Piedimonte_09

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Cap. IX

GLI STATUTI MUNICIPALI

(pp. 76-81)

GLI STATUTI MUNICIPALI DEL SEC. XV – Con la creazione dell’Università si sentì il bisogno da parte dei reggitori di raccogliere le consuetudini locali in appositi capitoli. Questi, messi in iscritto per evitarne l’incertezza e gli abusi, si dissero « statuti ». Degli statuti primitivi, cioè quelli rimontanti alla costituzione dell’Università, non se ne hanno più tracce. Abbiamo in compenso gli altri posteriori, del 1481. Quest’ultimi, raccolti in volume membranaceo, sono conservati nel Museo Civico. Mancano delle ultime pagine. Fortunatamente l’Archivio Gaetani conserva una copia integrale in carta bambacina, dell’anno 1577, redatta dal Not. Cesare Loffredo di Piedimonte, copia che reintegra l’originale mutilo, al quale, come alla copia, sono allegate le « grazie » e le « concessioni » dei vari feudatari di Casa Gaetani.

Il volume originale – scritto in carattere gotico del Sec. XV, con iniziali dei paragrafi in maiuscolo, ad inchiostro rosso, senza alluminature – porta la seguente intestazione:

« Capitula et Statuti de la tra de pedemonte corepti facti & emendati p. li iudigi consiglio & altri probi hominj de la d.cta t.ra in num. oportuno & copioso p. comandam.to ordenatio.e assensu beneplacito & voluntà de lo illustro signore honorato gaytano de aragonia Conte de fundi logotheta et protonot.o de quisto regno de sicilia utele signore de la dicta t.ra in Anno d.ni MCCCCXXXJo Regnante Ser.mo d.no n.ro d.no ferdinando dei gr.a rege Sicil. Jer.em & Ungarie Regnor. n.o eius Anno vicesimo quarto feliciter. Am. ».

Questa raccolta di capitoli – che divennero leggi locali ora indipendenti dal diritto comune ora a questo armonizzate – è tuttora inedita. Pochi capitoli soltanto, ma senza commento, furono stampati nel periodico « Il Matese » nell’anno 1882. Nessuno però se ne è mai occupato largamente, eccettuato il Perrotti che ne fece, però, una parziale e sommaria esposizione. Eppure i nostri statuti meritavano ban altra sorte, avendo essi, nei rapporti del diritto pubblico e privato, una prevalente importanza, ed altrettanto dal punto di vista storico pei rapporti tra i poteri dello Stato e le libertà comunali alle quali era pervenuta la nostra Università. Neppure noi possiamo parlarne in modo particolare – ciò che ci riserviamo di fare con separata pubblicazione – non consentendolo il tempo e la limitata importanza di queste Memorie. Ma non possiamo astenerci del trattare sommariamente gli argomenti di maggiore interesse.

GLI STATUTI NON FURONO UNA CONCESSIONE DI ONORATO GAETANI – Innanzi tutto gli Statuti promulgati da Onorato GAetani non rappresentano, come a prima vista può sembrare, una concessione fatta ai cittadini di Piedimonte. L’autorità feudale, tendente piuttosto a reprimere le libertà comunali non poteva, viceversa, favorirle. A queste libertà avevano interesse soltanto i cittadini, i quali, appunto per ciò e per evitarne gli abusi, vollero non solo la traduzione in iscritto delle consuetudini, ma perfino le « confirmazioni » quelle volte che si verificava una nuova concessione nel feudo; conferme che si ebbero anche dai Governatori della Terra, come appare dal documento.

Che gli Statuti non siano stati una concessione del Gaetani, come poc’anzi dicevamo, lo dimostra la stessa intestazione quando dice che furono « corepti, facti et emendati p. li iudigi Consiglio et altri probi hominj » della Terra. Dunque, essi furono corretti – ciò che prova esistessero precedentemente al 1481 – fatti ed emendati, cioè purgati dalle consuetudini cadute in disuso, dai cittadini di Piedimonte, deputati a reggere le sorti dell’Università. Non potevano però non essere promulgati da Onorato Gaetani perché costui, nella sua qualità di feudatario, era l’unica autorità che doveva sanzionarli.

CONSUETUDINI REMOTE CONTENUTE NEGLI STATUTI – In sostanza, questi statuti rappresentano le consuetudini antiche del nostro popolo. Esse, a seconda le esigenze di nuovi bisogni e col mutar di avvenimenti e circostanze, subirono continue trasformazioni. Queste consuetudini furono certamente anteriori alla Monarchia ed ebbero a svilupparsi sotto i Normanni, per affermarsi durante i tempi svevi. Che siano di origine remota lo desumiamo dal fatto singolarissimo: non pochi capitoli – quelli, ad esempio, riguardanti la società coniugale – contengono disposizioni informate al diritto longobardo, e dal fatto, anch’esso singolare, che in alcuni capitoli si parla dell’augustale per pagamento di pene, quando, com’è noto, nel Sec. XV questa moneta non era più in corso, avendola abolita due secoli innanzi Carlo d’Angiò, e propriamente nel 1267. Altra prova della loro antichità l’abbiamo in certe disposizioni che si riportano a ciò che si praticava ab antiquo, com’era solito praticarsi antiquamente.

