Cielo_monastero Santo Stefano

Luigi R. Cielo

IL CASTELLO DI S. ANGELO NELLA REALTA’ INSEDIATIVA E STRATEGICA DELLA TERRA ALIFANA

(in S. Angelo di Ravecanina – Un insediamento medievale nel Sannio Alifano, a cura di L. Di Cosmo, 2001, pp. 95-98)

Quando nel secondo decennio del sec. VIII riprende la documentazione sulla media valle del Volturno con un praeceptum oblationis, in cui per ordine del duca di Benevento Romualdo II (706-731/2) un certo Jubinianus e la moglie offrono i loro beni al monastero di S. Maria e S. Pietro nella località Massanum presso Alife[1], i Longobardi nella valle si erano insediati almeno da un secolo e mezzo, come è dimostrato dalla scomparsa dei vescovati e in particolare di quello di Compulteria nel 599.[2]

Ma è la fondazione del monastero di S. Maria in Cingla dopo il 743 l’avvenimento centrale di questi anni, che chiama oltre tutto in causa due dei maggiori poteri della Langobardia minor: quello politico esercitato dal duca Gisulfo II (742-741) e quello monastico impersonato dall’abate cassinese Petronace[3], con una prova da una parte di calcolate collaborazioni[4] e dall’altra dell’interesse che i dinasti longobardi di Benevento evidenziano nell’area, se di lì a qualche anno anche Arechi II (758-787) fonderà un altro monastero, quello di S. Salvatore presso l’attuale Piedimonte Matese[5].

La ricca documentazione di estrazione cassinese, che riguarda S. Maria in Cingla, affiancata a quella conservata nelle carte già richiamate di S. Sofia di Benevento – non a caso due miniature del cartulario-cronaca di S. Sofia pertengono ad Alife e Prata[6] – e a quella di S. Vincenzo al Volturno (interessante quest’ultima particolarmente la zona di Prata) riesce a dare uno specimen della status insediativo della valle del Volturno nel tratto mediano per i secoli dell’alto medioevo per molti aspetti oscuro e di certo renitente ad una soddisfacente restituzione, ma in ogni caso capace di fornire elementi e dati assai utili, sui quali procedo in modo sintetico, essendomene occupato in una precedente ricerca[7]. La valle, che per comodità possiamo chiamare alifana[8], appare, almeno per la zona di Prata, “sottoposta ad uno sfruttamento che andava intensificandosi, come è provato dai frequenti riferimenti a viae publicae, limiti, fiumi, rii, emergenze qualificanti del territorio, terminos antiquos, fossata, tesi ad individuare con la maggiore approssimazione possibile le linee dei confini” e punteggiata di curtes, casales, vici, non esclusa una cella monastica e persino una probabile residenza notarile[9]. E punteggiata inoltre di chiese, su una delle quali, quella di S. Stefano, è utile fermarsi, perché rientrante nel territorio di S. Angelo-Raviscanina.

La prima notizia di una chiesa di Sanctu Stefanu in Prata è del 783 – e non del 747, come da qualcuno è stato scritto senza rimandi documentari[10] –. Il documento, in cui è nominato il prete che regge la chiesa e sono indicati i confini della terra che viene confermata nel territorio di Prata, “ubi dicitur in casalem de Ailane”, è redatto in Prata “in curte Sancti Stefani” e fa parte del lungo atto del vescovo alifano Vito risalente al 1020[11]. L’ecclesia Sancti Stefani ricorre poi in una carta dell’843, anch’essa riportata nell’atto del vescovo Vito, ma solo per una delimitazione di confini[12] e in una del 1005, quando per un concambio l’abate cassinese ottiene “curtem una in Alifis, que dicitur Sancti Stefani, cum terra modiorum quadringentorum”[13].

L’importanza del sito di S. Stefano è dato dalla confluenza nei pressi di due arterie romane, l’una in arrivo dal Ponte Ladrone e l’altra da Teano[14]. Se a questo si aggiunge che da documentazione posteriore (anni 1364 e 1405) si sa che nella piano sotto S. Angelo-Raviscanina sorgeva ancora un’altra chiesa, S. Maria de strata[15], si ha un’altra prova di come la ratio degli insediamenti di pianura sia in grandissima parte nel rapporto con gli assi viari, in particolare quelli antichi, che nel rappresentare un elemento catalizzante di popolamento hanno avuto il loro peso nella nascita di S. angelo, ove la presenza di una grotta di cultromicaelico indizia nei pressi e quasi certamente nel sito più alto – quello destinato ad ospitare la struttura castellare normanna – un villaggio fortificato già in età longobarda, con allusiva designazione toponomica.

