Piedimonte_15

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Cap. XV

IL CATASTO-ONCIARIO DEL 1754

(pp. 130-133)

FORMAZIONE DEL CATASTO – In esecuzione della prammatica di Carlo III in data 1741, s’iniziarono in tale anno in Piedimonte le operazioni catastali. Esse non erano nuove pei cittadini poiché fin da tempi remoti altre se ne erano compiute per servire di base ai pesi fiscali in favore dell’Erario.

Sembra che Carlo III avesse ordinato l’apprezzo dei beni nel regno per aver notata tutta una enorme sproporzione tra il peso dei tributi e l’effettiva forza economica di ciascun cittadino, per cui stabilì che la valutazione della proprietà non dovesse farsi secondo il suo valore, ma secondo la rendita, calcolando la tassa per once di carlini tre.

Le operazioni catastali di Piedimonte durarono ben tredici anni, e nel 1754 il Catasto-Onciario venne terminato. Ma esso restò imperfetto per mancanza del valore delle once, per mancanza di pubblicazione, e per mancanza, inoltre, di altre forme procedurali. Quando però nel 1760 lo si volle applicare, la popolazione vi si ribellò con tumulti, per cui il Parlamento Municipale adottò il sistema di vivere a gabelle.

Questo importante documento, conservato nell’Archivio comunale, è rappresentato da un volume in 4°, di pagine 777, e porta le firme autografe dei Deputati alla formazione del Catasto, e dei Sindaci e Giudici dell’Università. Da esso risalta quella che era la vita di Piedimonte in pieno Sec. XVIII, vita che il Ricciardi ci descrive in un suo magistrale studio pubblicato nell’Archivio Storico del Sannio Alifano del 1916. E poiché di questa vita ci occupiamo anche noi, limitiamo il nostro esame alla parte che riguarda le condizioni dei cittadini nello sviluppo della loro economia, delle loro industrie e dei loro beni. Anche perché non essendosi rinvenuti documenti congeneri anteriori, il Catasto-Onciario del 1754, è l’unica fonte che possa offrire sufficienti dati per conoscere lo stato economico del nostro paese centosettant’anni or sono.

RAPPORTI TRA POPOLAZIONE E RICCHEZZA – Rileviamo, adunque, che le 1754 Piedimonte era abitata da 4632 individui, che, insieme, formavano 876 famiglie, così divise: famiglie di cittadini 856; famiglie forestiere 11, con persone 64; monaci e monache 122. Erano assenti tre famiglie con 17 persone..

Questa popolazione era composta da 2106 maschi e 2526 femmine. Erano di età inferiore ai 15 anni 1310 individui dei due sessi; avevano superato il 75° anno di età 64 persone. La più vecchia della città era Caterina d’Amore di anni 97. Seguivano i novantenni Porzia Fatti e il magnifico Giuseppe De Stefano.

Delle riferite 876 famiglie abitavano in casa propria 628, ed in casa di affitto 248, così che i ¾ circa della popolazione erano proprietari di case. Invece, delle stesse 876 famiglie, soltanto 332 possedevano terreni, contro le restanti 544, che possedevano la sola casa o non possedevano nulla, ossia che i 2/3 della popolazione non erano proprietari terrieri.

