Per te sciamus da Patrem

Per te sciamus da Patrem

noscamus atque Filium,

teque utriusque Spiritum

credamus omni tempore.


La nobiltà del latino, scandito peraltro in metrica dall'ulteriore alleggerimento grammaticale che dà maggiore vigore e brillantezza alle sue forti potenzialità di sintesi, talvolta diventa essa stessa strumento di espressione efficace di contenuti sostanziosi e difficilmente accessibile. Per te sciamus Patrem.

Per te. Il discorso è rivolto allo Spirito Santo, che è sapienza e scienza di Dio, via essenziale di conoscenza e di amore nel rapporto teandrico. Per te, attraverso te, tu mezzo sicuro di vita, arriviamo a Dio. Da ut, con l'ut, che scompare in queste forme imperative, specie poetiche, fac sciam, dacci di sapere del Padre attraverso te, che ce lo metti dentro, nella mente, nel cuore, nelle viscere, in tutto l'essere e l'esistere; di comprendere il Padre. Sciamus, sappiamo: la scienza. Non come ieri al mare che era di una calma piatta, azzurro turchino, e l'orizzonte offuscato d'umidore, come il monte degli alcantarini, ma sempre bello, desiderabile d'infinito; oggi è smosso e si agita ancora di più davanti a me, dove scrivo, blu in cima, verdastro quando si rompe in cavalloni schiumosi, salmodianti con il ritmo dei monaci di Montecassino, e il tono non lo dà l'organo in sottofondo, ma i timpani della natura che non geme ma canta nell'accompagnarci dolcemente ai distacchi.

L'orizzonte è nitido e man mano che lo guardo si fa più lontano e lungo. Il mare, la sua immensità. Lo so bene che finisce, ma mi va di pensarlo infinito, perché mi va di farmene un modello per il mio discorso. Il mare che amo. La sua immensità. Lo Spirito Santo è il mare nella pienezza dei suoi doni, ma mai finisce. tutto riceve, tutto macina per rifarlo di nuovo e restituirlo alla vita dell'uomo. È di tutti, come il sole, come il vento. Non è soltanto di chi crede. Lo Spirito di Dio spira dove, quando e come vuole nella testa e nel cuore di tutti, di chi crede e di chi non crede. La sua libertà infinita è generata dall'amore che è nella sua natura divina.

Non ho alcun timore di dire che lo Spirito soffi anche in direzione laica, nel senso più generale e generico che vuol darsi al termine, perché l'uomo è la mira dello Spirito, l'uomo com'è, nella sua natura umana, nella sua terrestrità, senza alcuna distinzione. Non ha infuso l'alito all'uomo quand'era solo un po' di fango impastato, all'origine dei secoli? che lo Spirito soffi dovunque è un fatto certo, documentabile in ogni circostanza. Potrei citare innumerevoli casi di manifestazioni dello Spirito sull'uomo non credente: sono di ogni giorno e infiniti, perché l'ispirazione di Dio non manca in ogni positività di intenzione; ogni spinta al bene, ogni atto d'amore sono opera dello Spirito che ci gira attorno e tutto fa perché si compia in tutti la redenzione operata da Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, per volontà del Padre.

Il rapporto teandrico è personale, intimo, segreto e si instaura con l'apertura agli impulsi dello Spirito, che viene quando e come vuole, nelle piccole e nelle grandi cose, e con l'accettazione libera, pienamente avvertita e deliberatamente consentita, dell'invito dello Spirito. Per te. La formula latina con due sillabe fa intendere e spiega interi trattati di filosofia e di teologia. Il per è tutto, attraversativo, giustificativo, omnicomprensivo. Per te so di questo Padre buono, misericorde, benevolo, signore del cielo e della terra, divinamente innamorato di me, che si toglie la libertà per darla a me, che sopporta il mio tradimento e che per perdonarmelo si fa uomo come me e si fa mettere in croce.

