Da virtutis meritum

Da virtutis meritum,

da salutis exitum,

da perenne gaudium. Amen.

La richiesta del sacro settenario è fatta con l'imperativo di dare: a trainare la terzina c'è solo questo verbo, che noi troviamo anche nella penultima quartina del Veni, creator Spiritus, al primo verso di essa: Per te sciamus da Patrem. Si chiede per avere, e senza mezzi termini. In questo carme, fin qui, si è sollecitata l'azione diretta del Paraclito: il fare. Ma poi, alla fine, quando si arriva alle cose grosse, il tono diventa imperativo e l'istanza è fatta per ottenere favori, e certamente non di poco conto, come il settenario per stare alle cose su cui fin qui si è riflettuto. Ma il da si reitera ancora per tre volte, e all'inizio di ogni riga, nella conclusione dell'inno.

Il discorso sull'ultima strofe del carme può essere impostato in diverse maniere, ma tutte convergenti sull'obiettivo finale, che è il paradiso, richiesto con il cuore aperto dal desiderio vivo di possederlo per l'eternità. Di queste strade interpretative, due ci danno soddisfazione, cioè ci avvicinano all'idea matrice dell'autore del canto: o consideriamo i tre versi della strofe legati da un unico concetto, quello della salvezza finale, o li prendiamo ciascuno a se stante, stimando solo l'ultimo riferentesi all'eterno gaudium.

Comincio a discutere della seconda interpretazione, che è più legata allo svolgimento della composizione, la quale è somma di domande e si attaglia alla concretezza dell'esistere quotidiano. Del resto, solo una strofe dell'inno è dedicata tutta ad una sola richiesta, la penultima, con la quale non si chiede poco, come abbiamo visto: si chiedono cioè insieme tutti e sette i doni dello Spirito Santo, inanellati nel settenario. E lì, in quella strofe, la preghiera incomincia con da, dacci, e l'imperativo orazionale si ripete nell'ultima strofe per tre volte, ad aprire, come abbiamo detto, tutti e tre i versi che la compongono. È pur questo ripetere il verbo che ora ci induce a considerare distinte le tre petizioni e a valutarle ciascuna come fatto a sé, ciascuna come elemento vitale della condizione umana.

Da virtutis meritum. La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene, si scrive nel Catechismo. Essa consente alla persona, non solo di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tute le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene, lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete. San Paolo la definisce, rivolgendosi ai filippesi, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, affermando che la virtù merita lode. Ma cosa siano le virtù umane mi piace sottoporlo all'attenzione di chi mi legge con le parole del Catechismo, che è un libro prezioso per tutti, credenti e non credenti.

Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene. Le virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di atti moralmente buoni, dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad entrare in comunione con l'amore divino.

Si chiede il merito della virtù allo Spirito Santo, che è, come scrive Pio XII nella Mystici corporis, «il principio di ogni azione vitale e veramente salvifica in ciascuna delle diverse membra del corpo». Egli opera in molti modi l'edificazione dell'intero corpo nella carità anche mediante le virtù, che fanno aire secondo il bene. Nel Catechismo si sottolinea che lo Spirito Santo è maestro interiore della vita secondo Cristo, è dolce ospite e amico che ispira, conduce, corregge e fortifica questa vita. Potrebbe dirsi: ma si chiede allo Spirito il merito di una virtù che da lui ha principio? È senza fondamento il quesito, perché il merito si chiede per l'accettazione dell'input che ci venta dentro e per le conseguenze che essa porta sul piano pratico operativo dei comportamenti morali.

È il problema stesso della libertà che ci dà Dio di scegliere tra il bene e il male e la ricompensa è chiesta in base alla risposta che si dà alla chiamata, risposta di cui non si conosce a pieno la positività. Dacci il merito della virtù con la massima benevolenza, ma è pure: dacci la possibilità di acquisire il merito della virtù. Nella traduzione ufficiale della sequenza non si tiene conto del genitivo, virtutis, e si mettono sullo stesso piano virtù e premio, e tutti e due si chiedono insieme.

