Piedimonte_08

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Cap. VIII

L’UNIVERSITÁ E IL GOVERNO MUNICIPALE

(pp. 69-75)

L’UNIVERSITÁ – Avendo accennato in altra parte di queste Memorie all’« Università »(Comune), è bene sapersi che il sorgere delle Università nel Napoletano non fu una rivoluzione politica contro i poteri dello Stato,ma una vera e propria rivoluzione sociale contro la feudalità. Con la stabilità dei feudi, durante il periodo svevo, si costituirono pure stabilmente le Università, tanto vero che queste cominciarono perfino a litigare tra loro, come avvenne tra Alife e Piedimonte nel 1270, secondo ricavasi da un documento del Registro Angioino (fol. 20), per una contestazione riflettente un’incertezza di confini e pertinenza di territorio (Alifi terra super differentias finium territorium et pertinentias inter ipsam et Pedimonti).

BAGLIVI O BAIULI – Alle Università erano preposti i Baglivi o Baiuli, che, come si sa, furono istituiti sin dai tempi di Roberto il Guiscardo. Essi amministravano le rendite del ducato e la bassa giustizia. Re Ruggiero, poi, concesse – per singolar privilegio – ad alcuni baroni e ad alcune chiese il diritto di nominare i Baglivi, nelle Terre e nelle Università.

MAGISTRATI MUNICIPALI – Oltre al Baglivo, l’Università di Piedimonte era retta da altri magistrati, cioè dai Giudici e Sindaci, Consiglio ed uomini probi della Terra. Ce ne danno la prova gli Statuti del 1491. I Giudici rivedevano i conti dei Sindaci scadenti di carica, usando diligenza e rigore nella revisione perché l’Università non rimanesse lesa nei suoi interessi da parte di cattivi amministratori.

ELEZIONI E DURATA DELLE CARICHE – Ignoriamo in qual modo avvenisse l’elezione dei magistrati. Di certo sappiamo che il Sindaco ed il Giudice venivano designati dagli uscenti, e poi nominati « ad eleccione de lo Consiglio » come è scritto negli Statuti. Entrambi non potevano essere rieletti se per caso risultavano debitori dell’Università; se erano in lite con essa, o non avessero resi i conti di loro gestioni.

Il Sindaco – dicono i documenti – non poteva « liberare denari et alt.o , né fare cosa alcuna » senza l’autorizzazione del Consiglio, autorizzazione che doveva però essere sempre trascritta nel relativo « quaterno » (in caso d’inadempienza s’incorreva nella « pena di un’onza »), nel quale conti e ragioni dovevansi « scrivere, annotare, e registrare ».

IL “SEDILE” MUNICIPALE – Era il luogo ove i Giudici e Sindaci, nonché il decurionato, si radunavano per il governo dell’Università. Il Trutta ritiene che il « sedile » fosse dov’era il sotterraneo dell’anticha chiesa di S. Maria Maggiore, tramutato poi a stalla, e propriamente il sotterraneo del teatro di Casa Gaetani. Egli sostiene che il « sedile » fu fatto fabbricare da nobili alifani divenuti nostri concittadini. Queste congetture, prive di qualsiasi prova archivistica, non hanno base di fondamento, anche perché esistendo la chiesa di S. Maria Maggiore sino ai principii del Sec. XVIII, il sotterraneo in parola era adibito a sepolture. La casa comunale si trovava vicino alla chiesa, ove il decurionato aveva modo di riunirsi. Il « sedile » fu opera di nostri concittadini inquantoché fin dalla creazione dell’Università i governanti dovettero certamente pensare a formarsi la sede delle loro adunanze.

Gli Statuti della Terra (1481) ci parlano appunto del « sedile » municipale, e dicono perfino che alle eventuali riparazioni dei seggi dovevano provvedere i Giudici in carica, per conto dell’Università, in contrario, trascurandone la manutenzione, per negligenza, le spese sarebbero andate a loro carico. Infatti, l’articolo seguente, tratto dagli Statuti, dice testualmente: « Item, che li iudici p. tempo de lo suo officio siano tenuti a fare reparare ale spese de la Università lo segio de ep.a t.ra et om.ne altro loco necessario ad reparare in tucto quello ch. Se bisognerà reparare. Altram.te ipsi iudici q. om.e dap.no ch. p. la loro negligentia ne exeguerà se exercista alle spese loro ».

