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Cap. XXXII

L’IMPRESA CIVICA DI PIEDIMONTE

(pp. 318-320)

DESCRIZIONE E SIGNIFICATO DEI SIMBOLI – Lungi da noi l’idea di una dissertazione sugli stemmi. Sarebbe una fatica inutile, anche perché al presente è ancora controversa la questione della loro origine, e perché essa esulerebbe dall’indole del nostro lavoro.

IMPRESA CIVICA

Guarderemo l’impresa civica di Piedimonte da un punto di vista tutto nostro, allo scopo di contemplare, più che possibile, queste « Memorie »; e, per la lealtà storica, diremo che malgrado le ricerche compiute, ignoriamo l’epoca in cui la nostra città adottò il suo tipico emblema. L’Archivio di Stato di Napoli non possiede in proposito documenti di sorta. Ha soltanto una raccolta di stemmi comunali fatta nel 1818, e per quanto si riferisce al nostro, esso è così descritto: « D’argento a tre cipressi nordici su altrettanti monti, il tutto al naturale ».

I Piedimontesi hanno, però, una particolare antipatia per la loro civica impresa, ritenendola di cattivo augurio. Niente di più errato. I simboli che la compongono, esaminati attraverso i postulati della scienza araldica, hanno ben altro significato. Lo smalto, ad esempio, di cui è formato il campo, è il secondo metallo nobile (argento), che simboleggia azioni pure; i cipressi dinotano eternità di fama; e siccome anche in vecchiaia i tarli non rodono questo legno, vuol dire che quella fama durerà in eterno. I monti, poi, hanno significato di grandezza, sapienza e fermezza insieme, e dinotano anche feudi e castelli in luoghi montani.

Orbene, chi non comprende che questa impresa è allusiva e commemorativa insieme, perché composta di figure prese dalla singolarità del paese,e da avvenimenti storici solenni?

Non occorre ricordare che Piedimonte è stato un castello cintato che ha avuto la sua rocca, che è stato più volte assediato, e che avendo resistito, sia pure con varia fortuna, a questi assedi ed a questi assalti con grandezza e fermezza d’animo, meritò fama di nobiltà e di splendore civico.

Appare chiaro, quindi, come i nostri avi nello stabilire la civica impresa vollero eternare tanto i luoghi quanto i fatti che vi si svolsero, affinché dessa rappresentasse in avvenire un documento storico degno di fede.

Se così non fosse non sapremmo quale altro significato attribuirle; dovremmo ritenerla che nacque, così, a caso, o per capriccio di coloro che sopraintendevano alla cosa pubblica. Ma questa congettura va completamente ripudiata, anche perché non si può negare che l’impresa, non certo occorsa per un semplice motivo decorativo, servì, come servirono tutte le altre, per distinguere il nostro dagli altri popoli dei feudi vicini, come nei tempi romani si distinguevano per tribù. Ed allora se ne deduce che dessa rappresenta effettivamente un documento che autentica avvenimenti storici importanti, che i lettori ormai conoscono.

I conterranei, quindi, smettano di ripudiare la propria impresa, e ricordino che i nostri avi, adottandola, ebbero le loro particolari ragioni per farlo.

Una prova che la nostra interpretazione risponde a verità, ribadita del resto dalla scienza araldica, sta in questo che cioè gli attuali Comuni di Castello, San Gregorio e San Potito, quando si distaccarono da Piedimonte, adottarono, per loro emblema, ciascuno un cipresso in campo d’argento. Ciò fecero non solo per rammentare ai posteri che dessi furono parte di Piedimonte, ma anche per godere la gloria dell’antica Terra, che fu pure gloria loro per avervi contribuito a conquistarla.

Fu codesto un capriccio nato contemporaneamente nel cervello delle tre popolazioni? Sarebbe stato tale se i tre Comuni avessero ciascuno adottata una impresa differente, cosa che potevano anche fare per un certo senso di ribellione, essendo stati costretti a sottostare a dispendiosi litigi per ottenere la separazione dalla Terra principale.

EPOCA PROBABILE DA CUI È IN USO L’IMPRESA – Poc’anzi abbiamo detto d’ignorare l’epoca in cui Piedimonte adottò la sua impresa perché nessun documento sincrono è stato rinvenuto. Se però ci manca la data precisa di questa adozione, non ci mancano le prove del secolare possesso. Sconosciuto il titolo di concessione, se pure vi è stato, abbiamo in vece l’uso costante dell’impresa per circa quattro secoli. In non pochi documenti del Sec. XVII, poi, rinveniamo lo stemma impresso in ostia od inchiostro; come lo ritroviamo riprodotto in stucco su qualche monumento. Tralasciando di enumerare i primi, ché sarebbe troppo lungo l’elenco, la nostra impresa è riprodotta sul frontespizio dell’abside di S. Maria Occorrevole fin dai primi tempi del Secolo indicato, quando cioè al tempio, quattrocentesco, si vollero apportare delle modificazioni. Lo scudo figura con quello gentilizio di Casa Gaetani tra i due archi spezzati del frontespizio, con la sola differenza che invece di avere la forma Sannitica, ha quella accartocciata che ritroviamo costante anche in documenti posteriori, cioè circondato di arricciature e volute ornamentali; forma usata specialmente nei monumenti, nelle sculture, e nelle miniature, ogni qualvolta lo si è voluto armonizzare coi fregi e coi motivi architettonici o del disegno generale decorativo. Entrambi gli stemmi furono colà riprodotti per ricordare ai posteri che il tempio sorse ad iniziativa dei fedeli, dell’Università e di Casa Gaetani.

IMPORTANZA DELL’IMPRESA – Non è però a credersi che l’adozione del nostro stemma rimontasse proprio nel Sec. XVII. Simboleggiando esso avvenimenti di notevole importanza storica, non riuscirà strano argomentare essere avvenuta l’adozione sin dall’epoca della promulgazione dei Capitoli e Statuti della Terra (1481), data solenne ancor questa, che segna appunto il periodo in cui Piedimonte cominciò a governarsi con proprie leggi scritte. Un avvenimento di sì alta importanza storica e sociale ben poteva celebrarsi con l’adozione dello stemma, in ricordo anche dei fausti eventi passati e di quello sincrono, e come atto di affermazione politica, di riscatto e di coscienza civica.

L’ipotesi non è improbabile anche per il fatto che proprio nel Sec. XIV vi fu l’adozione della corona negli stemmi da parte dei Comuni, e la nostra è un cerchio di muro d’oro, aperto di quattro porte, unito da muriccioli d’argento, corrispondente, insomma, proprio alle corone murali di antica data, e che con la deliberazione del 4 maggio 1870 della Consulta Araldica, venne attribuita a tutti i Comuni del Regno con una popolazione superiore ai tre mila abitanti.

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