Cinquantuno famiglie vivevano con le rendite dei propri beni, ed erano, come dicevasi, franche di testa,ossia dispensate dal pagamento delle once. E sia tra queste famiglie, come fra quelle che vivevano nobilmente, parecchi individui si trovavano nell’esercizio di professioni liberali e di decorosi uffici, tra i quali notiamo gli addottorati in legge: Giulio, Giuseppe e Pasquale Paterno, Giuseppe Gambella ed i fratelli Marzio e Giovan Francesco Trutta, Domenico Noratelli, Filippo De Benedictis e suo figlio Luigi, Marcellino e Carlo Ciccarelli, Francesco d’Amore, Tiburzio de Parrillis e suo figlio Ignazio, nonché Vincenzo e Francesco d’Agnese. Esercitavano la medicina Marcellino de Marco, Giuseppe Vertollo, Francesco Pollastrini, Germano De Lisi, Francesco Greco, Antonio Barra e Giuseppe Iannitelli. Chirurgo era Stefano Buontempo, e professore di Chirurgia nell’Università di Napoli, Francesco Coppola, di anni 25, figlio di Luigi, barbiere. Erano Notai: Antonio Perrotti, Francesco d’Orsi, Giuseppe e Carlo Scasserra, Domenico Paterno e Giuseppe Cavicchia. Giudici a contratto: Crescenzo de Iacobellis e Lucantonio Girardi. Speziali di medicina: Alberto di Marco, Cosmo Gismondi, Bernardo Puanno e Pasquale Villano. Esercitavano uffici in Napoli tre altri fratelli Trutta: Giacomo, dottore, Segretario del Comune; Girolamo, maestro di cerimonie, e il dott. Giovanni Antonio, agente della Soprintendenza del Duca d’Andria. Il nobile Luigi Pertusio era usciere di Camera della Regina; il magnifico Giuseppe de Giorgio, Ufficiale della Compagnia degli Invalidi, e D. Pasquale del Giudice capocaccia del Re.

Nel ceto ecclesiastico, oltre i ventinove sacerdoti e canonici esistenti, si trova il Decano Nicola Occhibove, vicario generale della diocesi di Alife, il can. Ignazio De Benedictis, primicerio della Cattedrale, e quattordici chierici, nonché due monaci cistercensi ed un monaco di S. Pietro d’Alcantara, figliuolo di D. Pasquale Potenza.

ISTITUZIONI DI CULTO E LORO RICCHEZZA – In quel tempo erano notevoli le ricchezze delle istituzioni di culto. Il Monastero di S. Salvatore, ad esempio, vantava un credito contro Casa Gaetani di Ducati 1550, e contro l’Università di 6830,40. La Casa della Congregazione dei PP. Chierici Regolari Minori vantava un credito contro l’Università di Ducati 2111, oltre a parecchi legati per messe contro Casa Gaetani, disposti da D. Aurora Sanseverino, Duchessa di Laurenzana. Il Convento di S. Maria di Ogni Grazia dei PP. Celestini vantava un credito di Ducati 2250 contro l’Università. La Chiesa di S. Rocco corrispondeva ai PP. Scalzi di S. Francesco annui Ducati 230 di elimosina, 8 staia di olio, e 15 tomoli di grano. Elargiva ancora due maritaggi di 24 Ducati, ed altri due di Ducati 18 ciascuno. Le rendite della Cappella di S. Marcellino eranon tutte spese per messe e per servizio di culto. La Chiesa di S. Maria di Costantinopoli dava un maritaggio di Ducati 15; la Cappella laicale dell’Annunciata concedeva due maritaggi di 15 Ducati ognuno; la Cappella del Rosario dava un maritaggio di 10 Ducati, e la Cappella di S. Maria Maggiore elargiva altri due maritaggi di 12 Ducati ognuno.

Tutti gli Enti locali di culto erano proprietari in tomoli 125,04 di pastini e cese arbustate e vitate (ettari 40, 41, 98); tomoli 781,11 di terreni arborati (ettari 252, 16, 80); tomoli 23 di orti e cannavine (ettari 7, 41, 45); tomoli 21 di oliveti (ettari 6, 77, 25); tomoli 8,06 di vigneti (ettari 2, 74, 13); tomoli 221 di aratorio boscoso (ettari 71, 43, 38); e tomoli 123 di querceti (ettari 39, 66, 76).

Figuravano come maggiori proprietari di cese o pastini arbustati il Convento dei PP. Celestini con tom. 32; quello di S. Salvatore con tom. 29,04, e l’altro del Carmine con tom. 22. Erano, invece, maggiori possessori di terreni aratori la Collegiata di S. Maria Maggiore con tom. 367, e quella dell’Annunciata con tom. 116; il Monastero di S. Salvatore con tom. 85,03 e il Convento di S. Domenico con tom. 78. La Cappella laicale di S. Maria Occorrevole possedeva tom. 216,06 di terreni aratori boscosi.