GOVERNATORE – Sostituì il Baglivo ed il Capitanio. Piedimonte quindi era sottoposta al Governatore, in rappresentanza dello Stato e di gradimento del feudatario. Soprintendeva al regolare andamento politico-amministrativo dell’Università, e poiché quasi sempre tutelava più gli interessi del feudatario che dei cittadini, spesso sorgevano degli attriti tra lui e gli eletti, specie quando erano in gioco diritti e prerogative feudali.

Per assurgere alla carica di Governatore occorreva essere addottorato in legge e di non essere del luogo, salvo casi eccezionali, come avvenne negli anni 1597, 1634 e 1637, epoche in cui l’ufficio fu affidato ad alcuni cittadini.

Appena il Governatore veniva immesso in carica, doveva, col feudatario, confermare, approvare e ratificare le leggi locali (Capitoli e Statuti), con giuramento di osservarle e rispettarle, specie le convenzioni nelle quali erano sancite le norme riguardanti la baiulazione sulle erbe e sulle montagne, con la decima al feudatario, le donazioni, franchigie, proventi e diritti della bagliva.

DECURIONATO E PARLAMENTO MUNICIPALE – Di deliberazioni consiliari emesse dal 1481 al 1740 non abbiamo tracce nell’Archivio municipale. Esse, dovevansi trovare nell’Archivio di Casa Gaetani, ove però nulla abbiamo rinvenuto. Sappiamo solo, per notizie indirette, che l’ordinamento municipale si mantenne intatto fino al 1757 epoca in cui l’antica forma di decurionato, composto di 24 membri, venne sostituita dal Parlamento aperto. Col progresso dei nuovi tempi, quando il terzo stato cominciò ad essere prevalente nella vita pubblica, la forma del referendum popolare prese consistenza sino a far dimenticare la primitiva forma di decurionato.

Questo venne ripristinato definitivamente nell’anno 1805, come risulta dal seguente documento tratto dagli atti deliberativi municipali. Da esso si rilevano interessanti notizie non solo sulle ragioni del ripristino in parola, ma anche sulla formazione del decurionato stesso.

« Oggi che sono li dieci Marzo Milleottocentocinque 1805. In questa città di Piedimonte, e propriamente nel Chiostro inferiore del Ven. Mon.ro de RR. PP. Celestini di Vallata della Città sud.a, luogo solito da convocarsi li Pubblici Parlamenti, dal Sig. D. Francesco Pitò Giudice e Sindaco, Vincenzo Capriati, e Giuseppe Messina Eletti dell’Uni. della Città pred.a, coll’intervento, assistenza, e presenza del D. Sig. D. Luigi de Marco Regio Attitante della Real Cam.a di S. Chiara, e Commissario Deputato della prefata Real Cam.a, precedenti commissioni in sua persona spedite, sotto il dì 4 del corr.te Marzo, si è fatta alli Cittadini Parlamentari intervenuti nel pubblico Parlam.to tenuto questa mattina, precedente l’emanazione, ed affissione de Banni nelle solite, e consuete forme, la seguente proposta:

