presepe” ed è la più grande. Ve ne è anche un’altra, chiamata “Grotta della Madonna”. Entrambe sono ricche di stalattiti e stalagmiti. Vi sono poi altri passaggi che immettono in altre grotte. La lunghezza totale delle grotte esplorate di Letino è di circa cinquecento metri.

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Poc’anzi accennavo agli esercizi sportivi estivi ed invernali che si possono compiere sul Matese. Nella primavera o nell’estate, quando però il lago naturale non è in magra, lo si può attraversare in barca, fornita dalla Società Meridionale di Elettricità, oppure in “lontro”, una specie di zattera usata dai pescatori. È prudente però tenersi lontano dagli inghiottitoi. Una gita in barca su quel placido specchio, circondato da masse di verde, riesce sempre piacevole. Ma il lago acquista particolare rilievo in inverno, stagione in cui si presta agevolmente al pattinaggio. Non è raro il caso che pattinatori di paesi lontani, specialmente di Napoli, vi si rechino per godere appunto le emozioni del simpatico esercizio. Si consiglia però pattinare verso le sponde, onde evitare eventuali sinistri in caso di rottura del ghiaccio nella parte centrale. Lo si può attraversare anche in slitte, che, però, sul posto non si trovano.

Altro esercizio invernale è lo sci, che può effettuarsi quasi in tutte le montagne. I “Pionieri del Matese” di Napoli si recano a compiere tali esercizi al Passo di Prete Morto, alla Gallinola, al Raspato e a Campobraca, località adatte per campi di sci e perché vicinissime alla interprovinciale Piedimonte-Campobasso. Infatti da Napoli al Passo di Prete Morto – usufruendo del trenino della ferrovia alifana e di automezzi da Piedimonte – l’intero percorso si effettua in tre ore, col beneficio di rientrare in Napoli entro la giornata. Anche la Società “Scarponi del Matese” di Boiano – che tiene istituita una scuola sciatoria con proprio rifugio sull’Eremo di S. Egidio (m 1277) e che conta sezioni in Napoli, Campobasso, Roma, Foggia, Bari e in una ventina di paesi meridionali – converge i suoi soci oltre su S. Egidio anche sul versante opposto alla Gallinola, sul Passo dell’Orso (m 1750) e su altre località.

Per merito appunto dei due sodalizi e della Ferrovia Alifana, che concede speciali sconti ai turisti, il Matese sta divenendo un importante centro sciatorio, il più conveniente, economicamente, fra tutti gli altri d’Italia ed anche il più attraente, giacché, oltre ai cennati campi di sci, possiede un lago per pattinare e slittare, come abbiamo detto, e località ove effettuare, anche d’inverno, interessanti partite di caccia. Il Matese, quindi, a due passi da Napoli, Benevento e Campobasso, uscendo dal novero delle zone uniformi e monotone, ha conquistato subito le simpatie degli sportivi meridionali, e sarà, indubbiamente, fra non molto, il luogo preferito per importanti convegni turistici.

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Se dovessimo qui riportare tutte le leggende riguardanti il Matese, che da secoli si tramandano fra le popolazioni del massiccio, non basterebbe un volume. Sono tutte interessanti e molte hanno riferimento a determinati luoghi come l’Esule, il Biferno, il Parco d’Amore, la Grotta dell’Orso, il Monte Janara, la Serra delle Tre Finestre, la Valle di Laura, il Torano ecc., il Miletto, ad esempio il

…re dei monti…

a cui gelate nevi,

ancor quando in leone il sole alberga,

copron il mento e la canuta testa…

come scrisse il poeta Ludovico Paterno, è stato argomento di non poche leggende. I valligiani, che attraversavano le sue giogaie, ci hanno tramandato storie di stragi e di cataclismi ad esso attribuiti. Non mancano tradizioni, che dicono essere stato il Miletto, per la sua maestosa imponenza e per la sua bianca solitudine, considerato come un dio, che, specie d’inverno, non amava nessuna violazione e che scagliava i suoi fulmini contro chi avesse osato sfidare la sua ira...

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Il turista poi che attraversa il Matese, è colpito – oltre dalla bellezza del paesaggio – dalla foggia dei costumi muliebri, che destano singolare interesse per la loro varietà fra paese e paese, anche se tra questi, come Gallo e Letino, corra qualche ora di distanza.

