ve ne state notte e giorno in questo Sacramento

3 - ve ne state notte e giorno in questo Sacramento

II Figlio di Dio viene concepito nello splendore della grazia di Maria, avvolta dallo Spirito Santo, attonita di fronte al mistico volo di Gabriele; è condannato e muore sulla croce; risorge, vincendo la morte. Tutto questo per amore dell'uomo. Lo ama fino alla fine dei secoli. Dopo la risurrezione non può abbandonarlo solo sulla terra e per l'amore infinito ed eterno che gli porta decide di rimanere con lui in carne ed ossa per sempre. Non memoriale nel suo significato laico, non testimonianza di un passaggio, non documento di ricordi, ma in persona, in corpo, sangue, anima e divinità. Sempre vicino all'uomo, sempre presente al suo dolore, vede, si ferma e gli fa forza, eterno soccorritore fino in fondo dell'uomo che scende da Gerusalemme. Sta lì sotto le specie della transustanziazione.

Stare nel senso di essere contenuto, ma pure di abitare, avere dimora: il senso teologico storico e il senso della quotidianità. Ci stai lì per starmi vicino di fatto, per darti a me tutto e in tutto, per esser­mi viatico d'amore. Giorno e notte, potrei ben dire trasportabile, se penso a Tarcisio ma pure al prete che ti tiene nella pisside portatile perché tu sia presente a chi vuoi morire abbracciandoti. Così per l'uomo di tutti i tempi e di tutti gli spazi nasce il sacramento: l’eucaristia, il sacramento dei sacramenti, fonte e culmine della vita eccle­siale. E nasce in modo solenne, come si conviene ad un evento tanto eccezionale, divino.

Il primo giorno degli azzimi, Cristo vuole per mangiare la pas­qua una grande sala con i tappeti, come specifica Marco più di Matteo. E Luca riprende: una sala al piano superiore, grande e addobbata. Si istituisce l'eucaristia e si fonda il sacerdozio ministeria­le: un avvenimento che merita un luogo ben preparato, degno dell'accadimento. Nella Chiesa invale pur oggi, forse è meglio dire che è invalso per un certo tempo, specie nella confusione postconciliare, la moda della povertà ad ogni costo e si è tentato di sostituire il vasella­me sacro con manufatti di coccio. Mi pare ridicola, oltre che riduttiva, questa tendenza. Quando viene a casa mia una persona di riguar­do, non si prepara la tavola con il servizio di piatti più buono e il ser­vizio di posate d'argento? Cristo è il re di un regno che mai finisce e l'eucaristia è Cristo stesso. E nel trattare il vasellame sacro bisogna avere rispettosa accortezza, non usarlo, come si fa oggi in certe chie­se, trasportandolo di qua e di là con le mani sporche e senza riguar­dosa cura. Mi pare che debbano essere ancora validi in merito gli insegnamenti che ci venivano dai vecchi e santi nostri preti.

Quindi si prepari con i tappeti più belli la sala e con le migliori stoviglie la tavola per l'istituzione del sacramento che fa rimanere Cristo Signore in carne ed ossa con l'uomo fino alla fine dei secoli. E per quanto riguarda la povertà della Chiesa mi permetto dire che Gesù di Nazaret si presenta bene in ogni circostanza. Non è tanto preziosa la sua tunica, filata d'un sol pezzo, che i militi che lo croci­figgono nudo non vogliono tagliarla e se la giocano ai dadi? Qualcuno ha scritto che, se il Figlio dell'uomo fosse vissuto oggi, si sarebbe fatto vestire da Armani o che so io da Valentino. Certo non lo fu allora, e certo non sarebbe stato oggi uno straccione. Potrebbe apparire irri­verente, oltre che fuori posto, un ragionamento del genere; ma non è così, perché Cristo non è l'uomo storico, di cui tutti parlano e scrivo­no, e spesso a sproposito, Cristo è vivo, è di ogni tempo, è d'oggi, e sta con noi, notte e giorno, in corpo, sangue, anima e divinità, nel sacra­mento dell'altare.

