De Sisto_Il periodo sannitico

Antonio De Sisto

Raviscanina, Paese mio

pp. 81-83

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Ma il territorio di Raviscanina fu storicamente stabile e definitiva dimora di popolazioni soltanto dopo la seconda ondata delle migrazioni di Italici nella Penisola (I millennio a.C.). Da allora si stabilirono nella zona popoli di origine indoeuropea, che si identificano in senso lato con i Sabelli, in senso più ristretto con i Sanniti. Il Mommsen opina che questo stanziamento sannitico sulla impervia dorsale appenninica non fu volontario, ma forzato: i Sanniti si stabilirono nella loro regione storica, perché le pianure erano state già occupate dagli Italici (i Latini) che li avevano preceduti in Italia molto tempo prima. Il grande storico tedesco, facendo uso anche di una bella e appropriata similitudine, afferma testualmente: “Il torrente allaga le alture solo quando le pianure sono già inondate, e solo quando le tribù latine ebbero già occupata la costa, si spiega che i Sabelli si accontentassero dei monti impervi, e da questi, poi, appena poterono, si spinsero fra i popoli latini”. (nella Pianura Campana; n.d.a.)[1].

E nel territorio del Comune sorgeva forse il centro agricolo sannitico di Rufrium o Rufricum. Tito Livio nelle sue Storie, narrando le vicende delle Guerre Sannitiche, a proposito di questo centro, dice: “Nel medesimo tempo le operazioni di guerra vennero condotte nel Sannio in modo vantaggioso (per i Romani). Furono (da questi) conquistati tre centri: Alife, Callife, Rufrio: e al primo arrivo dei consoli (nel Sannio), fu devastato in lungo e in largo (molto) altro territorio”[2]. Siamo nell’anno 428 di Roma, cioè nel 326 a.C. Sono consoli in Roma L. Petilio Libone Visolo II e L. Papirio Mugillano. Indubbiamente è la prima volta che i Romani calcano le terre del Medio Volturno e entrano nello stesso paese sannitico. E vi imperversano vittoriosamente riuscendo a conquistare uno dei più importanti e ricchi centri della Repubblica sannitica, Alife, e altri due centri viciniori, da quello quasi alla stessa distanza: Callifae a oriente, Rufrium o Rufricum a occidente.

In seguito i Sanniti riscatteranno (e come!) queste sconfitte: basti pensare al famosissimo episodio delle Forche Caudine, stretta gola montuosa tra i Comuni di Arpaia e Montesarchio in provincia di Benevento, là dove nel 433 di Roma, cioè nel 321 a.C., il generale dei Sanniti, Gavio Ponzio, sconfitto e preso prigioniero, con uno stratagemma di guerra, l’esercito romano comandato dai consoli Spurio Postumio e Tito Veturio, magnanimamente, lo rimandò a Roma indenne e con buone condizioni di pace, ma senza aver potuto impedire che lo stesso se ne partisse disonorato, per aver deposto le armi ed essere passato sotto la forca (il giogo). Le lunghe, tenaci, eroiche lotte dei Sanniti soccomberanno, perché il Fato vorrà Roma dominatrice del Mondo. Ma, come dice il Mommsen: “La storia non deve negare al nobile popolo sannitico la testimonianza che esso ha compreso il suo dovere e lo ha adempiuto”[3]. E il dovere del popolo sannitico era quello di tener alto il proprio nome, di conservare intatta la propria nazionalità, di mantenere indiscusso il proprio valore e senza macchia il proprio comportamento in pace e in guerra: per dirla in un unico concetto, di custodire gelosamente la propria libertà, sì da essere di sprone agli altri popoli, di ogni luogo e di ogni tempo, a fare altrettanto, in analoghe circostanze.

Fatta questa doverosa digressione e tornando al passo liviano più su riportato in libera traduzione, si deve qui precisare che il grandissimo studioso tedesco già citato poco innanzi, identifica il terzo centro nominato dallo scrittore latino, cioè Rufrium o Rufricum, con la più nota Rufrae, città sannitica tra Venafro e Teano, oggi S. Felice a Ruvo, presso Presenzano[4]. Con tutto il rispetto che si deve all’autorevolissimo Autore, va, però, qui osservato che in Livio si legge “Rufrium” (che tutt’al più potrebbe leggersi “Rufricum”), e non “Rufrae”; e che questa ultima città è sicuramente ubicata fuori del Medio Volturno e a molta distanza da Alife: comunque non ad una breve distanza qual è quella di “Callifae”, l’altro centro nominato dall’autore latino. Né si può obiettare, a questo òunto, che vi sarebbero così centri sannitici dal nome quasi identico: nell’area occupata dal popolo sannitico v’è addirittura un’altra “Rufrae”, città del territorio di Nola, dal nome esattamente identico a quella della “Rufrae”, sotto Presenzano[5]. E poi resti fonetici dell’antico toponimo liviano non sono forse identificabili anche nelle successive denominazioni toponomastiche dell’odierna Raviscanina: Rapa(canina), Rave(canina), Ravis(canina), Raba(canina), Rupis(canina), Rupe(canina)?

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[1] THEDOR MOMMSEN, Storia di Roma Antica (Romische Geschichte), Firenze, 1967, p. 44.

[2] TITO LIVIO, Storie, VIII, 25, 4.

[3] THEDOR MOMMSEN, op. cit., p. 452.

[4] THEDOR MOMMSEN, op. cit., p. 453.

[5] P. VIRGILIO, Eneide, VIII, 739.