Veni, pater pauperum

Veni, pater pauperum,

veni, dator munerum,

veni, lumen cordium.


Tutti e tre i versi di questa strofe, la seconda del carme, cominciano con Veni. Del primo verso della prima strofe si reitera l'imperativo familiare, che è insieme invito, preghiera ed esortazione, e si usano nei riguardi dello Spirito gli appellativi che pienamente lo definiscono. Comincia così la litania dei meriti, giovevole peraltro a farci approfondire lo studio sulla natura e sull'opera delle tre persone della Trinità, la quale dalla prima procede alla seconda e da questa alla prima personificando questa processione, che è l'amore infinito, divino, intercorrente tra il Padre e il Figlio. Vieni, o Spirito di Dio, e in questo dinamico scambio di carità immetti anche l'uomo, che è fatto dal Padre a sua immagine e somiglianza per la sua gloria.

L'opera tua, Paraclito, è il compimento del dinamismo trinitario, perché per te, per la grazia che dai, l'uomo viene assunto a figlio del Padre e a fratello di Cristo redentore. Ti si confanno , quindi, tutti gli attributi elencati nell'inno, i quali sono, in fondo, la sostanza del tuo essere in quanto profilano l'itinerario dell'azione che svolgi a favore dell'uomo affinché egli ragioni sul suo esistere e si determini a finalizzare la sua vita per il bene futuro, eterno, che è la visione del volto di Dio con il godimento eternamente rinnovantesi che essa dà.

Pauperum, pater pauperum. Dei poveri. Il povero che son io, povero in vita alla ricerca della pace che dà il buttarsi nel vortice benefico della volontà di Dio. Ma corro col pensiero ai poveri, quelli della miseria più nera, e l'aggettivo qui calza proprio bene, perché penso alle migliaia e migliaia di africani che non hanno di che sfamarsi, alle migliaia e migliaia di bambini, neri o gialli che siano, i quali muoiono nel mondo perché non hanno di che nutrirsi, e il cuore mi si stringe dentro. Ti dicono qui, nell'inno, padre dei poveri, e tu perché non vieni in soccorso dei tanti uomini che non hanno il pane? Se sei onnipotente e provvidente, perché esiste tanta fame su questa terra, dove sovrana regna l'ingiustizia? Lo so, a questo interrogativo doloroso quanto misterioso mi dà risposta il Catechismo con il richiamo all'insieme della fede cristiana: Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male. Egli illumina il mistero del male nel suo Figlio, che è morto e risorto per vincere quel grande male morale, che è il peccato degli uomini e che è la radice di tutti i mali. Lo so che Dio non permetterebbe il male, se dal male non traesse il bene. Mia mamma diceva, e lo ripeto sempre, che noi non conosciamo i fini di Dio.

Ma sta di fatto che la gente muore nel mondo per la povertà che incombe, e non solo sul mondo negro e nei territori dell'America latina, dove la desolazione è fatto di ogni giorno ma pure nell'occidente: la cosiddetta povertà silenziosa, che conoscono assai bene i nostri preti, quelli che fanno del loro sacerdozio ministeriale uno strumento pur esso silenzioso di grande carità. e tu, Paraclito, che sei detto anche qui padre dei poveri, ti vuoi muovere allora, vuoi venire a cambiare la faccia della terra, non tutta d'un colpo, ma almeno un po' alla volta, un pezzettino per volta?

Sulla sponda contraria a quella della miseria corporale, esistono altri poveri, quelli che non pensano alla salvezza. Oggi l'idea di povertà è da mettere in raffronto con l'idea di benessere che invade nella società. La ricerca della felicità ad ogni costo è perseguita da tutti come un mito e sospinge spesso ad azioni di marcata immoralità: si cerca di procacciarsi per sé solo i mezzi per essere più felici, più abbienti, meglio piazzati nel mondo, circondati da più gente in qualche modo sottomessa. Questa tensione in accelerazione crescente crea nell'uomo scompensi, perché nulla di ciò che si ha e si vuole è appagante. Si profila così la nuova povertà, quella dell'insoddisfazione, dei desideri smodati, delle aspirazioni impossibili. Di questi poveri di nuovo tipo tu non sei padre, perché i poveri che ami sono quelli che hanno la ricchezza della povertà vera, cioè della disponibilità ad accettarsi per come si è, del distacco dalle cose del mondo, dell'adeguarsi in tutto e per tutto alla volontà di Dio.

