Unisco infine Salvatore mio caro

27 – Unisco infine Salvatore mio caro, tutti gli affetti miei con gli affetti del vostro amorosissimo Cuore.

Siamo nella Chiesa che è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. In questa visione dottrinaria, il concetto del fine primario della Chiesa si estende: siccome la comunione tra gli uomini si radica nell'unione con Dio, la Chiesa è anche l’unità del genere umano. Al centro della Chiesa, di tutto il popolo di Dio, è l’eucaristia, Cristo Gesù vivo e vero, che rinnova la sua incarnazione e la sua passione nelle specie consacrate, polo d'attrazione misteriosa degli uomini della terra, centro unificante della vita ecclesiale e umana.

L’ho detto anche altre volte: nell’istante in cui ricevo la comunione in quel punto, il tempo e lo spazio fermi, attorno a me sento cori di angeli non solo, ma la presenza di tutti i cari, defunti e vivi, i santi che amo, i personaggi delle mie storie. La stessa sensazione spirituale, potrei dire mistica, ho quando sto solo con il Figlio di Dio fatto uomo nella cappella del santissimo a vederlo, non altro, solo a vederlo perché altro con lui non so dire né fare. E lì pure con me sento le folle della predicazione, ma pur talvolta la solitudine del Getsemani e del Golgota. Ma sento pure la folla degli uomini di tutta la storia, degli altri. E la solitudine di ciascuno. Mistero struggente. O res mirabilis.

Quest'attrazione centripeta dell'eucaristia è la forza vivificante della Chiesa ed è la ragione della sua sopravvivenza nei secoli. Non prevalebunt. È Dio vivo e vero, della Trinità la seconda persona nella sua natura divina e umana, che nella piccola realtà della custodia del tabernacolo si fa custode della Chiesa universale ed è garanzia vitale del mantenimento in essa dello Spirito di Dio, che è l’amore. Tutta la fede si concentra in quel punto: la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.

Nello spirito di questa unità s’innesta sant’Alfonso con il suo «unisco», ed io appresso a lui ho la gioia di sentirmi nell’offerta ancora di più appartenente alla Chiesa, questa grande madre che mi copre con il suo grande manto trapunto di stelle. C’è un avverbio, scritto staccato come ai suoi tempi e alla sua maniera, il quale non vuol dire finalmente nell’accezione comune, ma insomma, in conclusione, ed ha il valore indicativo della sintesi che sì vuol fare del discorso e della sua parte essenziale, quella oblativa, e l’invocazione è rivolta a Cristo come salvatore e mediatore unico e vero del genere umano, in quanto nell’unità della sua persona assomma le due nature, l’umana e la divina, e intercede incessantemente per noi a garantirci la perenne effusione dello Spirito Santo.

La preghiera in questa proposizione si rivolge a Cristo salvatore di tutti gli uomini: tutti hanno bisogno della salvezza e la salvezza è offerta a tutti grazie a lui che con il suo sacrificio ha vinto la morte aprendo a tutti la possibilità di salvarsi. L’eucaristia è il sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo incarnandosi e morendo sulla croce: questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Che Gesù sia veramente Dio che salva è materia della soteriologia: soteria è salvezza e soter è salvatore. Sono studi di grande interesse e di viva attualità nel dibattito tra gli studiosi delle varie religioni.

Noi diciamo nella professione di fede: per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo. Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio. Giovanni riprende il tema in più riprese: è Dio che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Egli è apparso per togliere i peccati. San Pietro nella sua seconda lettera dice che il Verbo si è fatto carne perché diventassimo partecipi della natura divina e sant’Ireneo di Lione annota: infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio. Sant’Atanasio di Alessandria asserisce che il Figlio di Dio si è fatte uomo per farci Dio.

Cristo è mediatore unico e salvatore: l’eucaristia è il sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo. Tu, Gesù eucaristico, particolarmente sei il salvatore; e il salvatore mio caro. La specificazione è quella di diletto, amato, oggetto di ogni sentimento di simpatia e di carità e si comprende l’afflato che la sollecita come urgenza da soddisfare, come impulso di vita interiore vibrante. Ma il «mio» è perché è un rafforzativo di queste tensioni vibrate o perché Cristo è che salva me, la mia vita, il mio essere e il mio esistere? Comunque, il senso è pregnante ed è espressivo di una confidenza benefica.