M'insegnavano quand'ero ragazzo che l'atomo era indivisibile. Lo dice la parola greca: alfa privativo e temno, taglio, spezzo. poi non è stato più così, siamo arrivati prima alla individuazione del nucleo con i protoni, i neutroni, gli elettroni, gli ioni con le loro varietà e poi alla fissione dell'atomo con le conseguenze che ha portato, certamente non tutte positive, anzi alcune disastrose per l'umanità. Ora quelli del Cern cercano di scoprire un'ulteriore particella e fanno chiasso attorno al convegno di Ginevra. Pare addirittura che la nuova particella la chiamino «particella di Dio». Dio non ha particelle, perché è uno e trino, indiviso e indivisibile nella sua unità trina. Che si facciano ancora mille scissioni e si lavori fino all'impossibile sugli infinitesimi, ma l'infinito di dio è irraggiungibile e il mistero della creazione è il mistero della vita, il quale si risolve solo oltre la morte. Si possono fare mille scoperte ancora, ma ancora altre mille se ne dovranno fare, e poi altre mille, perché il dinamismo della creazione procede all'infinito nel suo mistero. Possono scoprirsi tutte le particelle, addirittura arrivo a dire tutte le origini, ma rimane sempre fisso che c'è n momento in cui Dio alita sulla creta. È il fatterello semplice semplice della Bibbia che mi seduce e spiega tutto a me che voglio ridurre tutto ai minimi termini. E vi si agganciano bene la caduta dell'uomo e l'incarnazione del Verbo a darmi tranquillità sulla mia condizione umana e ad aprirmi le speranze di vedere Dio nel volto.

Dal Padre, appunto, per te, Spirito Santo, conosciamo il Figlio. Noscamus atque Filium. Dacci di conoscere anche il Figlio. Stamani il mare è più calmo, il sole forte asciuga la sabbia bagnata dalla pioggia che c'è stata stanotte. All'orizzonte, nitido e come sempre infinito e lontano, si vede Ischia nella sua sagoma montana. Sì si va più su, al Lombone, dov'è «La macina», oltre l'istmo con i suoi due mari, si vedono di certo oggi anche le altre isole, e ovviamente Ponza. Così dacci di vedere Gesù Cristo, il Figlio, ma più da vicino, di toccarlo, di sentire arrivarci la sua energia, di udire dalla sua bocca che se n'è accorto. Il Padre è importante, il generatore, il creatore, ma è pur importante, divinamente, il riversarsi nell'uomo, il suo farsi Figlio dell'uomo: la prima persona del Dio uno e trino si fa seconda persona e questa assume con la propria natura divina la natura umana, la seconda persona della Trinità, l'unica con due nature. Nel Compendio si fa sintesi utile e chiara. La Chiesa esprime il mistero dell'incarnazione affermando che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, con due nature, la divina e l'umana, non confuse, ma unite nella persona del Verbo. Pertanto, nell'umanità di Gesù Cristo, tutto dev'essere attribuito alla sua persona divina che agisce attraverso la natura umana assunta.

Per te noscamus: conoscere il Figlio è amarlo, viverlo, condividerne l'umanità con il dolore che porta, ma pure con la serenità del giogo di cui ci carica, è sentire la predicazione del regno del Padre e assumerla in un'appartenenza totale, anima e corpo, la signoria, la vera signoria dell'amore. Sono l'ultimo, il più accasciato, dei tuoi servi, Signore, vecchio ma felice di stare al tuo servizio in un regno di amore, partecipe di fatto di una regalità che il nostro spazio e il nostro tempo trasforma in infinito e in eterno. Quell'atque latino, che tra l'altro serve a far la metrica del verso, non è l'anche del nostro linguaggio di uso comune, è insieme perché sono uno il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e tra loro non ci sono stacchi di qualsiasi valore e grado essi possano essere.

Sapere del Padre e conoscere il Figlio è amarli, in tutto insieme, fino in fondo al meglio possibile hic et nunc, perché scienza, conoscenza e amore sono la stessa cosa ed esigono dedizione totale, pieno senso di appartenenza, accettazione libera e gioiosa della signoria di Dio, soave di attese e di speranze. Quella del Figlio, che prende la mia natura, è l'orbita nella quale devo muovermi con più facilità, perché lì l'invisibile diventa visibile, il mistero si risolve nell'accettazione della volontà del Padre, come fa Maria nelle larghe ali trasparenti dell'arcangelo Gabriele, come fa Cristo sotto gli ulivi del Getsemani, i punti che più mi commuovono della vita umana del Figlio, e infine come fa il redentore quando sospira l'in manus tuas commendo spiritum meum della crocifissione. È l'orbita in cui il visibile si fa invisibile nell'abbandono fiducioso della fede, nella solitudine mistica dell'attesa del regno, nell'ineffabile silenzio dell'adorazione.