Signori miei: questa Università ab immemorabili, e da tempo antichissimo è stata sempre governata da due Sindaci, e ventiquattro Decurioni, o siano Consiglieri, e per quanto ci assicuri la tradizione de nostri Maggiori fu d.a nostra Uni. sotto d.a forma di governo in uno stato florido e felice; ma nel 1757 per impedirsi la separazione domandata del Quartiere di Vallata, da quello di Piedimonte, fu dalla Reg.a Cam.a della Sommaria prescritta l’elezione alternativa di un Sindaco, e due Eletti in luogo degli antichi due Sindaci; e da questo stesso tempo si vide insensibilmente sospesa l’elezione dei ventiquattro Decurioni, ed introdotto il Parlamento aperto. In quest’epoca, questi Parlamenti aperti sono riusciti perniciosi alla nostra Università, perché le SS. VV. distratte dalle dimestiche occupazioni non hanno avuto cura intervenire, ed avete lasciate le deliberazioni pubbliche ad un scarsissimo numero di Parlamentari, e lo attestano li libri delle nostre pubbliche conclusioni. Frattanto da giorno in giorno sono cresciuti li disordini, il pubblico peculio si è veduto dissipato, ed invece di avanzare l’annua rendita come prima, si è trovata ogni anno l’Università in debito, ed in attrasso; e sopra i vostri Fondi, e le vostre Industrie sono ogn’anno piombate gravissime Tasse Suppletorie, in maniera che varie volte ne’ passati Parlamenti si è conosciuto, che questo Pubblico avea bisogno dell’antica Forma Decurionale per risorgere da suoi mali, e per affidare ai più probi e zelanti Cittadini il consiglio, e l’amministraz.ne del pubblico interesse.

Mossi perciò dal dovere della nostra Carica che occupiamo di procurare ogn’utile espediente al pubblico bene, e molto più dalle premure fatteci dalle SS. VV. così in privato, come ne’ d.i pubblici Parlamenti, ci siamo determinati di umiliar supplica alla Maestà del Re N. S. (D. G.) ed esponendo lo stato deplorabile di questa Uni. abbiamo chiesta la grazia di ripristinare in questa Uni. il governo Decurionale, secondo l’antico solito, e sulla supplica umiliata dalla Cam.a di S. Chiara di ordinare esplorarsi la volontà delle SS. VV. in pubblico Parlamento, e ne ha commessa l’esecuz.ne al benemerito di Lei Reg.o Attitante, che ci stà favorendo col suo intervento, ed assistenza, affinché ognuno di Voi possa dare liberam.te il suo voto secreto, affirmativo, o negativo, secondo che vi suggerirà lo zelo che avete per lo pubblico bene. Noi in pronta esecuz.ne de Reali ordini abbiamo formalm.te ratificata la sud.a Supplica, e domanda della ripristinazione del d.o nostro Decurionato innanzi al prelodato Sig. Regio Attitante; ed abbiamo soggiunto, che per essersi da Noi diviso il Casale di Castello, sono sufficienti Venti Decurioni, per essere diminuita la popolaz.ne colla d.a separazione di Castello, e che questi venti Decurioni debbano essere presi dai due differenti Ceti Civile, e Popolare, e dai due differenti Quartieri di Vallata, e Piedimonte p. egual numero; e che la di loro durata debba essere per un quadriennio continuo, e la di loro elezione p. la p.ma volta ad arbitrio della Real Cam.a, e p. l’elezioni successive a nomina degli Amministratori pro tempore con terna, e ad elezione, ed approvazione per voti secreti de Decurioni pro tempore, rimanendo sempre ferma l’alternativa di un Sindaco, e due Eletti annuali, e secondo il solito, da farsi dal Decurionato, e pubblico consiglio sostituito al Parlamento aperto, come le SS. VV. possono osservare dettagliatam.te espresso nell’atto della ratifica formata innanzi al sud.o Regio Attitante. Sicché ognuno di Voi si accosti alla Banca del d.o Regio Attitante, e dia il suo voto secreto e secondo il solito ».

(Seguono 18 nomi di cittadini parlamentari appartenenti al ceto civile, e 275 al ceto popolare).

« Ben intesa e considerata la suddivisata proposta dalli soprad.ti Cittadini votanti, e datasi la bussola per voti segreti, e finalm.e apertasi d.a bussola, e numerati li voti secreti alla presenza dei med.i Cittadini e dello sud.o Attitante Comm.o deputato dalla prefata Real Cam.a, non men che delli sud.i Giudice e Sindaco ed Eletti si sono trovati num.o Duecento cinquantuno voti affirmativi, e num.o ventiquattro negativi. Sicché dunque p. maggioranza di voti secreti è rimasta approvata la sud.a ripristinazione e forma di Governo decurionale al modo descritto nella proposta fatta di sopra ».