Tutto si riversa nella Chiesa, questa Chiesa pellegrinante, che è necessaria alla salvezza, questa Chiesa che Bernardo di Chiaravalle con grande amore, sia pur con qualche accento retorico, definisce: o umiltà!, o sublimità!, tabernacolo di Cedar, santuario di Dio; abitazione terrena, celeste reggia; dimora di fango, sala regale; corpo di morte, tempio di luce; infine, rifiuto per i superbi, ma sposa di Cristo! Bruna sei, ma bella, o figlia di Gerusalemme: se anche la fatica e il dolore del lungo esilio ti sfigurano, ti adorna tuttavia la bellezza celeste. Essere figlio di questa Chiesa è una grande grazia e i benefici che ne vengono sono tanti e di inestimabile valore protettivo, di rassicurante fiducia, di speranze di immisurabile portata.

Ebbene nella santa unità della Chiesa tutti gli affetti miei, tutti i sentimenti del mio animo, ogni mia inclinazione spirituale, ogni mio desiderio di bene unisco a quelli del tuo amorosissimo cuore, o Signore pietoso. Qualche vena di cattiveria, qualche propensione per il mondo, qualche aggancio alla terrestrità vissute con intensa voglia di goderne, qualche compiacimento dell’uomo vecchio ancora rimangono nel mio vivere: sarai tu a trasformarli o, se vuoi, a definitivamente bruciarli. Non rigettarmi, perché la mia pochezza spero tu accetti, accostandola alla infinita tua misericordia divina, per sentirmi ancora di più tuo, per sperare ancora più fortemente nella salvezza che mi dai, per avvertire in maniera più impellente il bisogno di amarti sul serio e di dimostrartelo con le opere.

È amoroso il cuore di Cristo, e il superlativo assoluto che usa sant’Alfonso è poco per definire la carità che lo ricolma straboccante, ma è poco pure per specificarne l’amabilità, la soavità, la piacevolezza. La Chiesa si riprende, quando si parla di cuore, il senso biblico di profondità dell’essere, in visceribus, dove la persona si decide o non si decide per Dio. Amo l’espressione e la uso sovente per la carnalità che esprime e per lo stupore che mi danno le cose che vi avvengono, le vili, ma pur esse vitali, come le assimilazioni e le trasformazioni per la conservazione della specie, le nobili, come l’amore creativo, il concepimento, l’avvio alla vita, pur esse per la conservazione della specie, e le eccelse, il dolore, che brucia tutto anche il peccato, l’accettazione della grazia nel volere, la preghiera, l’estasi.

Il cuore mio di miserabile peccatore vicino al tuo cuore, unito al tuo cuore: il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me. Ci ha amati tutti con un cuore umano, col cuore che è al centro delle sue viscere e pulsa per noi tutti nelle specie del pane e del vino consacrate. Per questo, il sacro cuore di Gesù, trafitto a causa dei nostri peccati e per la nostra salvezza, come scrive Pio XII, è il segno e il simbolo principale di quell’infinito amore, con il quale il Redentore divino incessantemente ama l’eterno Padre e tutti gli uomini. Mi dà particolare illuminazione e pur mi commuove la definizione che del cuore si dà nel nostro Catechismo: l’ho già riportata, ma mi piace ripeterla. Il cuore è la dimora dove sto, dove abito, dove discendo, secondo l'espressione semitica o biblica. È il nostro centro nascosto irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. È il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell'incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’alleanza.

Quale grande consolazione mi dà in questa parte la preghiera di sant’Alfonso: l’unificazione del mio cuore, quello dei miei poveri affetti, con il cuore di Gesù, amorosissimo, del Figlio di Dio divinamente capace di donarsi al Padre. È in Gesù che il nome del Dio Santo ci viene rivelato e donato, nella carne, come salvatore: rivelato da ciò che egli è, dalla sua parola e dal suo sacrificio. È il cuore della sua preghiera sacerdotale: Padre santo, per loro io consacro me stesso; perché siano anch’essi consacrati nella verità. È perché egli stesso santifica il suo nome che Gesù ci fa conoscere il nome del Padre. Compiuta la sua pasqua, il Padre gli dà il nome che è al di sopra di ogni altro nome: Gesù è il Signore a gloria di Dio Padre. Con la liturgia ambrosiana mi piace invocare: Te deprecamur magnum Redemptorem, / quem Pater misit ovium pastorem. / Tu es Christus Dominus Salvator, / qui de Maria Virgine es natus.