Teque, e te, Spirito di tutti e due, il Padre e il Figlio, utriusque Spiritum, l'amore che c'è tra i due, personificato a compiere la triade divina, crediamo sempre, omni tempore. Nella compattezza della strofe latina si chiude il rapporto dell'uomo con la Trinità: la scienza, l'approfondimento, l'amore. Io, avvitato in una spirale mistica, mi avvolgo d'amore, sapendo del Padre conoscendo il Figlio, avendo fiducia nello Spirito Santo. Utriusque: l'amore di tutti e due, che è lo stesso, che è di uno, perché è ad invicem e mentre è di uno è anche dell'altro nella pienezza dell'unica e indivisibile natura divina, tutti e due, cioè dell'unico Dio, si riversa sull'uomo, che è il fine di ogni mira del Padre. questo amore infinito che procede tra il Padre e il Figlio e si fa persona, entra nella vita di ogni uomo con il concepimento, che è un atto d'amore pure, sostenuto ovviamente anche dal corpo nell'indissociabile umanità della carne e dell'anima creata da Dio a sua immagine e somiglianza, ne è la spinta vitale per la salvezza e ne è pure il compimento. Già, perché la morte, che è condanna inesorabile della disubbidienza, è pur essa vinta dallo Spirito di Gesù Cristo che s'immola e ci riscatta con un atto d'amore di dimensione divina.

E dello spirito la morte è un richiamo in solitudine, come siamo nati, a perfezionare per l'eternità quel rapporto con Dio che è personale e per questo carico di responsabilità, ma pure di speranze; la morte così conclude il tempo delle attese, di ogni attesa, e ci apre l'infinito e l'eterno. Allora vediamo l'amore che è Dio, utriusque, che è l'essenza della vita di Dio, a chiudere la Trinità nel desiderio sofferto di rapportarsi all'uomo, creato per la sua stessa gloria. Lo Spirito è, dunque, anche la sofferenza di Dio che suda sangue nel Getsemani e si fa crocifiggere per ogni uomo che pecca.

Questa sofferenza è il primo a percepirla lo Spirito, che avverte il rigetto della sua illuminazione e l'abbandono alla colpa. Parliamo del prima e del poi in Dio, ovviamente, per usare le categorie inventate per il nostro esilio terreno. Anche in Dio uno e trino l'amore e il dolore vanno insieme e costituiscono la coppia delle forze che fanno girare il dinamismo trinitario. Allora, sei tu stesso, Spirito, che ci devi dare il vigore di credere: credamus affinché il dolore di Dio sia tutto assorbito nel sacrificio di Gesù Cristo, la seconda persona, quello del Calvario, ma più di quello che si perpetua ogni giorno nella celebrazione dell'eucaristia e che continua nella conservazione delle sacre specie con la presenza del Figlio di Dio e del Figlio dell'uomo ogni momento ad aspettarci, chiamarci, accoglierci in carne ed ossa, sangue, anima e divinità, pronto a farsi tramite te, Spirito, rasserenatore di chi geme. Il cuore di Dio è vicino all'uomo che soffre. tu che sei il consolatore, l'ad-vocatus, dacci di credere, che è il fondamento della salvezza. Ut credam, ut credam, e qui ce lo voglio mettere l'ut, a rafforzare il desiderio, a rinsanguare la preghiera, sì, a dare ad essa più sangue, il sangue del martirio. La carnalità della preghiera.

Affinché creda io ti prego, ma creda non solo con il cervello, ma anche con i nervi e con i muscolo, con la volontà, che si faccia una con quella del Padre, che mi porti alla salvezza del tuo amore eterno. Con sant'Alfonso Maria de' Liguori dico: solo ti chiedo e voglio il tuo santo amore, la perseveranza finale e l'adempimento perfetto della tua volontà. Che questo mio credere sia vivere: questo io voglio, che la conoscenza nella quotidianità della vita, nelle sue asperità, non si dissoci dall'amore in me, nel mio esistere, almeno per quel poco che ancora mi resta e tu mi concedi, che il rapporto scienza-fede non si disperda in diatribe terminologiche e d'impostazione, oltre che nel confronto dialettico di contenuti, ma si risolva nella pratica del vivere, momento dopo momento, nella rispondenza del credere e del volere, nella coerenza totale dei comportamenti, nell'armonia che dà l'equilibrio tra pensiero e prassi.

Tutto questo accada omni tempore, ogni stagione, ogni giorno, ogni ora, quando il mare è calmo, indaco intenso come oggi, a quattro giorni da ferragosto, e quando è furioso, come nei ricordi di gioventù, quando i cavalloni della Manica ai velaccini in cima agli alberi della «Vespucci» trasmettono oscillazioni paurose. In ogni tempo, Spirito Signore, che io creda in te e tutto quanto mi passi dentro trasformi in essere a benedire te, con il Padre e con il Figlio, nel tripudio di gioia incommensurabile che dà all'uomo l'accettazione di Dio e a Dio la gloria che gli tributa l'uomo e gli appartiene.