Palumbo_brigantaggio postunitario

Giuliano R. Palumbo

Il brigantaggio postunitario nella terra di Valle Agricola e l’attività della banda di Pietro Trifilio

(in Luigi Cimino,Valle Agricola – Paese mio, 1999, pp. 92-93)

La sera del 12 settembre alcuni briganti armati di fucile, penetrarono nella casa di Pietro Giardullo sita nel Comune di Raviscanina, minacciando di scassinare le porte “...Preso da timor il Giardullo fuggi da una finestra laterale e la moglie fu costretta ad aprire. Non appena i ribaldi entrarono, vi fecero una minuta perquisizione, e delusi nelle loro speranze di trovar danaro, strapparono delle orecchie della moglie e della figlia i pendenti d’oro che avevano e poscia andarono via...”

Pasquale Giardullo, stando a custodire le sue capre nella contrada Luverano in tenimento di Raviscanina, il giorno 15 settembre 1861 si presentò a lui il masnadiere Domenico Palumbo, armato di fucile, che gli chiese da mangiare, ed essendosi negato il Giardullo, a viva forza si prese lacena che poco prima gli aveva portato la moglie...”

Il pomeriggio del 17 settembre 1861, Gaetano Guidone da Castello del Matese, Giuseppe Fedele, Salvatore Verno e Giuseppe Pepe tutti da Piedimonte, se ne ritornavano da Valle Agricola, ove erano stati per loro affari quando, verso le ore 22, giunti al luogo chiamato Camporuccio, tenimento di quel Comune, venivano fermati da tre briganti armati di fucile, i quali rubavano al Fedele ducati 1,30, al Guidone ducati 3,63, al Verno grana 13 ed al Pepe grana 3. Quindi si allontanarono non prima di aver loro manifestato che appartenevano alla banda Trifilio.

“...Nel giorno 22 settembre, i famigerati briganti D. Palumbo, G. Leone e P. Esposito, armati di schioppo, aggredirono il pastore Marcellino D’alessio nell’atto che guidava il suo gregge nel tenimento di Ailano e lo depredarono di un agnello del valore di Ducati 1,30.

Dappoi i ribaldi andarono in una vicina casa di campagna di Francesco Canone per cuocere quella carne. La Guardia Nazionale informata di questo fatto, si portò sul luogo per sorprenderli, ma i briganti al vedere la forza pubblica, si misero in precipitosa fuga, lasciando nascosta sotto dei frantumi di paglia, la carne depredata che fu poi scoperta dalla stessa forza civica...”

Il pomeriggio del 26 settembre 1861, circa a ore 24, Tommaso Fetta di Valle di Prata veniva sorpreso nella sua masseria da “... tre briganti che conobbe essere uno di Raviscanina, a nome Giuseppe Leone, uno della Pietra, il terzo ignoto, vestito di bracciali di pelle e con le gote coverte. Armati tutti di fucile, chiesero da mangiare, al che il Fetta disse di avere solo un pezzo di pane e incamminandosi per eseguire quanto prometteva loro, diede una spinta al Leone mettendolo fuori la porta e chiuse l’uscio. Si affacciò quindi alla finestra e menò abbasso un pezzo di pane, facendo mostra di un fucile che egli aveva in casa per intimorirli. Ma non poteva il Fetta tirar loro alcun colpo perché fuori la masseria aveva un figlio di piccola età. I briganti dopo avergli fatto delle minacce, se ne andarono ...

Sulla strada pubblica che attraversa il termine di Raviscanina, il giorno 2 ottobre 1861 venne aggredito il frate Michele da Lucito del Convento dei minori Osservanti di prata Sannita, da due briganti della banda Trifilio che gli derubarono la somma di Ducati 20, raccolti nella questua giornaliera ed altri oggetti di lieve valore.

Più tardi, sulla stessa strada, gli stessi briganti aggredirono Domenico Cacciola, al quale tolsero un barile di vino di proprietà di Antonio Manera; “... a Maria Giuseppe Papa, che fu depredata dei pendenti d’oro che aveva agli orecchi del valore di Ducati 5 e di molti generi coloniali del valore di Ducati 2,40 che Paolino Manera rimetteva per mezzo di costei alla sua famiglia in Ailano ...”.

Un drappello della Guardia Nazionale di Valle di Prata, composto dai militi Giuseppe Pisaturo e Giovanni Iannotta, la mattina del 6 ottobre 1861 girava, giuste le diapositive dell’Autorità Militare, per la persecuzione dei briganti. La pattuglia, giunta sulle montagne di Raviscanina e precisamente al luogo detto “Purrarache”, scopriva negli arbusti tre persone armate di schioppi che, nel vedere forza civica in perlustrazione, si davano a precipitosa fuga, restando sul terreno, due alveari di pecchie, del valore di ducati sei, rubati la notte precedente nella casa di campagna di Angelo Rega di Valle. Oltre poi i militi della Guardia Nazionale rinvenivano uno schioppo, due logori ferraiuoli di panno monacale, una fascia di lana verde, un cappello alla contadina, un fazzoletto ed un coltello a piega con molla.

La mattina del 9 ottobre 1861 il brigante Salvatore Mancini recatosi nella masseria di proprietà di Donna Giulia Palermo di Pratella, impose “... ai garzoni di recarsi da lei e richiedere la somma di ducati 36 per conto della banda armata Trifilio, sotto la minaccia di recarle danno in caso di negativa. Ma nonostante che essa si fosse negata a ciò, il Mancini non attuò la sua minaccia ...”.

Con quest’ultimo episodio termina l’attività brigantesca della banda di Pietro Trifilio nella terra di Valle Agricola e nei Comuni limitrofi.