Salutis exitum. Il primo pensiero che mi viene, in questo commento dei versi della terzina, è relativo alla salute fisica. Dacci buoni risultati per la nostra sanità. Sono malato, è certo: sono gli anni che si sommano uno dietro l'altro, tanti. Ma quanti uomini, anche più giovani di me, sono più malati di me? Ringrazio Dio per come sto. Vedo sulla spiaggia da tempo un signore distinto, un po' curvo sul suo bastone, panama in testa, fare la sua passeggiata lungo il mare. Stamani gli vado incontro. «Mi permette una domanda impertinente? Quanti anni ha? Gliela faccio perché voglio misurare la mia età sulla sua». «Sono del 1913». «Complimenti». «Mai bisogna dire: questo non lo posso fare». Ringraziamo Dio tutti e due per la sua bontà infinita nei nostri riguardi.

L'exitum della salute: una parola sola risolve tutta l'angoscia esistenziale fisica dell'uomo. L'esito, lo stato della salute del corpo è commesso allo Spirito Santo. In fondo, anche questa interpretazione per così dire laica del verso ha connotati spirituali ben precisi, in quanto la salute dell'anima si collega, nell'unità inscindibile dell'uomo, alla salute del corpo. Se il salutis si traduce della salvezza, il verso prende un altro senso, che coinvolge, però, certamente anche il primo. Corpo e anima, separati dalla morte per l'atroce castigo alla colpa dei progenitori ribelli, saranno insieme, gloriosi o dannati, per l'eternità dopo il giudizio universale, dopo la valle di Giosafatte. Quindi non può esserci salvezza dell'uno senza salvezza dell'altra. Una sua sostanza teologica, comunque, ha pure il riferimento alla salute del corpo, che è appunto tempio dello Spirito Santo, riceve l'alito creatore del Padre ed è redento dall'incarnazione e dal martirio di Gesù Cristo, che rimane con noi vivo e vero, in corpo, sangue, anima e divinità, nelle specie eucaristiche e ci aspetta, ci chiama e ci accoglie divinamente misericordioso.

Mentre scrivo queste piccole note, sovente la mente, per gli spunti che mi presenta la riflessione del testo, si ferma a considerazioni che riguardano la vita dell'uomo d'oggi. Questa è certo una riprova della validità del carme, che conserva una sua freschezza tanto facilmente rilevabile a chi vi pone attenzione. I temi dell'attualità, sempre pregnanti e d'interesse, potrebbero bene inserirsi in un discorso come il mio, almeno per brevi richiami giovevoli. Non ho creduto opportuno farlo per non distogliere l'intelligenza e il cuore dal dolce far niente, questa specie di contemplazione che mi rimanda ai monaci, di prima e d'oggi, nei loro scanni intarsiati, fissi di sguardo, immobili di corpo, nella penombra ovattata del coro, a gioire del loro silenzio interiore nel misterioso rapporto teandrico personale.

Ma questa volta l'eccezione la voglio fare, due eccezioni, chiamando in causa direttamente te, Spirito Paraclito, affinché ci metta tu le mani a guidare la mente dei responsabili. la prima riguarda il merito. Nel mondo d'oggi non c'è più voglia, forse anche capacità, di discernimento. È materia tua, questa, e puoi illuminare chi ha bisogno di comprendere che il valore dell'uomo è dato dai meriti che via via si acquisiscono nella fatica di vivere, non da tutto il resto che si usa attualmente nella società per l'affermazione propria e dei protetti che si hanno attorno.

«Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche»: lo leggo nel libro della Sapienza. Ebbene, nel dare secondo il merito siamo proprio nel campo della giustizia, virtù cardinale, centrale nella sua funzione di cardine, la quale consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata «virtù di religione»; la giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune. Dai al prossimo ciò che è giusto ed equo: non trattare con parzialità e non usare preferenze verso il prossimo. Giudica il tuo prossimo con giustizia. Questo è che manca alla società d'oggi: il senso della giustizia. È mancato in tutti i tempi della storia dell'uomo, ma oggi tale mancanza è diventata insostenibile, perché è causa di squilibri di notevole spessore. Mettici le mani tu, Spirito di Dio, e opera nell'intelligenza e nel suore di che erra..

La seconda eccezione è per la salute dell'uomo. Lo sai che si attenta alla vita della persona umana al suo nascere e alla sua fine, proprio quando intervieni tu con la purezza dell'amore che sai dare e con la tua grazia battesimale e con i tuoi doni nell'unzione degli infermi. Mi fermo particolarmente sulla malattia dell'uomo, la più accanita. A parte il valore, che potrei dire impropriamente corredentivo, della sofferenza, e penso a quanto scrive san Paolo ai colossesi: «Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa», la grazia fondamentale, tuo dono particolare, del sacramento dell'unzione degli infermi, Spirito Santo Paraclito, è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. È un tuo dono che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte. Questa tua assistenza, Spirito di Dio, attraverso la tua forza porta il malato alla guarigione dell'anima, come si annota nel Catechismo, ma anche a quella del corpo, se tale è la volontà del Padre. Ebbene quali più grosse tentazioni del maligno possono esserci di quelle di togliere la vita a chi è appena stato concepito o a chi sta per morire?