Credo che sia inutile precisare, comunque, che il nostro riferi­mento è al modo di porsi del Figlio dell'uomo, ben sapendo che la sua dottrina non è classista e che egli è venuto sulla terra per salvare tutti, poveri e ricchi, i poveri che si fanno ricchi della speranza della risur­rezione e i ricchi che si fanno poveri con i distacco totale dalle cose terrene. Le regole son per tutti eguali e ciascuno le applica al mistero che è di fronte a Dio che sa tutto: il più povero può essere dentro il ricco più avido, desideroso com'è di avere il massimo del mondo; il ricco può essere dentro il più miserabile di tutti, spogliato come si è di ogni attaccamento alle cose della terra. Anch'io per i libri, che sono il mio tesoro di sempre, Signore, ho perso finalmente interesse, non mi appartengono più, sono solo strumento nelle mie mani. Anch'io, tutto, sono strumento inutile, ma ci sono, mi hai messo nella creazio­ne, e mi riverso nella tua misericordia. Valgo per quel che valgo ai tuoi occhi. È vera povertà e vera ricchezza insieme rimettersi nelle tue mani: lo ha fatto tuo Figlio allo stremo delle sue forze, nella povertà del dolore ha portato all'uomo la ricchezza infinita della redenzione.

E la casa dove Gesù mangia la pasqua e celebra la prima eucari­stia è di Prisco, un ricco nobiluomo di Gerusalemme, uno dei primi suoi settantadue discepoli, accompagnatore di Simon Pietro nel suo primo viaggio a Roma e da Pietro ordinato vescovo e mandato a Capua nell'anno 44 dell'era cristiana. Accettiamo questo dato storico venutoci dalla tradizione con animo lieto, perché Marcianise, il paese natale, è nella giurisdizione dell'arcidiocesi di Capua.

E non sono impertinenti le cose che dico, certamente non lo è lo sfogo della preghiera, perché attengono tutte al tempo dell'adorazio­ne dell'uomo, unico per ciascuno e di volta in volta nuovo come ogni movimento del mare, ineliminabile nel giro della vita, che in buona parte non è in mano nostra. Così mi vien da ricordare la festa del Corpus Domini, la quale ora per un opportuno accoppiamento è anche del sangue di Cristo, solenne con tutte le cose che non ci sono più, gli altari apparati ad ogni incrocio importante di strade, i miglio­ri copertini di seta del corredo muliebre appesi alle finestre e ai bal­coni di casa, le piogge di fiori freschi, le infiorate, il saluto dell'altro capitolo, quello dei cappellani dell'Annunziata, la partecipazione corale alla processione. Le preghiere, i canti. Vedevo Gesù passare sotto il pallio in carne ed ossa, così come passava per le strade del Vangelo, e penso a Zaccheo che per vederlo meglio sale sul sicomoro e poi lo ospita in casa sua per il pranzo. È la fede della fanciullezza: me lo dicevano mio padre e mia madre.

Ed è pur oggi vero. Gesù passa in corpo, sangue, anima e divini­tà, vivo e autentico, sotto le specie eucaristiche transustanziate nella celebrazione del sacrificio della messa che rinnova ogni volta sull'al­tare il sacrificio del Figlio di Dio. Mutano i tempi e con essi le mode anche liturgiche: la voglia di ritrovarsi insieme anche con gli scisma­tici e i protestanti della storia allenta il rigore celebrativo; il sacerdo­te non è più sull'altare il primo dei fedeli ad implorare Dio, ma al popolo si gira quasi, non dico a far spettacolo, e potrei ben dirlo in tanti casi, ma a farsi vedere; il latino, la lingua universale della Chiesa, non c'è più e i preti non ne sanno più manco i primi rudi­menti della grammatica. I tempi cambiano, gli usi pure, ma Cristo sta sempre vivo e vero nell'eucaristia, notte e giorno.