Riesce opportuno ricordare che il Decurionato, nei primi tempi di sua costituzione, si riuniva nell’antica Piazza del Mercato (S. Maria Vecchia), e dal Sec. XVIII in poi nei Chiostri di S. Domenico, Celestini, e Carmine, o nella Casa del Bollo (Corporazione della lana) presso l’attuale Piazza Municipio.

SISTEMA DI VOTAZIONE – I ceti civile e popolare intervenivano nel Parlamento pubblico prendendo parte alle votazioni. Manifestavano l’approvazione o il diniego con un « sì » o con un « no » rispettivamente. Questa specie di votazione offriva non pochi inconvenienti e favoriva molto la corruzione, perché l’elettore votando ad alta voce, dava così la prova richiesta dal corruttore. Fu perciò sostituita la bussola alla votazione palese.

Non si pensi che l’elettore si servisse della scheda per segnare nomi o per esprimere il proprio parere. Siccome quasi tutti i votanti erano in maggior parte analfabeti, si ricorse al metodo dei « fagiuoli bianchi » e delle « fave negre abbrustolite »: queste – riaperta la bussola – rappresentavano i voti negativi; i primi, quelli affermativi. Il sistema, come si vede, era spiccio, ed assicurava la segretezza del voto. Esso è perdurato fino ai principî del Sec. XIX. Vennero, poi, le leggi elettorali, e da esse scaturì la famosa scheda per i candidati alle pubbliche cariche, scheda che, secondo il legislatore, doveva garentire il segreto del voto. Invece essa non fu che un trucco, poiché subito si trasformò in « scheda girante » od in « scheda segnata », dando luogo a tutti gli imbrogli, pastette e magagne elettorali.

CERIMONIE E DATA DELLE ELEZIONI – Giova, intanto, conoscere una cerimonia in uso durante il periodo del Parlamento aperto. Allorquando si addiveniva alla nomina dei Sindaci, i reggimentari, prima della votazione, erano obbligati all’audizione della « Messa dello Spirito Santo ».

In un primo tempo le elezioni venivano fatte nel mese di agosto, ma dal 1782 in poi si stabilirono nel maggio, in modo che i nuovi eletti prendevano possesso delle loro cariche nel successivo mese di agosto.

Nelle votazioni sulle nomine che faceva il Decurionato – alloché desso venne ripristinato – cominciò l’uso delle schede, che, dopo scritte dai decurioni, venivano poste in un’urna. Un bambino, dagli occhi bendati, le estraeva, e ritirate dal Sindaco venivano lette ad alta voce.

