e vi ringrazio di quante grazie mi avete fatte

8 - e vi ringrazio di quante grazie mi avete fatte;

Ringraziare è esprimere la propria gratitudine per un beneficio ricevuto. Il vocabolario al verbo esprimere aggiunge: con parole e con segni. Con Dio le parole e i segni non servono o per lo meno io non li uso. Un po' è pure per la mia pigrizia, ma soprattutto perché tu sai tutto e ogni mio sforzo di sintesi sarebbe inefficace a renderti com­piutamente quello che tengo in petto. Chino la testa e ti dico grazie di tutto, ma di tutto ciò che sono stato e che ho avuto in questi quattro quinti di secolo. Più di ogni cosa, ti sono grato perché mi hai dato la possibilità di conoscerti e di adorarti, di scoprire l'ineffabilità del mio rapporto personale con te, Dio uno e trino, di sentire la forza del tuo amore direttamente, nel colloquio costante con te Padre, nella comu­nione caritativa con Gesù Cristo, nell'abbondanza dei doni, i suoi sette doni, riversati su di me dallo Spirito Santo, di godere della vici­nanza dell'altro, il fratello del povero in via, di stupirmi della gran­diosità della creazione, la natura, nell'universo immenso e nel grido della gemma che scoppia sui limoni del cortile di casa mia. E posso dimenticare di esserti grato per il gusto che mi hai dato del colloquio che ho con me stesso, nei suoi alti e nei suoi bassi, ma nel vigore della franchezza e della libertà?

L'animo si prostra a benedirti, Dio, per la famiglia in cui mi hai fatto nascere: il papà e il suo quotidiano battere all'alba il bossolo del proiettile del cannone della sua prima guerra mondiale e gridare: «Ti ringrazio, Signore, per avermi fatto vedere quest'altra giornata», che alla domenica definiva bella e alle grosse feste bellissima; la mamma con la sua dolce severità e la sua raffinata dedizione. Ti esprimo gra­titudine per tutti i passaggi del mio esistere: la guerra d'Africa dell'a­dolescenza; il liceo fascista con i professori rigorosi, di cui serbo otti­ma memoria; la neve gelida dell'antico vulcano e la Madonna di sasso dipinto con i grandi occhi a guardare la mia infedeltà; i castagni a suonar melodie di vento sempre nuove e a pitturare la natura di luce filtrata da mille toni di verde; il mare livornese dell'Ardenza con i fer­vori della giovinezza fiera; le vele della «Vespucci» nelle nebbie della Manica; la passione per lo studio e la ricerca a scandire le giornate che vivo intense per la scuola e il giornalismo; la giovanile giovevole esperienza nel governo di città; i tempi felici con Anna Maria, moglie e madre di grande umanità; i figli Francesco e Marco assai cari e meritevoli; i cavalloni di smeraldo e di turchese di Serapo, incantevo­li, oltre la spiaggia d'oro, infinita di pensieri e di desideri; le afferma­zioni di buon livello politico; la solitudine tra i libri, rimedio antico e nuovo al dolore che m'invade; la vecchiaia colma di ricordi, ma pur di progetti e di speranze.

E quante vicende di storia, vissute e analizzate con equilibrio, sono le trame di un esistere così intenso? L'impero fascista e l'ingegno di Mussolini, la seconda grande guerra mondiale e la caduta dei regi­mi totalitari dell'Europa occidentale, l'avvento della democrazia, la conquista della luna, il crollo del comunismo, le grosse trasformazio­ni geopolitiche, la rivoluzione della tecnologia telematica, la rivalsa del capitalismo, le urgenze della globalizzazione, i mutamenti sor­prendenti delle economie cinese e indiana. Ho vissuto la vita, in cui ho contato sette papi, i miei papi, ed ho conosciuto cento vescovi, tra i quali mi è caro ricordare nella serie vescovile casertana Bartolomeo Mangino per il bene che mi voleva.

Ma nel cumulo delle cose successe c'è tanto male, mio Dio: anche di quello ti ringrazio, perché ha fatto crescere fino al sostenibile il contrasto interiore che bolla la condizione umana e ha dato alla metanoia gli spazi sempre più irti delle difficoltà del rinnovamento. E ti ringrazio di avermi aiutato a vincere in questa lotta continua e a farti vedere. Mi basta vederti, Dio, dovunque, ma soprattutto nella tua umanità fusa con la tua divinità, lì, nelle specie eucaristiche. Te l'ho detto: non so parlarti con frasi costruite, ma son contento di vederti e di star con te, zitto zitto, seduto nello scanno della penom­bra. Sono come Bartimeo, il figlio di Timeo, sulla strada di Gerico a mendicare, il povero in via, e tu mi chiami sempre, ad ogni caduta. Ed io, alla tua domanda: «Che vuoi che io faccia per te?», grido con fede: «Rabbunì, che io abbia la vista!». E tu pazientemente me la ridai, finora me l'hai sempre ridata. Di questa misericordia ti ringrazio con tutto il mio essere. Il male è il peccato, e tu mi salvi, ma il male è pure ogni privazione di bene, tutto ciò che porta dolore e sofferenza, tutto ciò che fa parte dell'esilio dell'uomo. E tu me n'hai date di prove di tal genere: tra le più grandi, le morti, quelle dei genitori, le quali è ine­luttabile che avvengano un giorno, ma soprattutto quella della moglie amata, ormai da dodici anni e passa tornata alla casa del Padre. La moglie è tutto, «carne della mia carne e osso delle mie ossa». È bella l'immagine che fa la moglie pane, il nutrimento quotidiano del vive­re, la sostanza che hai cambiato nel mistero dell'eucaristia, tenendo i suoi accidenti a significare nell'eternità che sei il pane della vita. Ebbene, Anna Maria è nei tuoi cieli, la sento vicina ogni istante nel­l'ineffabilità del dogma della comunione dei santi, ma materialmente non ce l'ho più.