Si padre dei poveri, di quelli che si accettano per quel che sono e per quel niente che hanno, che si accontentano della loro condizione umana e la vivono con serenità, che fanno la volontà di Dio. la paternità è una posizione familiare di spicco, che rassicura, dà fiducia, crea speranza, ma è pure di grossa responsabilità. Si affidano a te i poveri in via, Spirito di dio, e nell'abbandono a te trovano rifugio. Consolali con l'abbondanza delle tue grazie, tu che sei dispensatore di benedizioni.

Dator. Il termine latino è usato da Plauto e da Virgilio, colui che dà, il datore. Potremmo ben dire nel caso nostro: il dispensatore, perché lo Spirito Santo nella sua essenza è l'amore, la carità, e la sua azione principale è proprio quella di partecipare l'amore di Dio all'uomo, attraverso la grazia santificante, le altre grazie, i doni, i frutti, i carismi.

Muoviti, tu che sei datore munerum, di prestazioni come compiti e come atti di compiacenza, come pegni di grazia e d'amore e come doni d'uso. Incontrare munus anche qui mi dà lo spunto per una riflessione serena. L'autore del carme conosce e studia indubbiamente il Veni, creator Spiritus e il suo obiettivo, più o meno segreto, è quello di farne una riduzione in chiave più popolare: per questo, ogni suo sforzo è teso alla ricerca della immagini più vive della vita di ogni giorno e all'uso di un linguaggio piano. È chiaro, però, che alcune parole vanno mantenute per la pregnanza del loro significato e in certo senso sono insostituibili ai fini dell'efficacia del messaggio che devono trasmettere. È il caso di munus, che nell'accezione più comune è dono.

Spirito di Dio, sei datore di doni. Lo conosciamo, il tuo settenario, una corona di disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le tue mozioni: Ne abbiamo detto. ma doni sono pure i tuoi frutti. Che cosa sono? Sono perfezioni che tu plasmi in noi come primizie della gloria eterna. Dodici ne enumera la tradizione della Chiesa: amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità. Se mettiamo insieme i doni e i frutti, constatiamo come costituiscano le linee che dovrebbero definire i comportamenti dell'uomo timorato di Dio, dedito tutto alla conquista della salvezza. Abbiamo detto «timorato» di Dio, e già ci siamo riferiti, anche non volendolo, a uno dei sette doni, il timore di Dio, il quale non è certo il meno importante di tutti: i nostri padri lo tenevano in gran conto e ne traevano grossi benefici, e sul piano spirituale, e per la vita di tutti i giorni. Ma dicendo «timorati», abbiamo fatto una selezione concettuale impropria, perché, se andiamo bene a studiare l'elenco dei doni e dei frutti dello Spirito Santo, dobbiamo annotare che essi sono i titoli dell'uomo «giusto», credente o laico che sia. Anche a questo punto del nostro discorso, dunque, è bene osservare che anche per quelli che non sono nella Chiesa le direttrici comportamentali dei cattolici hanno buona validità, e l'occasione è utile per rinnovare l'invito ai laici a leggere il Catechismo della Chiesa nella sua edizione integrale, perché esso è un libro di grossa validità culturale.

I doni e i frutti dello Spirito Santo sono illuminanti per l'intelligenza e produttivi per le volontà dell'uomo. Veni, lumen cordium. Non più si tiene la distinzione tra sensi, cervello e cuore: non si va troppo per il sottile e il lumen si chiede per il petto, dove la maggior parte degli uomini sente vibrare i sentimenti e dove si avvertono le urgenze d'amore e i bisogni di determinarsi all'azione. Tu, Spirito di Dio, ai tuoi poveri, di cui sei padre, a quelli che ne sono privi, di ogni colore e di ogni condizione che siano, a quelli che ne hanno necessità in un modo o nell'altro, vieni a portare i tuoi doni e i tuoi frutti e la tua luce irrori tutto il loro essere, i sensi, la mente, il cuore, perché diano gloria al Padre dei cieli e della terra e si preparino come loro conviene a cogliere il gaudio della salvezza.