Le iscrizioni antiche di Venafro

Heikki Solin

Le iscrizioni antiche di Venafro – Un panorama a cento anni dalla scomparsa di Theodor Mommsen

In «Samnium» LXXX, 20 n.s. gen./dic. 2007, nn. 1-4, pp. 15-77

“Identità e culture del Sannio. Storia, epigrafia e archeologia a Venafro e nell’alta valle del Volturno”, Atti del Congresso internazionale in ricordo di Theodor Mommsen a cento anni dalla morte (1903-2003) Venafro 13 dicembre 2003 a cura di H. Solin e F. Di Donato

[Il saggio propone un excursus pressoché completo delle ricerche e degli studi epigrafici sul territorio venafrano dal Quattrocento ai giorni nostri, occupandosi anche della questione dell’appartenenza geopolitica della Venafro romana (durante il Principato ala Campania; nell’epoca Tardo-antica al Sannio) e dell’estensione del suo territorio. Vi è inoltre presentato un panorama complessivo dei diversi generi di documenti epigrafici, a partire dalle osservazioni già pubblicata da Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum o nelle successive opere, integrate da 15 altri importanti documenti scoperti dall’equipe di ricerca coordinata dall’autorie.]

Da Fra’ Gioondo a Raffaele Garrucci: i lettori delle epigrafi venafrane prima di Mommsen

Traccerò qui di seguito un panorama degli studi epigrafici venafrani concentrandomi soprattutto sulla scoperta di nuove iscrizioni ancora ignote a Theodor Mommsen. Ma dobbiamo premettere qualche parola sugli studi epigrafici venafrani premommseniani e sul lavoro del Mommsen stesso[1].

Nonostante il non esiguo numero di epigrafi antiche, delle quali molte evono essere state da sempre visibili nell’area urbana, gli studi epigrafici venafrani non vantano gloriose tradizioni; malgrado la loro importanza storica, questi testi non erano così vistosi da attrarre l’interesse degli eruditi del tempo. Dei cultori dell’arte epigrafica del Quattrocento solo Fra’ Giocondo (CIL X 4884, 4893, 4907, 4992, 5003) e Giovanni Bononio (CIL X 4868, 4893 da Giocondo) riportano un paio di epigrafi, e poco più tardi lo steso fa l’autore del cosiddetto Filonardianus liber (CIL X 486). Un po’ meno digiuno è il noto cronista veneziano Marin Sanudo che ha trasmesso nel codice Veronense, storia 59 dell’anno 1500 circa, un buon numero di epigrafi venafrane (CIL X 4868, 4883, 4891, 4893, 4937, 4942, 4992, 5000, 5033). A Giocondo attinge un autore fiorentino dell’inizio del Cinquecento Battista Brunelleschi che riporta in un codice berlinese, ancora poco noto, cinque iscrizioni venafrane[2]. Per il resto del Cinquecento si conoscono solo citazioni sparse di epigrafi locali[3]. Altrettanto povera la prima metà del Seicento di menzioni di epigrafi in autori che sono sempre ancora non venafrani...

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[1] L’edizione determinante e definitiva delle iscrizioni venafrane fu pubblicata dal Mommsen nel quadro del Corpus Inscriptionum Latinarum (d’ora in poi abbreviato CIL), vol. X, Berolini 1883, pp. 477-97, 699-700 (miliari), 1012 (aggiunte). La successiva edizione integrale delle iscrizioni è di S. CAPINI, Venafrum, Molise, Repertorio delle iscrizioni latine, VII, Campobasso 1999 (d’ora in poi abbreviata “Capini”), su cui torneremo ancora in seguito.

[2] Si tratta di un codice scritto nel 1511: Cod. Berol. Fol.61 ad, finora, rimasto praticamente inutilizzato nella ricerca epgrafica. In via preliminare, vedi H. SOLIN – P. TUOMISTO, Appunti su Battista Brunelleschi epigrafista, in Ad itum liberum. Essays in honour of A. Helttula, edited by O. MERISALO and R. VAINIO, Jyvaskyla 2007, 79-92. Le venafrane contenute nel codice sono CIL X 4884 (f. 120-120v), 4893 (f. 120) 4907 (f. 120v), 4992 (f. 120), 5003 (f. 120v.). Costituiscono nel codice dunque un gruppo a se stante, 4893 viene inoltre riportata al f. 89.

[3] La più nota iscrizione venafrana nei primi secoli dell’età moderna è CIL X 4868, che ci fa conoscere la carriere di un importante personaggio del I secolo d.C., Sex Aulienus Sex. f. Ani., il quale, dopo un servizio militare che culminò nella carica del praefectus classis e del praefectus fabrum, ricoprì il duovirato a Venafrum e a Forum Iuli nella Narbonese (Fréjus): l’iscrizione ha una storia piena di nomi gloriosi; dei grandi umanisti ricordati sopra nel testo manca solo Giocondo, ma la riportano sia Bononio che il Filonardianus liber e Sanudo. E la lista continua con nomi non meno prestigiosi: Jean Matal, nel gergo epigrafico chiamato Metello, riporta nel famoso codice Vaticano Latino 6039 (f. 133 = olim 359) questa iscrizione dalla trascrizione di Antoine Morillon, un noto studioso belga, il quale da parte sua diceva di averla avuta “ex libro Pontani”, cioè da un manoscritto di Gioviano Pontano, il famoso erudito napoletano del Quattrocento (il cui codice il Morillon ha spogliato durante la sua sosta nella città partenopea). Poi l’iscrizione viene riportata ancora da Pirro Ligorio, il notorio architetto napoletano (che non cita nei suoi codici altre iscrizioni venafrane genuine, false si) e da Aldo Manuzio, nipote del famoso omonimo tipografo nell’opera De quaesitis per epistolem libri III, Venetiis 1576, nel tomo terzo, p. 43 (ma manca nei codici epigrafici manuziani).