Theodor Mommsen e l'Italia

Marco Buonocore

Theodor Mommsen e l’Italia

in «Le scienze dell'antichità nell'Ottocento. Percorsi romagnoli e riminesi», L'Arco - Annuale di cultura della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, 2014, pp. 40-55


Christian Matthias Theodor Mommsen, figlio di un pastore evangelico, nacque il 30 novembre 1817 a Garding nello Schleswig, regione a nord dell’Holstein, entrambi ducati di lingua tedesca affidati nel 1815 alla Danimarca: visse la propria giovinezza, quindi, sotto un dominio straniero, quello della corona danese, tra le modestissime condizioni familiari, studiando prima ad Altona presso il ginnasio Christianeum, poi iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza della celebre università di Kiel, dove si laureò neI 1843 con la monografia De collegiis et sodaliciis Romanorum, subito edita nonché dedicata ai suoi due «iuris scientiae rerumque antiquarum magistri», Georg Christian Burchardi (1795-1882) ed Eduard Osenbrüggen (1809-1879); in questa monografia il ventiseienne Theodor Mommsen [figg. 1-2] riservava grande attenzione alla documentazione epigrafica al fine di migliorare le conoscenze sui collegia antichi, conoscenze che, oltre allo scrutinio dei fontes, soltanto un «plenum inscriptionum Romanarum corpus» avrebbe ulteriormente consentito di ampliare: la monografia si chiudeva con l’editio aucta della nota lex collegii Lanuvini, edizione ancora oggi, a distanza di oltre 170 anni, in gran parte insuperata. Non credo di avere smentite se affermo che con questo lavoro, il quarto degli oltre 1500 che ci ha lasciato, Mommsen aveva già stabilito che l’epigrafia, come confermeranno poi gli innumerevoli contributi ad essa riservati, sarebbe stato il denominatore comune della sua maestosa produzione scientifica, che vide come massimo traguardo la costituzione del Corpus Inscriptionum Latinarum. Ma aveva anche compreso l’interdisciplinarietà necessaria che doveva esservi tra storia, diritto ed epigrafia. Contemporaneamente, in linea con le proprie tendenze liberali ed antiaristocratiche appoggiò gli ideali irredentistici dello Schleswig-Holstein, ben conscio che l’unica strada percorribile per un futuro migliore ed autonomo doveva consistere nella riunificazione di tutti i tedeschi in un unico grande stato liberale e progressista.

Questa concezione politica, che l’accompagnò per tutto il suo percorso terreno, ebbe il suo esito naturale nei moti rivoluzionari del 1848, a cui Mommsen partecipò in prima persona (lo Schleswig-Holstein soltanto in seguito, con la pace di Vienna del 30 ottobre 1864, diverrà provincia del regno di Prussia).

D’altronde ben sappiamo come in questo uomo lo studio mai si sarebbe dovuto scindere dall’impegno politico e sociale (è noto il suo credo: «Il peggiore di tutti gli errori è svestire l’abito del cittadino per non compromettere la veste da camera dello studioso»).

Nel 1844 pubblicò la sua seconda opera, tuttora un’opera essenziale per gli studi, quella sulle tribù romane (Die römischen tribus in administrativer Beziehung) nella quale ebbe modo di usare con rigoroso metodo scientifico il materiale giuridico, epigrafico e numismatico.

Veniamo ora al periodo 1844-1846. Furono anni fondamentali per la formazione di Mommsen perché ebbe occasione di conoscere personalmente due italiani che anche loro hanno fatto la storia degli studi antichi: Bartolomeo Borghesi (1781-1860) e Giovanni Battista de Rossi (1822-1894). Borghesi è ritenuto da tutti il padre dell’epigrafia pagana, de Rossi il padre dell’epigrafia cristiana.

Di Borghesi, da Mommsen definito magister patronus amicus, rimando in questo volume al saggio della professoressa Angela Donati, in cui è delineato lo spessore culturale dell’insigne studioso e quanto di aiuto Borghesi gli fu nello studio e nella metodologia storico-epigrafica...