Lo spessore della croce

Raffaele Nogaro

Lo spessore della croce

in «La spiritualità di Giacomo Gaglione», atti del convegno di studi (Caserta 23-25 maggio 1997), a cura di G. Andrisani, 1998, pp. 15-37

Per me questo convegno è innanzitutto un atto di fede. Mi trovo a Roma per la Conferenza episcopale e sono andato a San Pietro proprio ieri sera e ho invocato, oltre San Pietro, il nostro Gaglione. Ho chiesto che insieme diano alla nostra Chiesa l’apertura nuova, diano una spiritualità intensa, in modo che Cristo possa essere veramente presente nelle nostre terre e presente nei nostri cuori. Vorrei proprio che questo convegno diventasse per tutti noi una vera Pentecoste. I mediatori dello Spirito Santo sono qui accanto a me, due persone eccezionali per spiritualità per competenze professionali e per la conoscenza di Giacomo Gaglione.

Innanzitutto, c’è il postulatore generale della causa. Noi preghiamo a mani giunte perché il padre Luca De Rosa, che tra l’altro ha origini nostre, perché è di Recale, solleciti la promozione spirituale della nostra gente, mediante la cura del processo di canonizzazione di Giacomo Gaglione. Pure qui abbiamo un amico di Gaglione, che tutti conoscete, il professore dell’università salesiana don Sabino Palumbieri, che proprio stasera presenterà l’essere, la novità, la qualità di questa grande spiritualità di Giacomino. Ho trovato un sentimento di conforto vedendo tutti voi, vedendo i cantori che hanno lasciato il lavoro per venire a rendere omaggio a questa grande figura. Questi sono tutti segni, i quali fanno sperare in grande secondo l’ordine della bontà del Padre, che abbiamo celebrato in questo momento di preghiera.

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Bisogna entrare nello spessore della croce, secondo l’espressione di S. Bonaventura per raggiungere il valore e il significato della realtà umana e della storia. E Giacomo Gaglione intensifica questa convinzione affermando come Paolo: Gesù agonizzerà fino al termine dei secoli in noi, perché tutti dobbiamo completare nella nostra carne ciò che manca alla passione di Cristo.

1 – ORIGINI DEL DOLORE

Circa l’origine del dolore la Salvifici doloris nota che il concetto biblico della natura umana esclude ogni tipo di dualismo tra spirito e corpo o tra individuo e società. La materia, lo spirito e la società provengono da Dio, il quale riconosce che nel creato non c’è veleno di morte. L’uso della lingua greca nella Bibblia contribuirà a distinguere il male della situazione psicologica che esso provoca, la sofferenza. Secondo la concezione platonica, ripresa da Agostino e Tommaso, il male è mancanza, limitazione o distorsione del bene.

È, infatti, nel racconto della Genesi, indicata la caduta dell’uomo nella «finitudine», di cui la sofferenza è segno. La privazione del bene produce dolore. L’uomo aumenta il male-privazione con la sua volontà disonesta o aumenta il bene con il suo sforzo virtuoso. Ma la sofferenza rimane nell’un caso e nell’altro, perché l’uomo è legato alla sua finitudine e non la vuole. Cristo è l’amore del Padre che viene per condividere la finitudine dell’uomo e ricostruirla nella vita.

La sofferenza è la penda della colpa. Non è però una pena fine a se stessa, ma è rivolta alla liberazione della colpa. Nelle sofferenze inflitte da Dio al popolo eletto è racchiuso un invito alla sua misericordia, la quale corregge per condurre alla conversione.

Il dolore aiuta l’uomo a prendere contatto con se stesso, a capire le sofferenze della sua colpa ed a prevenire alla ricostruzione del bene.

 

2 – VALORE DEL DOLORE

La sofferenza come pena del peccato riesce accessibile alla nostra ragione. Ma si può dare un senso alla sofferenza dell’innocente? Giobbe uomo integro e retto può tentare una risposta. Nella prova Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Il suo dolore è talmente irragionevole da fargli maledire il suo concepimento e la sua nascita.

Non accetta le considerazioni degli amici ed esclude che la propria finitudine debba essere considerata come una colpa. Giobbe, infatti, contesta la verità del principio, che identifica la sofferenza con la punizione del peccato.

Giobbe riconosce finalmente il suo errore fondamentale, che è la pretesa di incontrare Dio per una via diversa da quella della sofferenza. E accetta il mistero della onnipotenza imperscrutabile di Dio. Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento.

La riconosciuta rettitudine di Giobbe fa di lui un intercessore presso Dio a favore dei tre amici, che accendono l’ira di Dio, perché non hanno detto cose retta di lui come il mio servo Giobbe. Il mio servo Giobbe pregherà per voi. In tal modo egli si pone tra i giusti dell’Antico Testamento come Abramo e Mosé. E prefigura nello stesso tempo il Servo sofferente di Jahvè, che portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori.

