Mancini_periodo romano

Nicola Mancini

Raviscanina Ricerche Storiche

1998

pp. 14-21

I Reperti archeologici della contrada S. Stefano

... Numerose sono, per il periodo romano, le testimonianze epigrafiche ed architettoniche che, di tanto in tanto, affiorano qua e là, a conferma di un’epoca non priva di splendore e benessere.

In particolare il luogo oggi detto S. Stefano ha fornito i maggiori e più importanti documenti. Tra questi l’epigrafe marmorea che si conserva nel Museo di Piedimonte Matese. Essa dice:

MATER DEORUM MESA

COLLEGI DEINDROFORI

Da questa iscrizione si ricava che in Alife, come in altre città dell’impero romano, c’era il Collegio dei Dendrofori, di cui facevano parte boscaioli ed appaltatori di boschi...

Altra epigrafe di S. Stefano è quella di Quinto Fufio Rufo, dalla quale sappiamo che il defunto aveva percorso tutta la carriera municipale di Alife.

Un’altra, pur qui rinvenuta, si riferisce al monumento funebre dei Granii, che doveva sorgere ai Quattroventi, in località della Le Cappelle. Alla gens Grania appartenne Marco Granio Cordo, del quale due iscrizioni ci hanno fatto conoscere la carriera militare e municipale...

Da S. Stefano provengono altre tre iscrizioni sepolcrali: una frammentata, ci è stata tramandata dal rev. Belisario Mancini; un’altra, recante i nomi di cinque liberti, si trova nel Museo di Piedimonte, e la terza, della liberta Viciria Aprodisia, è in possesso dello scrivente.

I numerosi frammenti architettonici, per lo più di trabeazioni e colonne lapidee, ci fanno credere che a S. Stefano dovesse essere qualche tempio e qualche nobile abitazione, servita da un acquedotto. Di tale opera idraulica sono stati rinvenuti tubi di piombo, mentre sono ancora visibili, sotto una scarpata, le opere murarie del cunicolo adduttore.

La varietà ed il numero delle iscrizioni fanno pensare che queste siano state tolte da monumenti vicini ed utilizzate, insieme ad altro materiale, per la costruzione di una chiesa, eretta quando il paganesimo era ormai morente... [1]

Il sepolcro presso la Strada Statale 158

Poco lontano dai Quattroventi, presso il Volturno, in zona oggi detta il Pizzone, dovevano trovarsi altre costruzioni, perché il luogo, oltre ad averci restituito alcuni frammenti di statue, ci ha dato un’iscrizione. È di Caio Nevoleio Chresto, questore degli Augustali, che prepara il sepolcro per sé, per la moglie, Ceparia Archene e per il figlio, Mahio Primogene[2].

Procedendo lungo la strada statale 158, verso Alife, poco oltre i Quattroventi, a nord della strada, si vedono i resti di un sepolcro di forma quadrata, avente il lato di dodici metri. Lungo i muri perimetrali, ad una certa altezza, corre un piano d’appoggio, vuoto, ma a suo tempo destinato a sostenere dei grossi blocchi di pietra recanti sculture decorative. Alcuni saranno ancora nelle immediata vicinanze, sotto terra; altri si trovano nelle masserie vicine. In quella dei Pezzullo ne giacciono due: uno, di grosse dimensioni, ci mostra una nave armata, dalla poppa a testa di cigno; l’altro reca un’aquila che stringe nel becco un serpente. Nella masseria Apuzzo si trova un masso decorato con un bucranio coronato di fiori, mentre un altro blocco, adorno di uno scudo rotondo, è stato distrutto durante l’ultima guerra.

Tra le tante perdite la più grave è certamente quella dell’iscrizione, perciò nulla si può dire del defunto se non che dovette essere un militare d’alto rango, come si deduce dai motivi ornamentali del sepolcro. Ma, un chilometro più avanti, vi è un’abitazione in rovina che ha, murati all’esterno, i resti di una bella iscrizione che si riferisce ad un tal Sontius Cimber, tribuno militare. Si tratta di due grossi frammenti, immurati capovolti, recanti lettere di 14 cm, accuratamente incise su una superficie leggermente curva. Si ignora il luogo e la data di rinvenimento, ma questa è del nostro secolo perché l’epigrafe è rimasta inedita fino al 1968.

...

Gli acquedotti

Altra importante opera del periodo romano è in località Sciumarato in territorio di S. Angelo, dove si trova una fontana molto antica, ricavata da un acquedotto, che, iniziando poco a valle della Grotta di S. Michele, portava l’acqua verso il Volturno, dove dovevano essere delle abitazioni. Lo stesso si fece a Raviscanina, in epoca immemorabile, dove la parte iniziale di un acquedotto romano fu trasformata in fontana pubblica. Il percorso di quest’opera si riconosce seguendo gli spiracula, ancora visibili sotto forma di piccoli pozzi, i quali assumono, ora, un nuovo e più preciso significato.

Infatti il cunicolo sotterraneo, iniziando dal fondo De Sisto, al centro dell’abitato di Raviscanina, scende verso sud-ovest, segnalandosi con due spiracula: uno dietro d’odierna fontana pubblica, oggi adibito a cisterna, l’altro detto il Pozzillo, da qualche anno scomparso sotto la terra. Entrato in proprietà De Cristofano, l’acquedotto punta ad occidente per evitare una pendenza che avrebbe aumentato eccessivamente la velocità dell’acqua. Quindi, con ampia curva ai piedi del Tuoro, volge a sud-est, per poi piegare, nel fondo Petrucci, nuovamente a sud-ovest.