OBBLIGO DELLA PRESENZA DEL GOVERNATORE NELLE RIUNIONI DEL PARLAMENTO – Per le riunioni del Parlamento pubblico vi era obbligo della licenza e della presenza del Governatore. Lo rileviamo da un atto dell’anno 1785. « Nel luogo ove si tengono i Pubblici Parlamenti – esso dice – mi sono di persona conferito non solo io, ma anche, in esecuzione di precedente ordine, il mag. D. Mariangelo Palladino, Governad.e e Giudice della Corte di questa Città col suo Mag. Mastrodatti Giuseppe Galassi, il Mag. Dottor D. Giuseppe Gambella, che suole fare da Luogotenente, come pure il Mag. D. G. B. Fusco attuale Mastro di fiera ed assessore rispettivamente, e come tali tengono la giurisdizione di da Corte, e finalmente, li Mag.i D. Filippo d’Agnese, G. A. Vetere, e G. Riselli Sindaco ed eletti di detta Uni. col loro Mag. Cancelliere F. de Clavellis, ed ho loro manifestato ciò che segue: Incarico a Lei perché si conferisca subito in Pied. d’Alife, chiami a sé nel luogo ove si tengono i pubblici Parlamenti il Governadore, Luogotenente, e Mastrodatti della Corte ed i Magnifici Giudici e Sindici del Comune di Pied. Ed intimi loro, tutti uniti, che è sovrano comando di S. M. che tutte le fiate che i Mag. Giudici e Sindici vogliano convocare pubblico Parlamento debano cercare la licenza, e l’intervento del Governadore o Luogotenente, che tal licenza il Governadore o Luogotenente debba subito accordarla, e per niuna qualunque causa possa negarla, dovendo forzosamente colui che regge la Corte sia il Governadore, sia il Luogotenente, intervenire a reggere il Parlamento, senza punto cercare, sapere o domandare qual sia l’oggetto della convocazione del Parlamento; perocché deve il Governatore sentirlo, e saperlo nel momento che il Giudice o Sindaco ne farà la proposta al Pubblico e punto prima di quel momento deve farsi conscio dell’affare che il Giudice voglia trattare in Parl.o. Ella comunicherà al Governatore e suo Luogotenente attuale fururo la pena pecuniaria di D. 300 da esigersi in pro del fisco e lo sfratto di questa Provincia, motivo per cui farà scrivere questa sovrana risoluzione nel Libro delle Obbliganze e nel Libro dei Pubblici Parlamenti del Comune di Pied., facendo sottoscrivere nell’uno e nell’altro libro l’attuale Governadore e Mastrodatti e Luogotenente se sia fisso dall’illustrissimo Possessore ed i Mag. Giudici e loro Cancelliere, autorizzato l’uno e l’altro atto con la propria di lei sottoscrizione e resto. Di Nevano 17 Nov. 1785. Natale Maria Cimaglia ».

RATIFICA DELLE NOMINE DEGLI AMMINISTRATORI – Siccome il feudatario ratificava esso le nomine degli Amministratori del Comune e spesse volte vi si negava, mettendosi così in aperto contrasto col paese, avvenne che l’Università ricorse al Re per far cessare l’abuso, e il Re con dispaccio del 12 agosto 1786, le diede ragione, come risulta dalla seguente lettera del Commissario di Campagna, Natale Maria Cimaglia.

« Signori miei: È ricorsa a S. M. (Dio Guardi) cod.ta Uni., e si è doluta che non ostante la Real risoluzione del 13 settembre 1776 con dispaccio della Real Seg.ria di sentirsi con orrore li jussi e dritti Baronali, trà quali anche quello di confermare i Govern.ti dell’Uni., che è una violenza contraria allo spirito delle Leggi del Regno, ed alla libertà con la quale debbono le Popolazioni eleggere i loro Governanti e provvedere agli interessi dell’Uni. mede.ma per loppiù contrarij a quelli del Barone di Laurenzana voglia che facendosi l’Elezzione degli Amm.ri questi non si mettessero in possesso del loro esercizio se prima non ottengono la sua confirma; Ed avendo S. M. in vista di questa sup.ca col Dispaccio del 12 questo Mese della Real Seg.ria di Giustizia comandato a questo Tribunale a disporre gli ordini opportuni per l’esatta osservanza della Real Risoluzione che siè citata, sentendo chi convenga, l’istesso Trib.le sicome ne hà avvisato cod.to Mag.co Erario Loco Feudi per l’esecuzione, così lo prevengo alle Signorie Loro per la di loro intelligenza ed adempimento e resto. Delle Signorie Loro, Ischia 17 agosto 1786. Aff.mo servidore Natale Maria Ciamaglia ».

UNIFORME DEI SINDACI E DEGLI ELETTI – Durante l’ulitmo anno della dominazione murattiana, e propriamente nel gennaio 1815, un Decreto prescrisse la uniforme pei Sindaci e per gli Eletti (assessori), uniforme che si abolì nel 1816. Quella pel Sindaco era così confezionata: Abito bleu guarnito di bottoni dorati; cintura tricolore (francese), cioè bleu, bianca e rossa con frangia di seta tricolore agli estremi; cappello montato. Quella per gli Eletti differiva nella fascia che aveva la frangia di seta bianca.

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