solo vi cerco e voglio il vostro santo amore

22 – solo vi cerco e voglio il vostro santo Amore,

Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore: lo scrive il mistico Giovanni della Croce. Se Dio è amore e amore riversa su tutte le cose che fa, sul creato, ma specie sull’uomo e su suo Figlio che lo redime, è giusto che sia così. È l’amore che muove il mondo, messo com’è da Dio al centro dell’universo. Lo stesso dinamismo trinitario nell’unità divina è generato dall’amore: Dio ama il figlio e l’amore che procede tra loro si personifica nello Spirito Santo, che è la fonte dell’amore. E tutto il vortice si avvita sull’uomo, chiamato nel suo essere e nel suo esistere a glorificare il Padre e, quando non l’ha fatto con la disubbidienza, riscattato al ruolo centrale della sua vita dall’incarnazione e dalla passione del Figlio. Ancora l’amore è messo al centro della vita umana per il mantenimento e per la conservazione della specie.

L’amore è un sentimento di vivo affetto verso una persona, ha diversi sensi e mille tono, è movente e attrazione naturale di un sesso verso l’altro e quindi ha anche una dimensione sessuale, l’istinto di conservazione che si oppone a quello di distruzione. L’amore creativo viene da Dio e tutti i limiti che lo definiscono costituiscono schematizzazioni difficili a verificare. In merito al rapporto al rapporto tra i sessi, un capitolo centrale quando si discute dell’amore, anche, direi soprattutto, nel campo della teologia morale, nel Catechismo leggiamo esattamente che la sessualità esercita un’influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell’unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l’affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in un modo più generale, l’attitudine ad intrecciare rapporti di comunione con altri.

Il discorso catechistico continua con chiarezza quanto con rigore dobbiamo sottolinearne qui la validità e l’utilità, e l’occasione è buona per invogliare chi legge a tenere in buona considerazione il Catechismo, che è un testo di insostituibile spessore culturale. Spetta a ciascuno, uomo e donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarietà fisiche, morali e spirituali sono orientate ai beni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L’armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarietà, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto.

Solo Dio conosce il cuore dell’uomo, la cui intelligenza ricerca orientamenti sicuri. La dimensione personale della morale, pur rigorosamente inquadrata nelle linee di fondo della dottrina evangelica, non può appagare in pieno, perché non dà sicurezze e garanzie sufficienti a sentirsi liberi, a fare la volontà del Padre come in cielo così in terra e quindi ad avvertire in tutto il senso di appartenenza al regno. C’è un avverbio all’inizio di questa frase petente della preghiera alfonsiana: solo, solamente. In verità, non si ferma già nella richiesta, ma mi pare che chi prega qui appunto chieda tutto, quel qualcosa che è l’inizio di tutto, che spiega tutto, che è il compimento di tutto, l’alfa e l’omega: l’amore che è Dio. È l’umiltà del santo che s’inabissa nel suo considerarsi nulla e in questo abisso perde il senso della misura e chiede con la libertà del povero il massimo che può. La sua posizione è quella del questuante, di chi va alla cerca, come il povero fraticello in via.

Il primo verbo è preso proprio dalla parola corrente, forse del posto, il peto latino che implica però tanti significati e tutti orientati verso l’ottenere. Ma il peto non basta e vi si addossa il cupio, voglio, anch’esso verbo indicativo di una volontà forte di avere, del desiderio di un possesso autentico e sostanzioso, dell’aspirazione ad un arricchimento di grande valore. Peto e cupio. La richiesta punta in alto, al più alto possibile, fatta com’è dal basso, dal basso profondo, dall’umiltà concepita com’è dalla visione di sant’Alfonso quale virtù fondamentale dell’ascesi, generatrice di libertà, dell’assoluta libertà anche di richiedere il massimo, e di confidenza, la fiducia piena nella bontà del Padre.

Mi viene in mente il «cupio dissolvi et esse tecum», che è la richiesta del massimo. E penso a Francesco d’Assisi, il mio serafico padre, che ad impetrandum divinum amorem scrive: «Absorbeat, quaeso, Domine, mentem meam ab omnibus, quae sub caelo sunt ignita et melliflua vis amoris tui; ut amore amoris tui moriar, qui amore amoris dignatus est mori: per temetipsum De Filium, qui cum Patre etc. Amen». Sant’Alfonso che pur ama assai il grande poverello d’Assisi, nelle Operette, tra le formule brevi per la comunione spirituale, riporta anche questa sua invocazione. Peto et cupio. Non è il bimbo che chiede di riversare il mare nel piccolo fosso che a fatica ha fatto nella sabbia; è l’uomo consapevole di essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio che chiede a Dio di riversarsi nel vuoto che ha fatto nella sua anima, scavandovi a fatica tutti gli sterpi del male ed ogni residua traccia d’immondizia.