Speranza s'intravede nella ripresa del fervore eucaristico e il papa ribadisce che la fede della Chiesa cattolica è l'unica fede cristia­na e pare che certe revisioni si profilino a dar rinnovata vita alle espressioni antiche d'esser cristiani autentici, pochi ma rilevanti, e a non pentirsi così facilmente e per metodo dei comportamenti storici passati. Il convincimento abbiamo che la forma sia sostanza quando è espressione matura della fede che si ha dentro, quella dei padri tra­smessaci nel sangue: Gesù nell'eucaristia, il sacramento dei sacra­menti, è vivo e vero in corpo, sangue, anima, e divinità. La chiesa, ogni chiesa, la casa di Dio, domus orationis, è il luogo della conservazione delle specie eucaristiche; cioè l'abitazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio per natura, Figlio dell'uomo per natura. Per ciò non v'è chi non veda l'eucaristia come la parte centrale dell'ortodossia e dell'osservanza cattoliche, il pilastro portante sul quale s'incardina la vita più auten­tica della Chiesa come comunità dei fedeli e intorno al quale non è possibile cedimento alcuno. E cosa sia il sacramento nella pratica religiosa del popolo di Dio è testimoniato dalla vita di tutti i santi, nessuno escluso, che di esso hanno sostanziato la loro crescita spiri­tuale e l'efficacia della loro azione in ogni campo.

Chi non mangia il mio corpo e non beve il mio sangue non avrà la vita eterna. L'eucaristia è il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti. Nelle specie eucaristiche è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente, come si scrive cor­sivo nel Catechismo, il Cristo tutto intero. È in forza di tale presenza che Cristo, Dio e uomo, si ferma in mezzo a noi realmente, sostan­zialmente. E questa presenza ha inizio al momento della consacrazio­ne e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte, perché la frazione del pane non divide Cristo. L'eucaristia, quindi, è santo sacrificio, perché attualizza l'unico sacrificio di Dio salvatore e com­prende anche l'offerta della Chiesa, e la conservazione delle specie eucaristiche in esso transustanziate è la continuazione perenne della presenza nel mondo di Cristo vivo e vero, che si sacrifica in ogni momento della sua vita eterna per me appunto sotto le specie eucaristiche, il santissimo sacramento, cioè il sacramento dei sacramenti, conservato notte e giorno nel tabernacolo dell'altare.

E questo sacrificio, memoriale del sacrificio della croce, presen­za, è pure rendimento di grazie, origine e culmine della vita ecclesia­le, comunione al Cristo Signore, fonte di carità, farmaco d'immorta­lità. La stessa radice della designazione della Chiesa come corpo di Cristo è nell'eucaristia; è Paolo di Tarso a proclamarlo con sicurezza: poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo. Quindi questo sacramento costituisce la comunità dei credenti, è comunicazione del mistero della comunione trinitaria, è mezzo di conversione e di penitenza, è cibo spirituale. È viatico di vita cristia­na, pegno della vita futura.

La frazione del pane, anche nella nostra vita di famiglia, è un momento di fraternità gioiosa, come lo è stato nell'antichità, un rito tipico della cena ebraica che Gesù riprende come capo della mensa durante l'ultima cena. E, dopo la risurrezione, dalla frazione del pane riconosceranno il Maestro. Alla tua mensa anch'io voglio sedere, spezzami il pane, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, per farmi partecipe della tua amicizia. Non son degno, lo so, di stare alla tua tavola, ma tu dimmi solo una parola per salvarmi. O memoriale mortis Domini, /panis vivus, vitam praestans homini, / praesta meae menti de te vivere, / et de illi semper dulce sapere. Ho bisogno di te, del tuo pane, del valore salvifico che hanno la tua carne e il tuo sangue, del tuo amore che ti fa chiuso nelle sacre specie per me. Dammelo, il tuo amore, perché te lo voglio ridare come posso, povero, sfilacciato, sco­lorito, come posso ridartelo io, pecora smarrita del tuo ovile, vecchio servitore accasciato del tuo regno.