La Chiesa di S. Maria di Costantinopoli possedeva 1480 pecore, quella di S. Maria Occorrevole 989. La prima possedeva anche 334 capre e 32 vacche; la seconda 56 vacche.

Tutti gli Enti di Culto, in n.° di 32, avevano crediti ammontanti a Ducati 104,485, pari a L. 444.061,25. Possedevano maggiori capitali il Monastero di S. Salvatore (duc. 19072), quello di S. Benedetto (duc. 15870), la Chiesa di S. Maria Occorrevole (duc. 12073), il Convento del Carmine (duc. 8684) e la Collegiata di S. Maria Maggiore (duc. 6023). I capitali degli altri Enti oscillavano fra duc. 4888 (Monte delle Sorelle del Rosario), e duc. 1088 (Cappella del Rosario); dodici Enti avevano rispettivamente capitali inferiori a duc. 500.

RICCHEZZA DEI CITTADINI – La Casa Gaetani possedeva tom. 113,06 (ettari 35, 68, 38) di terreni (senza contare le montagne del Matese, che allora formavano un corpo feudale) e cioè: tom. 46 (ett. 14, 83, 50) di cese arbustate e vitate; tom. 49,06 (ett. 15, 96, 38) di oliveti; tom. 8,06 (ett. 2, 74, 12) di terreni aratori, e tom. 9,06 (ett. 3, 06, 38) di terreni boscosi con querce. Altri privati possedevano tom. 2895,05 (ettari 933, 77, 18) di terreni, e cioè: pastini o cese arbustate e vitate con olivi, tom. 1921 (ett. 619, 52, 26); aratori, tom. 311, 06 (ett. 100, 45, 88); cese demaniali, tom. 261,01 (ett. 84, 19, 94); querceti, tom. 203 (ett. 10, 91, 08); orti e cannavine, tom. 12,06 (ettari 4, 03, 14); vigneti, tom. 33,10 (ett. 10, 91, 08); ed oliveti, tom. 125,06 (ett. 49, 18, 13), compresi tom. 10 (ett. 3, 22, 50) di cese arbustate e vitate, tom. 10 (ett. 3, 22, 50) di aratori, e tom. 1 (are 32,25) di oliveti posseduti da bonatenenti forestieri.

Da ciò risulta che il territorio di Piedimonte (tom. 4313) era posseduto per 2/3 da cittadini. Così abbiamo che 84 famiglie possedevano fino a due tomoli di terreno; 33 da 2 a 3 tomoli; 83 da 3 a 5 tomoli; 70 da 5 a 10 tomoli; 20 da 10 a 15 tomoli; 13 da 15 a 20 tomoli; 11 da 20 a 25 tomoli; 4 da 25 a 30 tomoli; 8 da 30 a 40 tomoli; 1 da 50 a 60 tomoli, e 3 da 90 a 100 tomoli. Tra i maggiori censiti figuravano il Dott. Filippo de Benedictis che possedeva 127 tomoli di terreno; Vincenzo d’Agnese 110, Sebastiano Gambella 96; Antonio Confreda 93, e Nunzio Onoratelli 91.

Casa Gaetani aveva 2795 pecore, 470 capre, 120 bovi, 40 bufali, 40 giumente, oltre 12 cavalli da sella e da tiro; Giovan Giuseppe d’Amore possedeva 2000 pecore, 400 capre e 40 vacche, e Vincenzo Candalarese 1200 pecore.

Gli stessi cittadini tenevano impiegati nelle industrie duc. 26918 di capitali, pari a L. 123.401,50 così distribuiti: industria della lana, ducati 10310; fondaci 4382; pizzicherie 566; negozi di pane e vino 250; negozi di suini 200; macellerie 40; farmacie 360; industria delle pelli 300; panetterie 140; negozi di ferri e polvere da sparo 50; spezierie manuali 20, e negozi di verdure 300. In quel tempo D. Gioacchino Buiani teneva impiegato nell’industria della lana.

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