io vi credo presente nel Sacramento dell'Altare;

6 - io vi credo presente nel Sacramento dell'Altare;

Quante volte e di che sostanza siano i dubbi che mi prendono nella mia fede Dio solo lo sa, da quando ero giovane in lui fiducioso e Giovan Battista Montini, sempre problematico e intenso, allora sostituto alla segreteria di stato pontificia, poi papa Paolo VI, ci det­tava le meditazioni alla Domus Pacis, durante le tre giorni dei presi­denti diocesani della gioventù cattolica organizzata, al tempo di Mario Rossi, fino ad ora, quando son vecchio e mi devo guardare dai cavalloni del mare che amo. Sempre dubbi. Ma sempre ho professato e professo la fede con volontà decisa: credo in tutto quello che recito con la Chiesa nella celebrazione eucaristica, con risolutezza, e ogni incertezza riverso, anch'essa preghiera sofferta, nel rotolo della mise­ricordia del Padre. Credo in tutto il patrimonio di fede costruito nella Chiesa, dal tempo della sua fondazione ad oggi.

Credo nell'eucaristia, rifugio di salvezza e di speranza. Io rimar­rò con voi fino alla fine dei secoli. Ed averti in carne ed ossa, Signore, sempre disponibile nella tua interezza divina e umana, mi da sicu­rezza di vita. Io credo fermamente che tu sia presente sotto le specie del pane consacrato nel tabernacolo di tutte le chiese del mondo e ti vedo uomo nel tuo esistere quotidiano, nel perenne dolore dell'esilio dell'uomo, nel getsemani continuo della tua solitudine. Ti vedo, e mi basta vederti, sì tanto nella figura che definisce il tuo passaggio sulla terra, i trentatré anni di vita che hai quando ti mettono in croce, e sì tanto nel tuo essere divino, ben profilato dalla sostanza delle cose più che negli studi e nelle determinazioni della Chiesa, ma ti vedo di più, mi piace vederti di più nel mistero che sei, nella forza mistica che promani nella storia da quando sei venuto tra di noi, nella storia di ciascuno di noi, ti vedo nella capacità ineffabile che hai di risolvere ogni mio segreto.

Alfonso de' Liguori, nella prefazione alle sue Operette spirituali, raccontando della devozione di alcuni santi all'eucaristia, di Francesco d'Assisi dice che «ogni travaglio che passava, l'andava subi­to a comunicare a Gesù Sacramentato». Son certamente altri e più forti i legami del fondatore dei frati minori con le sacre specie, ma, riportandomi a quello che scrive il vescovo di Sant'Agata dei Goti, ti dico che io non vengo a te dove stai per dirti i miei problemi, ma solo per vederti, per star con te, per sentire più da vicino i palpiti del tuo cuore immenso. Tu sai tutte le mie cose e io faccio fatica ad ordinar­le e a raccontartele. Anche in questo sono pigro. E poi non so quali siano le più importanti e quali soluzioni debba io chiederti. Tu sai tutto, mi conosci fino in fondo, misuri gli eventi sulle distanze infini­te. Mi soddisfa pienamente la preghiera del de' Liguori e la recito a memoria, in buona parte pure distratto, e tu anche questo compren­di e mi vieni incontro lo stesso.

Io credo. Con la fede l'uomo sottomette pienamente a Dio la pro­pria intelligenza e la propria volontà. Con tutto il suo essere l'uomo da il proprio assenso a Dio rivelatore. Questa risposta a Dio che rive­la è l'obbedienza della fede. Credere è un atto umano, ma è un dono soprannaturale trasmessoci dallo Spirito Santo. Credere è un atto umano, cosciente e libero, che ben si accorda con la dignità della per­sona umana. Papa Montini scrive: «Noi crediamo tutto ciò che è con­tenuto nella Parola di Dio, scritta e tramandata, e che è proposta dalla Chiesa come divinamente rivelata». Se si va bene a fondo sui conte­nuti della definizione della fede, non può non considerarsi duro annullarsi d'intelligenza e di volontà, cioè rinunciare alla propria libertà. Ma c'è, in effetti, questa rinuncia? Proprio no, perché cre­dendo gli orizzonti si slargano sull'infinito e i tempi si allungano nel­l'eternità. Le cose che contano di più sono le cose invisibili. E poi se ne ha un riscontro anche sul piano della quotidianità, in quanto si acquista sicurezza, la speranza aumenta e ci si ritrova sempre con un ancoraggio certo nei momenti dei marosi che scatenano il male, la sofferenza, il dolore giornaliero dell'esilio.

Credo nella pienezza di Cristo Signore nelle specie eucaristiche, ci credo perché egli ce l'ha detto personalmente. Il Capecelatro che amo, arcivescovo di Capua, illustre cardinale della Chiesa, fa una buona osservazione: Nel Vangelo si parla due volte del santissimo sacramento e le parole che si riportano in merito sono così belle, nobili, semplici, che chi le legge con animo aperto e sincero vi trova più luce che in tutte le più sottili argomentazioni dei teologi. Il primo discorso è quello di cui riferisce Giovanni sul pane di vita. Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, che discesi dal cielo. Chi mangerà di questo pane vivrà in eterno, e il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui. Come il Padre, che vive, ha mandato me, ed io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà per me.

