che per l'amore che portate agli uomini

2 - che per l’amore che portate agli uomini,

L’amore è il sentimento di profondo attaccamento, un’inclinazione dell’animo verso una persona, il desiderio vivo, ardente di essa. È il principio vitale, è di là che viene la vita. Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore. Amore assoluto, infinito, eterno. Si riversa sull’uomo e lo crea a sua immagine e somiglianza. Gli alita dentro l’anima, una dimensione dell’uomo che non è puro cervello, né pura mente, né rapporto tra mente e cervello, è un oltre fuso in maniera strutturale al suo corpo. Gli dà la responsabilità dell’amore e della comunione, lo conserva e tutte le cose ordina alla sua salvezza. Lo crea per un atto d’amore e se ne compiace. Vede quanto ha fatto, ed ecco: è cosa molto buona. Il fine ultimo per cui l’ha fatto, per cui esiste, è di essere partecipe della comunione che c’è tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d’amore. Dio vuole la gloria, mi ha fatto per avere da me la gloria: dargli gloria è la mia salvezza, è essere nella sua gloria, è vederlo nel volto.

Il volto di Dio. Ma merito di vederlo? L’uomo ripaga l’amore di Dio con a disubbidienza e il dolore di Dio stilla amore. Mi ha fatto come lui, si fa come me, si mette nelle mie dimensioni. L’amore infinito di Dio: il Figlio di Dio si fa Figlio dell’uomo. Dio creatore e signore si fa sofferente. La croce è la risurrezione esprimono l’unione e l’unità delle persone della Trinità, il Padre che mi crea, il Figlio che mi redime, lo Spirito Santo, l’amore che procede. La Trinità consostanziale. Nella dinamica trinitaria dell’amore di Dio sono pur io, ma mi devo salvare per entrarci per l’eternità. Devo dare riscontro all’amore di Dio, che mi ha fatto nascere, mi mantiene in vita e tutte le cose ordina per la mia salvezza.

Benedetto XVI, nella sua prima lettera enciclica, appunto Deus caritas est, discute della differenza tra «eros» e «agape» e afferma che l’eros di Dio per l’uomo è insieme totalmente agape, non soltanto perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona. Si entra nel discorso del rapporto di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Dice Ratzinger: sì, esiste una unificazione dell’uomo con Dio, il sogno originario dell’uomo, ma questa unificazione non è un fondersi insieme, un affondare nell’oceano anonimo del divino; è unità che crea amore, in cui entrambi, Dio e l’uomo, restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sol. Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito: lo scrive san Paolo ai corinzi.

Che devo fare per unirmi al Signore? Che devo fare per ereditare la vita eterna? Ciò che sta scritto nella legge: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza, con tutta l’anima. Amare il prossimo mio come me stesso. Chi è il mio prossimo? Il richiamo è alla parabola del buon samaritano: chi ha avuto compassione della vittima. Aver compassione del prossimo significa farsi prossimo. Più che chiedermi chi è il prossimo, mi devo interrogare sul come posso diventare prossimo degli altri. L’amore che porta Dio agli uomini segna a traccia del percorso che fa il samaritano. Vede e ha compassione dell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico: si ferma, gli si fa vicino, gli fascia la ferita, si rende disponibile, si presta per tutto il resto che segue e che non è poco. La compassione è operativa, si patisce con soffre, come dice l’etimologia del termine, è azione.

Dio fa il samaritano con me: sta vicino a chi ha il cuore che soffre. È accosto a me il Figlio di Dio, il Verbo di Dio. Dio mi vede, si ferma da me, ha compassione di me, si fa prossimo mio fino a prendere la mia carne, ma va oltre, patisce per me fino alla morte, e alla morte di croce. Fino a tanto arriva l’amore che Dio porta agli uomini. È accosto a me il Figlio di Dio, il Vervo di Dio vuole fasciarmi le ferite, vuole salvarmi. Si offre per me per l’amore che mi porta. Per l’amore che porta agli uomini. A questo atto di offerta, scrive il papa nell’enciclica citata, Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l’istituzione dell’eucaristia durante l’ultima cena. Egli anticipa la sua morte e risurrezione donando già in quell’ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna. Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo, ciò di cui egli come uomo vive, fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato verdamente per noi nutrimento, come amore. La Parola è il samaritano, è vicino a me, è nella mia bocca e nel mio cuore. Ma è con me, perché io ne dia testimonianza con la fede e con le opere. Con la vita.

Grande è l’amore che Dio porta all’uomo, tanto grande che ci dona Gesù, che a sua volta si offre nel sacramento dell’altare. L’eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù, annota Benedetto XVI. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. Però, la riflessione non si ferma qui, perché si richiama l’attenzione su un altro aspetto conseguente: la mistica del sacramento ha un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti. Paolo ai corinzi dice che, poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.

L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali egli si dona. Io non posso avere Cristo per me, posso appartenergli solo in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani. Diventiamo un solo corpo, fusi insieme, secondo Ratzinger, in un’unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia diventata anche un nome dell’eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso noi.

Quanto ci viene, mio Dio, dall’amore che porti agli uomini: ha ragione d’invocarlo sant’Alfonso dalla pienezza della sua mistica adorazione.