È una perdita grave, che non auguro ad alcuno. Ma da te mi è venuta la forza di andare avanti: la fiducia in te mi ha aiutato molto. D'altra parte, il superamento di questo grave lutto mi ha fatto cre­scere la paura di perderti. Signore, mettimi la mano in testa. Mi turba il pensiero dell'inferno e mi fa terrore dentro l'eventualità di starci per l'eternità: la privazione di ogni bene, dell'amore, del tuo amore per sempre. La paura mi viene perché non corrispondo adeguata­mente alle tue grazie e tra queste la prima è senza dubbio il supera­mento della solitudine interiore creata dal dolore lungo e crescente della perdita di mia moglie. Potresti dirmi: mercedem tuam iam rece­pisti, e cacciarmi. Non lo fare, Signore, per pietà.

Anche questo timore dell'inferno è un dono: meditabis novissima tua et non peccabis in aeternum. Dal profondo delle mie viscere, dove sento l'abisso del mio nulla più lacerante, il ringraziamento a te è preghiera incessante e così la devi considerare: ogni atto del mio vive­re, anche il più banale, mio Dio, è preghiera di gratitudine e di invo­cazione. Gratias ago tibi propter magnam gloriam tuam: lo dico con le efficaci parole della liturgia della Chiesa, ago, agimus, per non essere solo, per sentirmi con gli altri, con tutti quelli della comunio­ne dei santi, i viventi, i beati e quelli che ancora attendono la tua misericordia, nel coro degli angeli, con il mio angelo custode che mi ama e che amo, per darti la gloria che vuoi dall'uomo, per questo fatto a tua immagine e somiglianza. Te Deum laudamus, te Dominum confidemur. In questo corale atto di gratitudine continuo e fervido coinvolgo la natura. Con me cantano la lode e la riconoscenza l'aria in cui sono immerso, limpida e dolce di tarda primavera, il vento che viene da nord ovest a muovere il verde alla collina, gli ulivi amati e i loro toni bruni e di argento camosciato, il mare oggi azzurro forte, increspato di brillori gioiosi, il cielo che smorza le sue luci all'oriz­zonte dove il blu marino si fa più intenso a marcare di più, man mano, sempre più lontano, la linea all'infinito della speranza dell'uo­mo, insomma tutta la natura che tu hai fatto e hai visto buona, levan­do a voce alta il cantico delle creature di frate Francesco che ho nel cuore e accompagnandomi in sottofondo, in questo grido di amore e di ringraziamento, la sinfonia sempre nuova, che compongono di istante in istante stupenda, l'aria, il vento, il cielo, il mare, tutto il creato a benedirti. Benedicite, omnia opera Domini, Domino: lauda­te et superexaltate eum in saecula.

Quanti debiti di gratitudine ho con te, Cristo Signore; com'è pic­colo il sentimento di riconoscenza verso di te, da cui ho ricevuto beni di infinita grandezza. Mi hai dato prima di tutto la grazia di parteci­pare alla vita di Dio, di avermi introdotto nell'intimità della dinami­ca trinitaria, di poter chiamare padre il creatore di tutte le cose in unione con te, Figlio unigenito, di ricevere la vita dello Spirito che m'infonde la carità e m'immette nella Chiesa. E sentirmi dentro que­sta, sotto il suo manto protettivo, non è grazia? E le grazie originale e attuale, abituale, santificante, dei sacramenti ricevuti, cinque, batte­simo, confermazione, eucaristia, penitenza e matrimonio? Spero, e te ne prego dalle profonde viscere, di poter avere anche l'unzione degli infermi con te e la Vergine Maria a me vicini. E la grazia dello stato? Mi fermerei a considerare ogni voce di questa parte della teologia, vedrei quanto è immensa la tua carità a confronto del mio nulla. Ti son grato della capacità di stupirmi che mi dai ogni giorno della mia vita e mi mantieni: tutto quello che mi gira dentro e intorno mi mera­viglia, ogni momento, sempre. Lo stupore è musica, è poesia, è la fonte della speranza, è la vita. Quale sarà la meraviglia che mi darai tu, Dio, se avrò la grazia, l'estrema, la più grande, la definitiva, di comparire davanti al tuo volto e di poterlo vedere ad occhi aperti? Ti ringrazio della capacità di amare che mi hai dato e continui a darmi. L'amore consumo con te, in te, per te. Grazie, Cristo mio Gesù, di farmi sentire così viva la tua signoria.