per compensarvi di tutte le ingiustizie

14 – Secondo, per compensarvi tutte le ingiustizie che avete ricevute da tutt’i vostri nemici in questo Sacramento.

Talmente è forte, Signore, il tuo dolore, e hai paura, e tremi, che sudi sangue lì, sotto gli ulivi dai tronchi dal tempo antico ritorti e scavati, nell'orto del Getsemani oltre il Cedron. L’ematidrosi è un fenomeno non così comune che dimostra quanto in te anima e corpo siano fusi e quanto tu avverta nelle viscere, profonda, la tristezza della condizione umana. Anche l’esilio dell’uomo vivi divinamente nella sua sfibrante realtà. L’esilio dell’uomo è in te l’esilio di Dio? Ci penso davanti al tabernacolo chiuso e mi trattengo in conversari semplici con te che sei dietro la porticina d’argento. Ma sotto i miei piedi si scava una cripta e ti vedo ginocchioni, livido, prostrato sulla roccia di marmo colorato, a Casale Corte Cerro o a Paestum. Signore, ti tocco, ma la pietra è gelida. Ha fremito d’impotenza il mio cuore distrutto da tanta infamia. Sei ancora in quel giardino degli ulivi, ai quali la notte toglie i palpiti di verde duro e d’argento delicato che il vento smuove nel sole del giorno.

Ti tocco, e ne sei contento. Ti levo almeno per un po’ dalla malinconia della solitudine, mentre ora cammino a riva con i piedi nell'acqua e la mente fissa alla preghiera al Padre. Mi ripeto, forse, ma è che le immagini stampatemi dentro del dolore del Figlio dell’uomo al Getsemani e al Golgota mi liberano dalla paura d’esser solo di fronte alla sofferenza e alla morte. Se Dio è vicino alla persona che soffre, io nella mia pochezza voglio essere vicino al Figlio di Dio che soffre, e tocco la roccia sotto gli ulivi stanchi e m’inginocchio sotto la croce, l’abbraccio stretto e ti tocco il piede per sentire il tuo sangue caldo. Grido pur io: perché mi hai abbandonato? E l’eco dell’urlo s’allunga e s’allarga fino all'orizzonte del mare che non è fisso, ma oggi è chiaro di luce sotto il cielo sereno, oltre i monti, sperando che arrivi al cuore del Padre.

Ho la forza di sant'Alfonso di pormi a compensare le ingiurie degli uomini d’oggi, che sono quelle degli uomini di sempre, incastrate nel tempo che si vive ed espresse nei modi e nei termini della propria quotidianità? Certamente no, ma le intenzioni sono le stesse, ovviamente dimensionate al mio essere e allo spazio e al tempo in cui mi muovo. È gravoso l’impegno di compensare il Signore delle nefandezze di quanti l’offendono, direi impossibile. Dare l’equivalente di cosa fatta o perduta, risarcire, indennizzare sono i termini che farebbero bene al caso, se le dimensioni in campo fossero parti. Qui sono diverse, ed enormemente, perché quelle dell’uomo non possono proprio competere con quelle di Dio.

Mi faccio coraggio e la preghiera la faccio così com'è scritta, tuffato nel mio essere niente, anzi di essere pur io tra i nemici di Dio per le mie tendenze, le mie debolezze, la mia vanagloria, le mie concupiscenze, le mie scritture compiacenti. Ma tu, Signore, l’accetti com'è la mia voce, sai qual è il mio atteggiamento vero di fronte a te, conosci quanto ami il Padre, il vecchio indulgente dalla folta e lunga barba bianca che m’incanta. Le mie stesse colpe volgo in preghiera, nei momenti, pochi in verità, in cui la tua grazia li redime e li riscatta. Sono pochi questi momenti, perché le cadute son continue, i morsi della carne non riesco a vincere, la fatica della lotta non sopporto e la superbia mi uccide. Accetta la preghiera di questo tuo nemico, che t’ama e che spera, infinita è la speranza, nella tua bontà.