Da perenne gaudium. Qui la richiesta è volta tutta alla salvezza eterna. Che il gaudio sia eterno. Non ci soddisfa in pieno la traduzione del sostantivo in gioia, in quanto l'autore vuole esprimere proprio il concetto di godimento completo, anima e corpo, gaudium contrario di luctus, e il richiamo è alla sensazione che dà il godere in terra trasferita nella perennità, per sempre. Potrei dire: dacci la gloria sempiterna, quella del Padre e quella nostra, dell'uomo, per i secoli dei secoli, ma in verità nella preoccupazione dell'estensore dell'inno non vedo alcuna istanza informativa di ordine teologico, ma solo la voglia di rendere il pensiero al massimo in forma semplice, in maniera che la preghiera sia il più chiara possibile per chi la recita o la canta, e quindi lo dimensiona sempre alla cultura e al linguaggio del suo tempo.

Se si percorre la seconda via interpretativa e si collegano le tre richieste, il merito della virtù, l'esito della salvezza e il gaudio perenne, in un'unica visione spirituale escatologica, il commento diventa più culturale e di conseguenza più facile, investendo il piano delle persone più dotate, capaci d'intendere il collegamento. Stento a credere, in verità, che l'autore del testo abbia perseguito l'intento ora supposto, perché la composizione si articola su presupposti diversi, quelli della massima estensione d'uso della preghiera, come del resto, lo ripeto, attesta la ripetizione del da quattro volte, una per ogni richiesta. L'obiettivo è sicuramente lo stesso nei due percorsi e la domanda ultima, quella essenziale, è di avere per l'eternità il paradiso con la visione beatifica del volto di Dio uno e trino. Amen. Così sia.

Dell'Amen ho già scritto in chiusura del mio lavoro Una preghiera di sant'Alfonso. Ma qui, a questo punto della mia vita, oltre che di queste noterelle spirituali, voglio cantare il mio Amen personale a te, Spirito Santo Paraclito, che mi ami divinamente e che io dall'abisso del mio niente adoro, amo e ringrazio. Da mihi perenne gaudium. La preghiera te la faccio dovunque, ma la formalizzo ora qui, nella mia chiesa, passando davanti all'altare del Crocifisso, la statua prodigiosa di Colombo di cui ho scritto, ma fermandomi nella cappella del Corpo di Cristo. Come le altre volte, anche questa volta, seduto sullo scanno, sto zitto, muto. M'incanta la fiammella che smuove il suo ritmo nel vetro rosso. Sto qui a vederti e mi beo di questo mistico far niente. Ma stavolta qualche parola mi scorre dalle viscere alla labbra.

Da mihi perenne gaudium. Ho paura dell'inferno, non del fuoco, che sei tu, quello che ha portato Cristo tra di noi. Ho paura di non avere il bene per l'eternità, ho paura della privazione di te, che sei bene sommo. Di te, Padre, con la barba bianca fluente, di te Figlio Gesù Cristo che del Padre siedi alla destra, di te, Spirito di Dio, che vedo battere le ali sulla porticina d'argento della custodia dell'eucaristia, il Figlio dell'uomo vivo e vero, corpo, sangue, anima e divinità. Fammi vedere per l'eternità il volto del mio Signore, pure dall'ultimo posto, a cantargli gloria con tutti gli angeli e i santi, con tutti gli uomini che lo riconoscono, con madre natura, con il cielo luminoso d'oggi, domenica, ultimo giorno d'agosto, con il mare che salmodia sotto sotto il suo canto, con la terra che germina il fiorellino lilla che colgo ogni mattina. Benedicite omnia opera Domini Domino.

Benedici, anima mia, il Signore. Amen.

Non so dire altro. Mi perdoni, Signore della mia vita? È difficile pregare, mai sono soddisfatto di come mi rivolgo a te. Mi viene in aiuto san Paolo, e sono felice di chiamarlo un'altra volta in causa nell'anno del bimillenario della sua nascita. «Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio».