La conversione su Dio

Raffaele Nogaro

La Conversione su Dio

in «La spiritualità di Giacomo Gaglione», atti del convegno di studi (Caserta 23-25 maggio 1997), a cura di G. Andrisani, 1998, pp. 211-215

 

Giacomo Gaglione è un modello della conversione cristiana.

La malattia l’ha aiutato a prendere le dovute distanze dalla mondanità, per farla aderire alla volontà del Padre, in modo originale e generoso. Le ragioni del mondo con le loro logiche di ricchezza, di piacere e di potere si sono gradualmente allentate nel suo spirito, fino a dare spazio alla ragione del Padre, in un rapporto integrale ed esclusivo con la sua giustizia. Quella giustizia che è tutto l’amore della Trinità e tutto l’amore del mondo.

Gesù Cristo ordina ai suoi discepoli di abbandonare ogni cosa, per seguirlo, perché lui non è di questo mondo. Il mondo nel concetto neotestamentario è la società di coloro che non conoscono il Do vivente. Possono avere una filosofia di Dio e ritenerlo artefice dell’universo, possono avere anche una religione e tributare a Dio venerazione e culto; ma non hanno quella fede che rende Dio presente, vivo ed efficace nella loro vita. Vivono secondo la carne, secondo i criteri dell’efficienza mondana e non secondo lo spirito, conformati all’esuberante amore del Padre. Si può anche praticare rigorosamente i dieci comandamenti e non essere convertiti, non essere protesi alla volontà del Padre, non avere una vita che si esprime totalmente nella confidenza di Dio.

L’ascetismo a forte connotazione umana è pure esigente. Tende alla perfezione ed è capace di grandissimi sacrifici, ma manca del rapporto di figliolanza, che rende trasfigurata l’anima del convertito, libera e gioiosa nella casa del Padre.

Anche i farisei, professionisti della devozione alla legge, conducevano una vita esteriormente fedele, certamente austera, ma vivevano delle suppellettili di Dio, del tempio della Torah, non sapevano entrare nella sua grazia, nella effusione del suo Spirito: la carne non giova, lo Spirito vivifica.

L’esperienza del dolore, sempre più accolto, portava Gaglione a rendere insignificanti le cose non indispensabili per la quotidiana sopravvivenza ed a vivere sempre più nella sensibilità di Colui che viene, del Dio che diventa Padre.

L’antropologia biblica dell’unità dell’anima e del corpo nell’uomo viene deformata nella tradizionale ascetica cristiana dell’affermazione di una vita dell’anima distinta ed opposta alla vita del corpo: l’ascetismo è considerato una liberazione dell’anima da quella specie di prigione che è il corpo; la vita spirituale dell’uomo è una fuga dal mondo e dal tempo e un rifugiarsi nell’eternità.

Si tratta di una spiritualità che sembra imporre il rifiuto delle realtà quotidiane e il ritiro del regno degli angeli, dove si può raggiungere l’unione con Dio.

È questa la conversione cristiana? Un liberare l’anima e tenerla lontana dalle cure e dalle distrazioni temporali? Ritengo che il Vangelo sia un’umile e realistica accettazione della vita in uno spirito di corrispondenza alla chiamata di Dio. La conversione è l’unificazione del nostro essere intero, fatto di anima e corpo, in una dimensione di servizio alla volontà del Padre. È questo adorare Dio in spirito e verità che porta il cristiano a liberarsi da ogni attaccamento ai valori falsi ed egoistici ed a vincere i capricci della propria volontà.

Gaglione doveva tenere presenti tutti i pesi del suo corpo malato, ma li considerava con amore, quasi fossero la sua croce redentiva, mezzo indispensabile per la trasfigurazione della sua vita.

La conversione cristiana non significa rinunciare a tutte le cose migliori della vita per pagare un debito gravoso al giudice divino, ma significa utilizzare tutte le cose della terra in ordine al lor valore, che è quello di portare l’uomo  a vedere il volto beatificante del loro creatore.

Non eripit mortalia qui regna dat coelestia – non viene a togliere le cose della terra colui che viene a donare le cose del cielo, canta la liturgia. Il testo va inteso in due sensi: Dio non toglie mai, ma dona sempre, viene a darci quello che ancora non abbiamo; ma viene anche a chiederci di usare tutte le cose della terra per salire a lui. Tuto infatti si corrompe, se rimane solo e non raggiunge Dio. La saggezza della carne abbassa l’uomo e lo distrugge. La saggezza dello Spirito libera l’uomo e lo eleva.

Del resto, lo Spirito non ci chieda mai di rinunziare a qualcosa senza offrirci qualcosa di molto più alto e di molto più valido. La conversione è sempre opera di trasfigurazione. Aiuta il discepolo di Cristo ad entrare nella complessità delle cose mondane non per distruggerle, ma per portarvi la luce della verità e la potenza della Croce, che le eleva e le redime. Lo sforzo ascetico è un ingresso nel mistero pasquale della morte e della risurrezione del Cristo per sostenere il Signore nella sua opera di salvezza dell’umanità. Ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera. Importante è che l’uomo e tutte le sue cose, appunto mediante l’uomo facciano riferimento a Dio, che abbiano la dinamica dello Spirito per raggiungere la rettitudine ella volontà del Padre.

La vita cristiana non consiste nel cercare di vivere  senza le creature, ma nel servirsi dei beni della vita per compiere la volontà di Dio. Usare la creazione di Dio in modo che ogni cosa che tocchiamo, vediamo, adoperiamo renda nuova gloria a Dio: passare per il mondo e cogliere da ogni albero frutti per il cielo. In ogni direzione di vita chi ama la volontà del Padre trova il contatto, la comunicazione con lui. Avendo egli Dio nel suo essere, tocca Dio in ogni persona e in ogni cosa che gli stanno a fianco. La redenzione, tuttavia, non può prevalere in una vita che non partecipi responsabilmente al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo: Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua; Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le passioni e di desideri.

Il vero scopo della conversione non è quello di liberare l’uomo dai desideri e dalle necessità della carne, ma quello di condurlo alla corrispondenza completa con la volontà del Padre. Una spiritualità che confini l’uomo nel chiuso della sua volontà, lontano dagli assalti della storia, sarebbe futile e metterebbe l’uomo nella decadenza della spuria autonomia fuori dal calore della liberazione e della salvezza espressi dal kerigma evangelico.

Chi invece vive e soffre con Cristo diventa un liberatore d’umanità. Lo dice Gaglione con tanta efficacia: Chi soffre con Gesù ha compassione di tutti, ama tutti. Può essere un povero piccolo, una piccola luce sperduta, ma ai pié di Gesù, con Maria, è la creatura che sente nel cuore come un sole che brucia, perché deve illuminare tanti altri.

La conversione, quindi, non si fa su di sé, ma su Dio. L’uomo è come un vilino. Un’ascesi autonoma lo porterebbe ad essere rigoroso, a tirare, tirare le corde fino a spezzarle. Non sarebbe, questa, conversione, ma indocilità e perversione. Per muovere le corde alla tensione giusta, che esprima la melodia altissima dell’amore, l’uomo deve portare lo Spirito Santo a orchestrare in lui l’armonia della vita.

La conversione mette l’uomo in armonia con lo Spirito di Dio, che porta ordine nella nostra vitae valore nel nostro operato. Ma questo spesso avviene in mezzo a tante prove. Come il profeta Elia ramingo, Dio si fa sentire nel sussurro dolce, dopo averlo scosso con l’uragano, il terremoto, e l’incendio. Quello che vale non è tanto la tranquillità del cuore, quanto la sincerità della fede e l’adesione incondizionata alla volontà del Padre.

La vera conversione non è un principio di vago umanesimo, non è un saper ratificare un proprio progettodi vita, ma è sempre un andare incontro, anche in mezzo a oscurità e contrasti, a colui che viene, ad Deum qui laetificat juventutem meam – a quel Padre che integra la mia umanità nella vitalità inesausta della prima creazione. Ma sol inchiodati alla croce di Cristo si ha il potere di fare il bene, constata San Tommaso.

E Giacomo Gaglione ha accolto la croce, ha accettato l’uragano, il terremoto e l’incendio di tutta l’umanità, per convertirsi e diventare, in tal modo, il sussurro dolce di Dio per tutti i suoi fratelli e per la nostra diocesi in particolare.