Ma Alfonso de’ Liguori calca la mano usando l’attributo «tutto» due volte nella stessa intenzione a dare risposta alle urgenze del suo cuore devoto: tutte le ingiurie di tutti i nemici. L’ingiuria è un’azione che lede il diritto, è un’ingiustizia. Il valore che dà il santo al termine è quello giuridico: in materia se ne intende. L’ingiuria è un’offesa recata all'onore o al decoro di una persona con atti o con parole, o anche con altri mezzi come scritti o disegni inviati alla persona stessa. Qui non si tratta di diffamazione, per la quale non è richiesta la presenza della persona offesa. Tra gli ingiuriatori sono anch'io, Cristo Signore, con la mi presunzione di una vita eucaristica fondata sul convincimento, per grazia tua superato, di una dimensione personale della morale e dell’uso dei sacramenti, con la preoccupazione di un rispetto umano di senso capovolto, con l’ostinatezza di non staccarmi dalle brutte abitudini smosse sempre dagli urlati desideri della carne e del mondo, con cui mai ho condotto una lotta serrata e quindi mai ho vinti, però sempre ho avuto, in verità, la speranza viva, vivissima dell’efficacia della grazia sacramentale, il sacramento pur tradito nella sua sostanza effettiva e nel valore redentivo del tuo sacrificio che si rinnova giorno e notte nelle sacre specie. Voglio ora compensarti, chiederti perdono a capo chino e col cuore contrito e umiliato, pure io compensarti di tute le ingiurie che ricevi, quelle mie, enormi, e quelle degli altri. Con la mia miseria, con tutta la mia miseria, che diventi pur essa una preghiera.

Che l’impostazione ascetica di Alfonso de’ Liguori, esaltata dalle tendenze teologiche e morali del suo tempo, sia attuale pur oggi e si dimensioni alla realtà della condizione umana di ogni epoca è provato dalla mia invocazione e dalla sufficienza con cui ai giorni nostri si trattano i temi religiosi e particolarmente il mistero eucaristico. Ti saluto, dice il vescovo di Sant'Agata dei Goti, per compensarti di tutte le ingiurie di tutti i tuoi nemici: sente forte e vibrante il suo saluto, che rivolge fervido e appassionato nella ricchezza della sua spiritualità. Accetta, Dio eucaristico, il mio saluto povero e dissangue, ma pur esso sincero e caloroso. Ho dolore di ogni torto fattoti da me soprattutto, ma anche dagli altri.

Allargo così il senso del termine e penso all'indifferenza con cui si tratta la tua presenza sull'altare. Gli uomini d’oggi perdono ogni giorno che passa di più il senso vero della vita, abbacinati come sono dalle illusorie prospettive del benessere, anzi dal bengodi, inclini senza problemi di sorta ai richiami della carne, sempre più attizzata dalla cosiddetta emancipazione dalla morale tradizionale, dallo scomposto rapporto tra i sessi senza alcun limite reclamizzato in ogni sede, dalle tendenze sempre più radicali alla ricerca del piacere ad ogni costo e all'amore libero. E i fedeli? Devono farsi granelli di senape per avere più rilievo e venire da te, nella tua solitudine se vogliono raggiungere quel grado di rilevanza che possa veramente sortire esiti positivi anche sul piano dell’apostolato vero e proprio, non di un proselitismo di irrilevante consistenza spirituale. Bisogna stare attenti a non perdere in intensità ciò che si guadagna in estensione. Riaffiora il tema del rapporto confronto tra ascesi verticale e sviluppo orizzontale dell’empito caritativo.