Vedere così pittorescamente abbigliate le donne del Matese, specie se in gruppo durante qualche cerimonia od in occasione di festa, si ha l’impressione di una visione orientale. Questa varietà di fogge dimostra che l’adozione del costume ha origini remote, risalendo forse all’epoca sannitica o romana, e, come sembra più probabile, a quella della invasione bulgara di Altzek. Infatti il costume varia non solo nelle fogge, ma anche nei colori, e varia anche nello stesso paese in cui è adottato, a secondo cioè dell’età e della condizione sociale della donna, vale a dire se fidanzata, povera o ricca. A volerli descrivere tutti non è facile compito. Sono tanti i particolari e tanti i motivi ornamentali che li compongono, che non si riesce a spiegare come mai quelle donne, dedite alla pastorizia, possano saper confezionare sì preziosi lavori. È doloroso però constatare come l’uso del costume tradizionale vada a mano a mano scomparendo tra le popolazioni del Matese. Esso oltre ad essere una dimostrazione di arte ed un ricordo di storia paesana, esprime sempre un senso di distinzione tra paese e paese, e conferisce alla donna un’ingenuità graziosa. Anzi, a dirla con Console Generale Comm. Avv. Cesare Bevilacqua – che nel giugno del 1929 organizzò sul piano di Campitello la famosa Sagra del Matese – “il problema del folclore è un problema politico, economico e sociale della massima importanza, perché esso è intimamente legato col problema demografico e con quello della ricostruzione economica, terriera e rurale delle nostre contrade”. La Sagra – è bene ricordarlo – fu un raduno al quale convennero, nel costume tradizionale, uomini e donne di trentatre paesi e rappresentò una festa di ori e di colori in un’alternativa di canti e di danze caratteristiche.

Dinanzi agli ottomila intervenuti le donne di Letino, al termine della Sagra, si presentarono in gruppo galoppando su destrieri ed eseguendo una fantasia originale vivamente applaudita. Fu quella una superba affermazione delle tradizioni italiche e dello spirito animoso del popolo sannita, anzi la celebrazione di un rito, che da millenni forse, era rimasto interrotto.

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In quanto alle danze e alle canzoni matesine diremo, che anch’esse hanno origini antiche. La danza più in uso è la tarantella popolare che, per figure e movenze, differisce dalla napoletana e dalla sorrentina. In alcuni paesi viene ballata con ritmo celere e brioso, in altri con cadenze piuttosto lente, a secondo cioè del sentimento che si vuole esprimere e dello stato d’animo più o meno sopraeccitato di coloro che ballano. Queste danze hanno luogo in determinate circostanze: nelle feste nuziali o di battesimo, durante la mietitura o la vendemmia, od in altre occasioni. A Roccamandolfi la tarantella viene chiamata “Contrasto d’amore”, ed ha speciali figure e movenze. Caratteristiche sono quelle di Campochiaro, di San Paolo, Morcone, ecc.

I canti, in generale, hanno cadenza e tonalità che si avvicinano a quelli gregoriani. Sono ricchi di armonia, spontanei e pieni di originali espressioni. Si tramandano di generazioni in generazioni, serbando sempre la freschezza ingenua originaria, anzi in qualcuno si sente la stessa ingenuità della prima poesia italiana. Molti, più che la rima, hanno armoniose assonanze e prorompono semplici, vividi, senza influenza di studio o di elaborazione.

Il popolo canta come sente, seguendo l’impulso del cuore. Esso vive sui monti, nelle valli, sotto un cielo sempre puro, che ode cantare intorno a sé la natura delle cose, canta, canta sempre, nelle ore liete come nelle ore tristi, all’alba, al tramonto, nelle notti stellate, per espandere la piena del suo cuore, per un bisogno dell’anima. Si spiega, quindi, perché questi canti popolari hanno spontaneità di pensiero, originalità e semplicità di forma.

La “Canzone d’amore” di Boiano, il “Piano S. Nicola” di S. Polo, l’Uocchie de notte di Campochiaro, la “Terezumpe” e “Lariulera” di Guardaregia, ecc., sono delle melodie originalissime, che suscitano ricordi nostalgici.

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