Dacci, Signore, il tuo santo amore con la speranza che non delude, con i frutti che plasma lo Spirito Santo come primizie della gloria eterna, la gioia, la pace, la pazienza, la longanimità, la bontà, la benevolenza, la mitezza, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità, con la carità che esige la generosità, che suscita la reciprocità, che è amicizia e comunione. Tutta la storia di Israele si sviluppa attorno all’amore di Dio, che ama il suo popolo più di quanto uno sposo ami la propria sposa; con l’incarnazione del Figlio questo amore vincerà anche le più gravi infedeltà, arriverà fino al dono più prezioso. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. L’amore di Dio è eterno: seguo il Catechismo, citando alcuni passi scritturistici. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto. Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà. San Giovanni si spinge oltre affermando che Dio è amore; l’essere stesso di Dio è amore. Mandando, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio unigenito e lo Spirito d’amore, Dio rivela il suo segreto intimo: egli stesso è eterno scambio d’amore, Padre, Figlio e Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi.

Del Capecelatro, che è stato vescovo di Capua e ha scritto molto, leggo alcune sue riflessioni in merito all’amore di Dio e del prossimo. Partendo dalla definizione di virtù data da sant’Agostino come ordine d’amore, fa annotazioni di viva attualità. Poiché noi ci sentiamo capaci di amare non solo i beni particolari, ma anche il bene sommo e infinito, anzi questo amore cerchiamo misteriosamente in tutti gli altri amori, è evidente che mai vi può essere ordine vero d’amore dove l’amore del bene sommo ed infinito non primeggi e non preceda l’amore dei beni finiti. Chiunque ami un vero bene finito, l’ami in ordine al bene sommo, e con amore proporzionato alla natura di cosa finita; allora, amando un bene finito ama il bene sommo. Come i diversi raggi che partono da un centro luminoso si allargano in una sfera più o meno ampia e simultaneamente ritornano al centro, così avviene dell’amore di Dio. L’amore di Dio ispiratoci da Dio stesso, partendo dal bene sommo, arriva ai beni finiti, e da questi, quasi direi, per forza di rimbalzo, è spinto di nuovo verso il bene sommo.

Ma sull’amore di Dio papa Ratzinger scrive la sua prima lettera enciclica: è un testo che bisogna tenere a portata di mano, quando si affrontano temi teologici di tanta intensità dottrinaria. Di fronte a tanta profondità di pensiero e al cumulo enorme di testi esistenti sulla materia, da quelli della patristica a quelli degli scrittori ecclesiastici d’oggi, amo chiudermi in solitudine e pregare. La preghiera, plasmata dalla vita liturgica, tutto attinge all’amore con cui siamo amati in Cristo e che ci concede di rispondervi amando come egli ci ha amati e ci ama. L’amore è la sorgente della preghiera; chi vi attinge tocca il culmine della preghiera.

Allora m’inginocchio e dico con il piccolo grande curato Giovanni Maria Vianney ciò che dentro, smossomi da Alfonso de’ Liguori, mi urge. Vi amo, o mio Dio, e il mio unico desiderio è di amarvi fino all’ultimo respiro. Vi amo, o mio Dio infinitamente amabile, e preferisco morire amandovi, che vivere senza amarvi. Vi amo, Signore, e la sola grazia che vi chiedo è di amarvi eternamente… Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere, ad ogni istante, che vi amo, voglio che il mio cuore ve lo ripeta tutte le volte che respiro. Ci sono stato ad Ars, nella piccola chiesa con il confessionale usato dal santo prete per ore ed ore, e rivado col pensiero all’altro confessionale, quello di padre Pio, nella piccola chiesa originaria del convento cappuccino di San Giovanni Rotondo, non quella attuale di Piano, la terza, assai dispersiva, più della seconda: sono reliquie di un ministero esercitato con grande amore di Dio.

Sempre in chiesa, il curato e il frate, a pregare e a santificare. E i preti d’oggi? Le leggono le vite dei santi? La fanno più la lettura spirituale quotidiana? E la meditazione ogni giorno? E il ritiro mensile? E gli esercizi spirituali? Sono ridotti ad un managerialismo laico che impressiona e ad un burocraticismo irrispettoso; in chiesa, di conseguenza, ci stanno poco e al confessionale meno che meno. Hanno gli orari come quelli degli uffici pubblici, e i più stretti possibili, attaccati addirittura alle porte delle case di Dio. E la predicazione? È ridotta ad un’elencazione di cose da fare sul piano dell’efficientismo organizzativo, quando non è una tiritera disordinata di cultura esibita. Mi dicono che addirittura sia stata eliminata la discussione mensile del caso morale e l’aggiornamento pastorale lasci molto a desiderare.

Mi vien fuori imprevista questa annotazione, quasi una recriminazione; ma, Cristo Signore, perdonami, anzi pensati tu. Per riparare ti prego anche per tutti i sacerdoti manchevoli, per loro cercando e volendo il tuo santo amore. Mia mamma diceva che noi non conosciamo i fini di Dio: anche l’idea di ripescare questa preghiera viene da lui. Tutto. Caterina da Siena scrive, a coloro i quali si scandalizzano e si ribellano per tutto quanto loro capita, che tutto viene dall’amore, che tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo. Dio nulla fa se non a questo fine. Dice il mio vescovo che la sofferenza brucia il peccato ed è scritto che l’amore è più forte del peccato. In questo spirito, Signore Gesù, vengo a te, nella cappella del santissimo, per incontrarti, per vederti e questa volta per dirti di darmi il tuo santo amore per redimermi ancora una volta e farmi sentire sempre più nelle viscere che il tuo giogo è soave.