Signor mio Gesù Cristo

1 – Signor mio Gesù Cristo,

Perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra, questo è Dio della mia fanciullezza, quando già me n’ero fatta l’idea del vecchio benevolmente e misericorde con la folta e lunga barba banca, ma è Dio più che mai esaltante e giovevole. Dio dei tempi. È Dio di tutti, i morti e i vivi, lo stesso per tutti, quelli del polo nord e quelli del polo sud. Dio degli spazi. È Dio che consente all’uomo di dimensionarsi sulle categorie che inventa, che si toglie la libertà per darla all’uomo e metterlo terribilmente di fronte alle sue responsabilità. Sempre, però, padrone del cielo e della terra, di tutto, pure di me, che non so domani, tra un minuto, cosa possa accadermi.

Questo concetto di signoria, di autorità in senso assoluto, di vera e propria padronanza, più che della teste è del cuore, delle viscere. L’appartenenza al regno è parte più affettiva che intellettiva del mio essere. Sei il mio Signore, il mio tuto. Deus meus et omnia. Il possesso che indica l’aggettivo presuppone una scelta, che certamente è mia nel senso che è accettazione consapevole di una sudditanza, ma è parte del Signore che ti dà fiducia e credito. Non vos me eligistis, sed ego elegi vos. Posso sempre togliere la mano dall’aratro e mio non è più il possesso: decade l’impegno, e quindi non c’è più riscontro alla donazione. Alla grazia, perché è indubbiamente grazia la scelta di Dio operata su di me.

Il «mio» è di rispondenza alla chiamata, affettivo perché è sentito, totale, di tutta la persona. È l’attuazione di un sentimento di gratitudine profonda, che implica dedizione profondamente vissuta. Io ti accetto come mio padrone e mi voto ad appartenerti. La qualificazione della possessione implica uniformità, direi complicità, comunione di volontà, quindi rapporto d’amore. Deus meus et omnia. Dio non abbandona a se stessa la sua creatura, non le dona solo di essere e di esistere: la conserva in ogni istante della vita, le dà la facoltà di agire e la conduce al suo termine.

Questo Dio creatore e signore, con la barba o senza la barba, è inafferrabile, lontano, estraneo? Così lo rendono la non soggezione amorevole e la disubbidienza. Ma è grande il suo amore. Deus caritas est. Si vanifica la sua donazione per la scelta contraria dell’uomo. Cos’è Dio senza l’uomo? La gloria di Dio viene dall’uomo. Di questo Padre eterno, come ogni cosa sua, è immenso il dolore appunto per la perdita dell’uomo. Così la decisione è presa ab aeterno come tutte le decisioni di Dio, che ha solo presente. Entra nella mia storia per farsi visibile, toccabile, di carne ed ossa come me. C’è qualcuno che mi ha toccato. E c’entra, nella mia storia, con un soffio di ali grandi grandi, l’arcangelo che penetra nelle pietre di Loreto, piccola cella di virtù di una donna eccelsa, predestinata, Maria, d’un attimo avvolta nell’alito di vento immortale che la stringe, la lingua di fuoco che fiammella, prima pentecoste, unica, irripetibile per ogni uomo, il concepimento. Il Verbo si fa carne.

Basta questa entrata nella storia a redimere l’uomo. Son tutte e tre le persone di Dio presenti, per usare le categorie dell’uomo, in quell’attimo e in quel punto: il Padre che genera, il Figlio generato, lo Spirito, l’amore assoluto che procede tra l’uno e l’altro. Nasce Gesù Cristo. Fa trent’anni in famiglia. Poi inizia la predicazione. Appena tre anni: che rivoluzione, in così poco tempo. Il suo fascino è grande, conquide. Fa miracoli. Infilandomi tra la folla, lo tocco, ed egli avverte di essere da me toccato. Tutta la gente cercava di toccarlo, perché da lui si sprigionava una forza che sanava tutti. Qualcuno mi ha toccato, perché mi sono accorto che da me è uscita energia.

L’incarnazione, la persona, uno come me: alla sua natura divina si fonde la natura umana. Dio può far tutto. La redenzione è fatta, ma non gli basta. L’amore strabocca e si riversa nel dolore: «Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora». «L’anima mia è triste fino alla morte». «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». La passione e la morte in croce completano l’atto d’amore, la donazione divina, totale. Lo scrive Paolo di Tarso ai colossesi, egli toccato, tramortito dalla grazia. Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle che stanno nei cieli.

Tu sei, Signore mio Gesù Cristo, per me tutto: il messia, il Signore, il Figlio di Dio. Ma sei anche il Figlio dell’uomo, come tu ti definisci, cioè un uomo, ma uomo signore del sabato. Tu sei quello che sei, la luce del mondo, la vera vite, il bel pastore. Tu lo vuoi sapere, Signore: sei uomo e hai la curiosità dell’uomo. La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Con Pietro rispondo: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Sei stato innalzato sulla croce e so chi sei. Il roveto ardente è la croce: lo dice il papa oggi. Certo, Signore mio lo sei: mi hai dato l’esistere e mi mantieni nell’essere. Ti appartengo per tutto. È che non son convinto di meritarmi l’appartenenza a te, per quel che sono, infedele e bugiardo. Ma tu sei la carità assoluta e la tua misericordia è infinita. Allora consentimi di abbracciarti. Sai, l’uso buono dei sensi aiuta molto a superare l’antinomia tra ragione e fede: per farlo visivamente, consentimi di abbracciarti Crocifisso di Marcianise, quello di cui ho scritto. Mi muovi il cuor e mi dai il coraggio di chiederti perdono.