In questi Statuti troviamo particolari disposizioni di diritto e procedura civile, di diritto e procedura penale, e particolari disposizioni e norme intorno al governo e reggimento dell’Università. Sono, anzi, così autentiche e di sapore locale che mancano del solito stile e linguaggio curialesco. Sono redatte in un misto d’italiano e di latino, con voci spagnuole e dialettali insieme.

Qui di seguito diamo l’elenco di tutti gli 85 capitoli contenenti negli Statuti. Da esso il lettore potrà formarsi un chiaro concetto sull’importanza del documento.

ELENCO DEI CAPITOLI – 1. De Blasfemantibus – 2. De portantibus arma prohibita – 3. De buccerijs portantib. Cultellum pro oxoriando et non aliter – 4. De buccerijs debentibus vendere carnes in solitis ad pond. cum rotulo, et medio rotulo ferrj – 5. De venditore carnium mortacinarum lupinar. et sprecatinarum – 6. De carnibus mortacinis forensum – 7. De Carnes non possiut vendi anteg. Fuerint appretiatæ – 8. De carnes surzumerie nullo modo vendatur – 9. De anibab. Inflandis cum mantato – 10. De liceat vendi pedes, capita, et interiora – 11. De in uno, et codem macello non debeant vendi neg. Tenerj carnes mixte diversorumanimalium eiusdem spelicj – 12. De pelir tenerida per buccerios in qua vadat sanguis animalium interficiendorum – 13. De bucceris debentib. Asciare planchas – 14. De loco in quo debent vendi pisces – 15. De tabernariis, et vini venditoribus – 16. De tabernariis non liceat emere carnes et pisces in quantitate impediendo alios cives. 17 De nemini liceat res venales, quaæ deferentur per exteros – 18. De venditoribus grani, et vittualium – 19. De venditoribus oleum – 20. De quartis, et mediis quartis, et mensura oleii – 21. De portantibus animalia porcina mathesium – 22. De portantibus mandras – 23. De lavantibus in loci toranii, et fonticastelli et sipicciani – 24 De Fonte castelli – 25 De mittentibus ignem montibus et in restuccis mathesii – 26 De facientibus viam novam per poss.nem alterig. – 27. De canibus – 28. De venditoribus pannos – 29. De dannis datis in terris seminatis vittualib. -30. De dannis datis per animalia grossa in possessionibus arbustatis – 31. De dannis datis per animalia parva in possessionibus predittis – 32. De dannis datis per viros, et mulieres – 33. De incisoribus arborum – 34. De incisoribus arborum fruttiferax. In locis et domanialibus – 35. De dannis in paludibus – 36 De locis in quib. Animalia non tenent ad penam. 37. De tabernarii non emant vinum forensium pro uso tabernæ. 38. De Pixatoribus – 39. De verbis inuriosis – 40. De proijcientibus lutamina, feces, vinacia ceneraria et canteratas in plateys – 41. De nemini liceat facere ciamuorlarias – 42. De salario solvendo castaldis, et servientib. cur. – 43.De Gagijs et emolunentis attorum magistri – 44. De carcerandis – 45. De Judices interveniant, et sedeant cum cap. ad iusticiam ministrandam – 46. De conductis ad aliena servitia – 47. De prescriptione servitiorum – 48 De intrantibus aquam mathesii nel Lagus maioris – 49. De parata facienda inter Lagum maiorem et Pertusillum – 50. Qualiter aqua mathesii sit minuenda ad usum piscar – 51. De non mittendo retias in Lag. Mathesii ad ipsum probandum – 52. De piscantibus sine ruleo, et binario, et qualiter sit maglia ruleorum – 53. De vendentibus tinchas – 54. De expensis debendis per debitores – 55. De pignore auferendo in secunda contumacia, et pena contumatiæ – 56. De termino statuendo debitoribus – 57. De penis obligationum, et instrumentorum – 58. De obligationes fiant sineiuramento – 59. Qualiter applicentur penæ – 60. De sacramento decisorio – 61. De in causis agitandis precedatur summarie – 62. De abolitione – 63. De qui comp. cum sacculo parato non teneat ad pena – 64. De renovatione appretij – 65. De officiales non possiut apponere penas bannis in casib. in quib. fit mentio in capitulis – 66. De sedili – 67. De Sindicis – 68. De creandis officialibus – 69. De Sindici non possiut solvere sine delliberatione consilii – 70. De Sali universitatis – 71. De sindicatu officialium – 72. De tertia campana – 73. De non possiut procedi in caitulis ex officio – 74. De interpretatione capitulorum – 75. De matrimonio, et primo de basatura – 76. De metha lucranda – 77. De termino lucrifationis dotium – 78. Qualiter debeat consignari metha – 79. De dispositione methæ, quæ daretur in bonis stabilib. – 80. De oblatione fattasponsæ in nuptiis – 81. De termino restitutionis dotium – 82. De prole morient post partum – 83. De donis fieudis per sponsum sponsæ – 84. De dono gd. Fit sponsæ tempore nuptiarum – 85. De interpretationecapitulorum.