... (la continuazione è nel capitolo relativo al castello)

[1] L. R. Cielo, S. Maria in Cingla: un’abbazia di prestigio in età longobardo-normanna, in Il territorio alifano, Convegno di studi, S. Angelo d’Alife, 26 aprile, 1987, Scauri, 1990, p. 191; L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento nel Matese Campano tra Longobardi e Normanni, in Monastero e castello nella costruzione del paesaggio, I Seminario di Geografia Storica, Cassino 27-29 ott. 1994, a c. G. Arena-A.Riggio-P. Visocchi, Perugia 2000, pp. 127-143, a p. 129. V. ora l’edizione critica del Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. Lat. 4939), a c. J. M. Martin, Roma 2000, nr. II, 14, p. 458 e le conferme del 743 del duca Gisulfo II al nr. II, 13, p. 456 e del 774 di Arechi II al nr. I, 3, p. 338. Di un’altra chiesa, S. Maria e S. Marciano, edificata dall’abate Garoin e sita ad Pletta e confermata nella dipendenza del solo Palazzo da Arechi II nel 769 (ibid., nr. III, 23, p. 515) l’editore indicherebbe una localizzazione ad Alife (v. a p. 63).

[2] S. Gregori Magni, Registrum Epistolarum, ed. D. Norberg, Turnholti 1982, IX, 94 e IX, 95, pp. 648-649; L. R. Cielo, Forme architettoniche nella Valle del Volturno tra Longobardi e Normanni, in Convegno di Studi “La Valle del Volturno nel Medioevo”, Ailano-Alife, 23-24 ottobre 1999.

[3] L. R. Cielo, S. Maria in Cingla, cit., pp. 185-186.

[4] Ibidem, p. 191.

[5] Erchemperti, Historia Langobardorum Beneventanorum, ed. G. Waitz, in M.G.H., SS. Rerr. Lang. Et Ital., Hannoverae, 1878, c. 3, p. 236; L. R. Cielo, Forme architettoniche nella Valle del Volturno, cit. Nel 756 la valle ospita inoltre una Eigenkirche, S. Nazario, costruita alcuni anni prima (Chronicon Sanctae Sophiae, cit. p. 376).

[6] Chronicon Sanctae Sophiae, cit. , tav. di f. 50 r e doc. nr. I, 25 per la chiesa di S. Nazario ad Alife e tav. di f. 81 r e doc. nr. II, 15 per il condome di Prata (forse Prata Sannita).

[7] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit.

[8] La denominazione di “balle alifana” è tra le più antiche nella determinazione di comprensori più o meno qualificanti, risalendo all’anno 756 (cfr. Chronicon Sanctae Sophiae, cit., p. 377).

[9] L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., pp. 132-133 (ivi, pp. 138-139 per la zona intorno a Piedimonte Matese). Già H. Bloch, Monte Cassin in the Middle Ages, 3 voll., Roma, 1986, p. 249 aveva richiamato l’attenzione sul gran numero di possessi (e quindi di toponimi) e di chiese appartenenti all’abbazia di Cingla.

[10] Da ultimo N. Mancini, Raviscanina. Ricerche storiche, Piedimonte Mates 1998, p. 28.

[11] E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, I, Venetiis, 1733, pp. 32-37 (p. 34): octaba scriptio; H. Bloch, Monte Cassino, cit. pp. 248-9, 264; H. Zielinski, Codice Diplomatico Longobardo, V, Le chartae dei ducati di Spoleto e di Benevento, Roma 1986, nr. XIV, pp. 383-385; E. Cuozzo et J. M. Martin, Documents inédits ou peu connus des archives du Mont Cassin (VIIIe-Xe siècles), in “Mélanges de l’EcoleFrançaise de Rome”, 103, 1991, 1, nr 6, pp. 131-132.

[12] E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, pp. 32-37 (p. 34): undecima scriptio; H. Bloch, Monte Cassino, cit., ibid.; E. Cuozzo et j. M. Martin, Documents inédits, cit., nr. 25, pp. 153-154.

[13] Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffman, M.G.H., SS., XXXIV, Hannover, 1980, II, 26, p. 211; L. R. Cielo, Fondazioni monastiche e incastellamento, cit., pp. 130-131. Nel fondo di S. Sofia presso il Museo del Sannio di Benevento è “conservato il testo dell’offerta a S. Sofia, fatta nel 1025, della metà di una chiesa di S. Stefano in Alife” (Chronicon Sanctae Sophiae, cit. p. 13).

[14]D. Caiazza, Il territorio tra Matese e Volturno. Note di topografia storica, in Il territorio tra Matese e Volturno, Atti del I Convegno di Studi sulla storia delle Foranie della Diocesi di Iserni-Venafro. La Forania di Capriati, Capriati a Volturno, 18 giugno 1994, a c. D. Caiazza, Castellammare di Stabia, 1997, p. 29.

[15] Benevento, Biblioteca Capitolare, Ms 117. Devo la segnalazione e la trascrizione all’amico Carmelo Lepore, che ne sta curando l’edizione.