 

3 – IL DOLORE NELLA VIVENZA CON CRISTO

Il dolore non si comprende, ma si accetta perché con noi c’è Gesù Cristo. Era ben giusto che colui, per il e dal quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.

La croce, che rimane mistero, diventa luogo di incontro tra uomo e Dio. È prova di fedeltà del Verbo fatto uomo al progetto salvifico del Padre ed è strumenti di salvezza della sofferenza definitiva, la quale sarebbe la perdita della vita eterna, l’essere respinti da Dio, la dannazione. È soprattutto epifania dell’amore di Dio, l’amore infinito sia del Figlio Unigenito, sia del Padre, il quale dà per questo il suo Figlio. Questo è l’amore per l’uomo, l’amore per il mondo: l’amore salvifico.

Il consenso amante di Cristo alla volontà del Padre viene perfezionato dalla sofferenza: pure essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza delle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

È quell'optare per Dio anche a costo della vita.

Tale prospettiva ritrova in Dio non tanto l’amore per il bene oggettivo, secondo il modello anselmiano, quanto l’amore per l’uomo in sé, creato a immagine e somiglianza di Dio. Dio chiama l’uomo a vivere secondo tale immagine nell'ordinamento d’amore di Dio, che vuole condurre la creatura umana alla piena comunione con sé. In tale rapporto di intimità si ha la felicità dell’uomo. La risposta d’amore della creatura giunge fino alla perfezione crocifissa del Figlio incarnato.

La croce è perfezione come pienezza di esistenza, come pienezza di offerta, che si apre nella verità della Risurrezione.

La sofferenza è la conformità piena al Cristo che redime il mondo con l ‘offerta integrale della sua vita.

La conformazione a Cristo fino alla croce non è da intendersi solo come sforzo di imitazione. Ma è il Cristo paziente che diventa presenza interiore, che sostiene il nostro soffrire. È Cristo che soffre in noi.

 

4 – LA SACRAMENTALITÀ DEL DOLORE

Per questo si può capire il sacramento del cristiano che soffre. La Salvifici doloris sembra quasi descrivere l’identità di Giacomo Gaglione, quando presenta il modello della persona che mediante la sofferenza accolta giunge alla piena realtà umana. È la conferma della grandezza spirituale che nell’uomo supera il corpo in modo del tutto incomparabile. Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile, e l’uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza interiore maturità e grandezza spirituale.

Questi due elementi, maturità e grandezza spirituale nella sofferenza, certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la grazia del Redentore crocifisso. È lui a trasformare, in un certo senso, la sostanza stessa della vita spirituale, indicando all’uomo sofferente un posto vicino a sé.

La sacramentalità della sofferenza è implicita nelle parole di Paolo: sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa.

Il completamento dei patimenti di Cristo da parte dell’apostolo non è da intendersi come essenziale. Ma la redenzione, operata in forza dell’amore soddisfattorio, rimane constantemente aperta ad ogni amore che si esprime nell’umana sofferenza. In questa dimensione dell’amore la redenzione, già completa fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente.

Così avviene per i sacramenti, che non completano la redenzione, ma la attualizzano in ogni tempo, applicandone i frutti ad ogni uomo, mediante l’unione arcana e reale a Cristo sofferente e glorioso.

La Chiesa è l’universale sacramento di salvezza, perché in essa ci sono la Parola di Dio, i sacramenti e la sofferenza offerta in redenzione dei fratelli.

 

5 – IL MISTERO SALVIFICO DEL DOLORE

Soltanto la rivelazione della Pasqua risponde all’uomo preso dal dolore.

Il Cristo crocifisso rimane comunque uno scandalo e una stoltezza.

L’aspetto scandaloso della croce è dato dal profilo sociale successo: Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo.

Come si può comprendere la fecondità della perdita totale di sé? I grandi di Israele erano chiusi nella visione di un messia umanamente vittorioso di tutti i nemici del popolo eletto, né lo potevano comprendere i pagani, di influenza stoica ed epicurea, i quali si sforzavano di ignorare la morte con la volontà di assicurare la libertà dello spirito. Per essi poteva essere soltanto una pazzia l’immersione di Gesù nella sofferenza, e in quella più ignominosa, con la pretesa di trasformarla in una sorgente di vita.

L’altro aspetto scandaloso della croce è dato dalla sua irrazionalità. La saggezza universale non ammette l’efficacia salvifica di una sofferenza così umiliante qual è quella della croce. Maledetto colui che pende dal legno, constatava la saggezza antica.

Paolo richiama questa considerazione con audacia, dando al condannato una potestas salvifica inaudita. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi. Egli accetta di passare come maledetto agli occhi degli ebrei, come il servo di Isaia, affinché la benedizione di Abramo possa giungere alle genti.