Attualmente, in zona detta le Furmi, il cunicolo è ben visibile, perché una piccola frana lo ha messo allo scoperto. È stato poi intercettato più a valle, in proprietà Natale, mentre si procedeva all’impianto di un uliveto. Da qui ne scompare ogni traccia, ma, più di tutto, mancano rovine e ruderi a segnalarci le abitazioni servite dall’acquedotto.

Il tempietto di Giunone

Ma vi sono, a Raviscanina, altre tracce della romanità. Nella parete esterna della Chiesa del Sacro Cuore, in Piazza Umberto I, è murato un frammento di iscrizione che si riferisce ad un tal Pylades, liberto di Servilia. Costui, sacerdote di Giunone e questore degli Augustali, lasciò ventimila sesterzi per il suo monumento funebre. Il Trutta pensa che l’epigrafe provenga da quel gran sepolcro, detto Il Torrione, che si trova sulla strada per Alife. Il monumento, invece, era poco lontano dalla chiesa che ne conserva l’iscrizione o su quello stesso luogo, perché ce ne danno testimonianza alcuni blocchi di pietra, regolari, ancora giacenti nelle vicinanze[3].

Inoltre gli scavi eseguiti per la costruzione delle fognature di Via S. Croce hanno messo in luce, sotto gli occhi dello scrivente, resti archeologici di grande importanza. A circa tre metri sotto il livello stradale, qualche metro prima della Piazza S. Croce, furono ritrovate, a poca distanza l’una dall’altra, due condutture di piombo[4].

Dalla loro direzione si deduce che i tubi si congiungono poco a monte della strada, e che la conduttura principale discende direttamente dal luogo dove è oggi la fontana pubblica, e cioè l’acquedotto di cui abbiamo già parlato[5].

A valle, invece, le tubature passano sotto il palazzo Mancini e dovrebbero pervenire, divaricate di qualche metro, in Piazza S. Croce, dove fornivano acqua al piccolo tempio di Giunone, nel quale si celebravano i sacrifizi di cui aveva incarico Pylades.

La presenza di questo luogo di culto è confermata da due are di pietra: una, di forma cilindrica, recante teste di bue e festoni di fiori, è ancora visibile di fronte al Municipio; l’altra, rozzo parallelepipedo con due vaschette rettangolari, poco profonde, è rimasto in Piazza S. Croce fino all’immediato dopoguerra. È stato infranto, dopo il 1945, durante i lavori di ricostruzione della Chiesa di S. Croce, distrutta da un bombardamento aereo.

Durante gli scavi per la suddetta ricostruzione si trovò un piccolo capitello di tufo grigio, in tutto simile a quello rinvenuto, e da conservato, in occasione dei lavori di fognatura della piazza, quando si intercettarono le già citate condutture di piombo. Che la zona fosse abitata in epoca romana si deduce dai numerosi frammenti di terrecotte qui rinvenuti e da alcune tombe a tegoloni messe allo scoperto nell’ottobre 1977, durante lavori eseguiti, sempre nell’ambito della piazza, in proprietà Riccio. Le tombe, allineate, dovevano far parte di un sepolcreto di cui non si è potuto stabilire l’estensione, ma si suppone continui nel terreno circostante.

Vi è infine un frammento di iscrizione immurato capovolto in un vicolo della Via S. Croce, recante la scritta CAESONIA[6].

[1] Le iscrizioni di Alife di cui si fa cenno in queste righe, sono state pubblicate dallo scrivente sull’Annuario 1968 dell’Associazione Storica del Sannio Alifano e sull’Annuario 1975 dell’Associazione Storica del Medio Volturno.

[2] I frammenti delle statue sono ancora visibili: uno è in contrada Casepagane, nell’abitazione del sig. Masiello Antonio; l’altro è conservato dallo scrivente. L’epigrafe, invece, pubblicata nel 1968, era già stata segnalata alla Soprintendenza di Napoli dal prof. E. Villani nel 1913.

Il nome caeparia deriva da caepa, cipolla, perciò caeparius era il venditore di cipolle. Ciò fa pensare che in Alife la coltivazione di questo ortaggio era già abbastanza diffusa in epoca romana.

[3] Uno di questi massi è murato sotto l’iscrizione e reca la data del 1632; un altro, di grandi dimensioni, è stato infranto e riadoperato; altri ancora sono poco lontani, in proprietà Seneca.

[4] Questi tubi di piombo hanno la caratteristica forma ad oliva delle condutture romane. L’asse più lungo misura cm 5.

[5] I punti di riferimento sono stati riportati su una mappa catastale rappresentante i luoghi. Ciò mi ha permesso di giungere alle conclusioni di cui sopra.

[6] Il frammento, molto piccolo, è murato all’esterno dell’abitazione della signora De Cesare Cesira. Altra iscrizione si è rinvenuta verso il 1950, presso il cimitero. Apparteneva al sepolcro di Caio Egnazio, vissuto prima del 60 d. C.