I nemici di Cristo eucaristico sono gli indifferenti, quelli che passano e non s’importano del grande mistero del Dio che si fa uomo e rimane con noi ad aspettarci, chiamarci, accoglierci nel suo core divinissimamente misericorde, cioè infinitamente disposto ad abbracciarci e a perdonarci. Dell’indifferentismo e di tutte le conseguenze che porta, massime e ben rilevabili sul piano concreto dei comportamenti, sono cause primarie il decadimento della vita familiare, la rilassatezza dell’educazione scolastica, le tendenze alla burocratizzazione e al managerialismo nella conduzione della vita ecclesiale a livello diocesano e parrocchiale: la famiglia, la scuola e la chiesa sono tre istituti in continua decadenza, come si rileva senza alcuna difficoltà dai frutti che danno, certamente non del tutto soddisfacenti, sul piano della formazione giovanile.

Ce ne rendiamo conto, se ci fermiamo a considerare quale rapporto i giovani abbiano con l’eucaristia. L’esame della crisi che vivono oggi la famiglia, la scuola e la chiesa nel settore comporterebbe svolgimenti dettagliati e di consistente spessore. Comunque, l’assenza di ogni forma di catechesi eucaristica, per quanto riguarda la vita ecclesiale cattolica, e l’abbandono delle pratiche devozionali della tradizione stanno portando ad un disamore ingiurioso nei riguardi del divinissimo sacramento. Il ragazzo, in effetti, fatta la prima comunione, nella generalità dei casi diventata un’occasione festaiola sempre più di marca laica, abbandona l’eucaristia, com'è facile rilevare dall'assenza degli adolescenti e dei giovani alla frequenza dei sacramenti. Indubbiamente in questa direzione ha nuociuto il declassamento registratosi nel mondo ecclesiastico dell’organizzazione dell’azione cattolica giovanile, strumento e sostegno sostanzioso della gerarchia nel campo della formazione religiosa, della vita di preghiera, dell’impegno apostolico e della dedizione al papa e alla Chiesa fino al sacrificio dei laici cattolici, e oltretutto fucina di buona cultura anche sociale e politica e serbatoio, purtroppo esaurito, di energie sane per il governo corretto dei poteri pubblico, amministrativo, imprenditoriale, professionale, sindacale e culturale ad ogni livello. Il concilio e il postconcilio, con le confusioni che hanno determinato, non hanno certo aiutato a schiarire l’orizzonte.

E quanti si definiscono laici in completa autonomia rispetto ai chierici non sono nemici dell’eucaristia? Dice Benedetto XVI, e lo ripeto con rispetto: «La laicità invocata degenera in laicismo e sembra essere quasi l’emblema qualificante della postmodernità, in particolare della moderna democrazia». Il principio di laicità: una confusione di idee e di propositi. Ho scritto altra volta che laicità è un termine che ha bisogno di essere declinato, per non essere confinato solo nelle dispute ideologiche, secondo specifiche condizioni di uso con riferimento alla tradizione culturale e ai costumi di vita di ciascuna comunità. Quando don Salvatore D’Angelo, fondatore del «Villaggio dei Ragazzi» di Maddaloni, mi telefonava, amava dire: «Il laico don Salvatore saluta il clericale Gaetano». Scherzava, ma il fatto per nulla mi dispiaceva.

A parte ogni etichettatura, la libertà di giudizio che dà Dio non si rifà a ideologie o dottrine in qualche modo condizionanti. È la libertà dei figli, riscattataci da Cristo Signore per noi crocifisso e con noi presente ogni giorno nel santissimo sacramento dell’eucaristia. Mane nobiscum, Domine: gridarono i discepoli del Vangelo. Ti saluto e ti ringrazio, Cristo nelle sacre specie, farmaco d’immortalità; con noi sei rimasto a farci dono della libertà ogni attimo. Sei la fonte della libertà. Ci hai liberati, perché restassimo liberi. C’è libertà dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà nella sorgente dove tu t’immoli nel mistero dell’eucaristia in una totale comunione con lo Spirito Santo che il Padre ti dà senza misura.