ISTITUTO MATRIMONIALE REGOLATO SECONDO IL DIRITTO LONGOBARDO – Esaminiamo ora i capitoli riflettenti, come abbiamo accennato, alle consuetudini matrimonali.

La sposa, ad esempio, guadagnava per basatura, dal marito, carlini sette e mezzo per ogni oncia di dote. La basatura obbligava lo sposo a fare alla sposa una donazione per il primo bacio che ei doveva darle. Questa consuetudine fu in vigore in Piedimonte ai tempi aragonesi, ed ha riferimento al prætium virginitatis degli antichi popoli germani.

La sposa guadagnava ancora metà della dote in ragione di carlini ventidue e mezzo per ogni oncia della dote medesima, e morendo il marito, il lucro le veniva consegnato « pro rata » da chi ne aveva l’obbligo. Anche questa metà ha riferimento al diritto longobardo, e ricorda il mephium, altrimenti detto metium o metha. Nei nostri statuti è riportata proprio la parola « metha » usata dai Longobardi.

Il termine, poi, di guadagnare la dote da parte dello sposo o della sposa, era di due anni dal giorno delle nozze. Morendo la donna entro il detto termine, ma con prole apparente, il marito guadagnava tutta la dote; se la prole non era apparente, ei doveva restituire la dote a chi di ragione, unitamente alla basatura. Viceversa, morendo il marito, prima della moglie, con prole apparente, la dote di lui e la metà della basatura andava restituita alla sposa, eccettuati gli effetti di corredo che non fossero consunti, in contrario anche questi andavano alla sposa.

Se, invece, nascevano dei figli nel termine dei due anni anzidetti, e sopravveniva la morte della madre, i beni andavano agli stessi figli, e se questi premorivano alla madre, la metà dei beni si lucrava da quest’ultima, che ne poteva disporre liberamente, nonostante qualsiasi condizione in contrario. Anzi la donna poteva, volendolo, rimanere nella casa di proprietà del consorte defunto, con diritto al vitto ed al godimento dei beni. Ma per avvalersi di questa facoltà doveva farlo entro il primo anno dell’avvenuta morte del marito.

Accadendo il caso che la partoriente morisse durante lo sgravo e si fosse udito un solo vagito del neonato, e questo pure morisse, il marito lucrava per intero la dote della moglie.

Altra consuetudine curiosa vigeva in ordine ai donativi che parenti ed amici, invitati alle nozze, facevano agli sposi. Di tutti i donativi, metà si lucrava dalla sposa e metà dallo sposo, con la differenza che costui poteva rivendere la sua parte per rifarsi delle spese sostenute per la celebrazione del matrimonio.

I donativi del fidanzato, infine, fatti alla sposa il « sabbato sera » precedente alle nozze – il che prova che i matrimoni si celebravano unicamente di domenica – donativi consistenti in « correggia, cottardita, perle, campanelle, pisi et altri ornamenti », s’intendevano non donati ma dati in uso, sempre quando si fosse verificata la morte del fidanzato avanti la celebrazione delle nozze. Però la fidanzata – valutati gli oggetti da comuni amici – guadagnava cinque tarì per ogni oncia di valore.

CONVENZIONI TRA UNIVERSITÀ E CASA GAETANI – Dopo la trascrizione di alcune « grazie » richieste e concesse all’Università, a raccolta dei nostri Statuti riporta anche delle interessanti convenzioni tra l’Università medesima e la Casa Gaetani, e propriamente quelle del 1539 e 1567. Con la prima Ferdinando Gaetani concede libertà ai cittadini di aprire taverne, osterie, beccherie, ecc.; accorda ai forestieri l’esenzione del dazio sulla farina, autorizzandoli a venderla liberamente; ratifica tutte le concessioni dei precedenti feudatari in ordine alla baiulazione delle erbe per la quale l’Università pagava Duc. 60 l’anno in perpetuo; quelle sugli alloggiamenti militari; sulla concessione di uno spiazzo denominato S. Benedetto; sul pascolo delle greggi, per parte dei naturali, nelle proprie difese; ed infine sui proventi per le cause civili e criminali, riservandosi solo quelli provenienti dalla commutazione di pene (morte naturale, morte civile ed amputazione di membra). Con la seconda Luigi Gaetani, desiderando rendersi benemerito del suo popolo, non fa che confermare e ratificare la convenzione precedente, nonché i Capitoli e gli Statuti della Terra, ricevendosi, in corrispettivo, dall’Università Duc. 6500 pari a L. 27650, come abbiamo già scritto.

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