È un passo di Giovanni che va letto, riletto e meditato sovente per la ricchezza dei riferimenti che vi sono e le indicazioni di vita. Così vanno ben valutati i momenti descritti dagli altri evangelisti sull'isti­tuzione dell'eucaristia. Ne sentiamo sempre le parole ripetute dai sacerdoti alla consacrazione del pane e del vino, ma fermarcisi sopra un tantino di più nei tempi, purtroppo pochi e brevi, della riflessione silenziosa è di grosso giovamento spirituale. Sulla tua presenza nel­l'eucaristia, Signore, hanno consumato i classici fiumi d'inchiostro, ma di più i neuroni del loro cervello, i grandi luminari delle scienze patrologiche e teologiche, come dimostrano i ponderosi e innumere­voli testi che sulla materia ci sono giunti. La patristica è zeppa di ela­borazioni sul tema a firma dei maggiori padri della Chiesa e la teolo­gia medioevale in merito ridonda di argomentazioni serrate con Tommaso d'Aquino al vertice di tanta speculazione altamente dottri­naria: la transustanziazione è il mirabile mutamento delle sostanze, il centro del mistero della rinnovazione del sacrificio della croce.

Ma al di fuori, anzi al di sopra di tutto questo ci sei tu, l'hai detto tu, e lo hai fatto tu, dicendo ai tuoi apostoli di farlo a loro volta in tuo nome, costituendo il sacerdozio ministeriale come servizio e perfe­zionamento del sacerdozio regale di tutti i fedeli credenti. Sei presen­te nel sacramento: divinissimo sacramento, come mi si diceva da ragazzo con un superlativo assoluto indicativo della primazia, di esso su tutti gli altri, perché centro della vita della Chiesa, perché nella sua realtà umana e divina da vita, forza ed energia a tutte le comunità ecclesiali. Non mi piacciono molto, in verità, e non c'è voluto poco a vincere la non inclinazione ad accettarli, la definizione e il senso di memoriale che si danno al sacramento nel catechismo della Chiesa cattolica e nella letteratura in merito precedente e susseguente, pur se sono stati legati alle robuste tradizioni bibliche ed è stato tolto ad essi il valore laico che ha il termine. Adoro te devote, latens deitas, / quae sub his figuris vere latitas. / Tibi se cor meum totum subicit, / quia te contemplans totum deficit. /... / In cruce latebat sola deitas, / at hic latet simul et humanitas. / Ambo tamen credens atque confidens; / peto quod petivit latro paenitens. L'eucaristia non è memoriale: è Cristo Gesù in carne ed ossa che vive tra noi e ci è garanzia di vita eterna.

È attorno a lui che si raccoglie e si forma il popolo di Dio, intor­no all'altare su cui si celebra il sacrificio della sua passione e morte, intorno all'altare in cui si conservano le specie eucaristiche, dove egli ci aspetta, ci chiama e ci accoglie. Che cos'è l'altare di Cristo se non l'immagine del corpo di Cristo? «L'altare è l'immagine del corpo, e il Corpo di Cristo sta sull'altare»; l'affermazione significativa è di sant'Ambrogio. Con la liturgia della Chiesa dico: Dio onnipotente, fa' che questa offerta sia portata sull'altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del corpo e del sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione.

L'altare, l'ara del sacrificio, la realtà concreta, storica, alla quale mi vien fatto di associare l'altra realtà, quella della quotidianità, la mensa dove si spezza il pane del nostro vivere di ogni giorno. Quante volte si nomina il pane nei testi biblici, gli antichi e i neotestamentari, è qui inelencabile; prenderebbero troppo spazio le citazioni rela­tive, e quante volte nominiamo il pane nel nostro esistere. Lo vedia­mo spezzare con amore e ce ne rallegriamo dentro per la forza di rito che ha l'operazione quotidiana, e lo spezziamo, e lo mangiamo, e, se cade a terra, lo raccogliamo e lo baciamo secondo l'insegnamento dei vecchi. È il pane di cui ci nutriamo.

Il pane che è Cristo è panis angelorum factus cibus viatorum. Pane di vita sei, Signore, nel divinissimo sacramento dell'altare, pre­sente e pronto a farti mangiare da me, povero in via affamato di pace. Nutrimento indispensabile del mio pellegrinare accanito, sei fonte di energia spirituale, sorgente di grazia e d'amore. Da te prende forza la vita della Chiesa, perché intorno a te si unisce e si ravviva il popolo di Dio. Panem de caelo prestitisti eis. Omne delectamentum in se habentem.

L'allentamento che negli ultimi decenni del ventesimo secolo ha avuto l'attaccamento devozionale all'eucaristia per via delle tensioni esistenti all'unità dei cristiani, determinato in tanta parte dalla dispo­nibilità offerta ad un revisionismo certamente accorto, ma comunque fiaccante la forza del mistero, specie con la caduta a livello periferico di certe tradizioni e di secolari consolidati usi della religiosità popo­lare eucaristica, non ha fatto certamente bene. La ripresa degli ultimi tempi dà buone speranze.