Un’altra realtà che la saggezza mondana non vuole collegare alla croce di Cristo è la colpa personale. Se il Crocifisso è l’epifania dell’amore di Dio per l’uomo, il corpo martoriato è anche la manifestazione della struttura a cui lo riduce il peccato.

Non riesce accettabile questa povertà costituzionale dell’uomo nei confronti di Dio. Si cerca la fonte della sofferenza in rapporti errati di tipo economico-sociale. Si denuncia non equilibrato il rapporto psicologico del soggetto con se stesso e con gli altri. La filosofia umana, considerata l’insufficienza delle risposte di carattere economico-sociale o psicologico, invitano le coscienze ardite ad un’accettazione stoica dell’assurdo della sofferenza.

Ma se Cristo crocifisso è scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Questa potenza e sapienza di Gesù crocifisso si rileva al buon ladrone.

Risalta l’atteggiamento di questo giustiziato a confronto di quello ironico dei capi e dei soldati e con quello disperato dell’altro crocifisso: neanche tu hai timore di Dio e sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male.

La redenzione è testimoniata dalla coscienza della propria insufficienza e dall'apertura alla misericordia divina: Gesù ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno. La pienezza salifica della croce si rivela al malfattore man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo.

L’atto di fede porta immediatamente con sé la risposta di Gesù: in verità ti dico, oggi stesso sarai con me in paradiso.

Gesù, mediante la croce, risorge non da solo. Nel dolore del parto ricostruisce la vita per sé e per l’altro.

La croce dell’esistenza rende presente la vita futura. Il dolore, in tutta la sua crudezza, ha in sé il paradiso.

 

6 – LA PREGNANZA REDENTIVA DEL DOLORE

L’amore e la gioia nascono dall’esercizio della sofferenza. Importante è che la sofferenza sia attiva: l’espressione meditata e generosa della propria personalità. Sia il dono: Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo la salverà.

Mediante questo esercizio attivo e responsabile della sofferenza l’uomo diventa divino, diventa cioè un benefattore d’umanità. L’essere di Dio è donare la salvezza all’uomo mediante la Kenosis, mediante lo struggimento di sé. Dio è amore. La dinamica dell’amore è offrire la propria persona all’altro, per dare a lui una vita nuova, fino alla beatitudine della salvezza.

L’amore è sempre generatore di vita nuova. E la vita, che sempre viene rinnovata nella bontà e nella grazia, è gioia. Giacomo aveva ben compreso questa verità, quando si faceva ripetere da Gesù: Senza la croce, non avresti compreso quanto sia dolce amare. Allora, la bellissima invenzione, che caratterizza tutta l’esistenza di Gaglione, diventa il manifesto di una vita propulsiva, al di sopra di tutte le conquiste mondane: cinquant’anni di croce per saper sorridere.

L’uomo non sorride all’uomo, non contempla con gioia lo svolgersi della via, se non fa donazione di se stesso. Gode colui che genera la vita. Ma l’unico principio generatore di vita è la croce di Cristo, cui bisogna partecipare per essere costruttori d’umanità. Gesù mediante la croce perdona anche chi lo ha fatto soffrire e morire.

Il criminale, che gli sta accanto, diventa il suo primo compagno del paradiso di letizia. Mediante la croce di Cristo la giustizia di Dio diventa infinita misericordia per l’uomo. E Giacomo Gaglione traduce nella sua vita la fecondità del Calvario. Si fa altare e vittima per rendere attuale tutto l’evento redentivo di Cristo nella storia dell’uomo.

Gesù Cristo è il tutto della vita di Giacomo Gaglione. Ma Cristo è il tutto anche della vita degli altri, che senza di lui non possono fare nulla. La differenza del rapporto sta nel godere della sua amicizia o soltanto della sua compagnia. Paolo lo incontra sulla via di Damasco e l’evento trasfigura la sua vita. Paolo diventa l’amico di Cristo. Tutto il suo ideale è identificarsi con lui. Ma anche senza la visione Paolo aveva il cristo compagno di viaggio. Così ogni uomo ha nel suo processo di vita questo accompagnamento divino come fecondità della sua speranza piena di immortalità.

La fedeltà di Dio nei confronti dell’uomo riceve la sua pienezza nella incarnazione. È il gesto inaudito mediante il quale il Padre assume l’uomo. Lo rende inscindibilmente sua appartenenza: Dio ricco di misericordia, per la grande carità con la quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere in Cristo. I semina Christi, i germi del Cristo, sono dispensati a tutti gli uomini, credano o no, seguano una religione o un‘altra. Questi germi sono presenti anche negli sviati e nei criminali sotto forma di anelito alla verità, alla bontà, alla felicità. Nel fondo dell’animo di ogni uomo c’è questa identità cristiana...                                                                 leggi tutto