Due iscrizioni in territorio di Morcone

Italo Iasiello - Heikki Solin

DUE ISCRIZIONI DAL TERRITORIO DI MORCONE

in «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 178 (2011) pp. 279–284

Per troppo tempo il territorio di Morcone e dei comuni limitrofi è rimasto ai margini della ricerca epigrafica e manca ad oggi uno studio complessivo volto a recuperare o riesaminare sistematicamente i documenti epigrafi ci del territorio. Nel corso dell’Ottocento le sporadiche segnalazioni di epigrafi confluite nel CIL non hanno dato luogo a controlli autoptici da parte del Mommsen o dei suoi collaboratori, probabilmente anche a causa delle difficili condizioni di accesso a questi territori. Tuttavia, l’indagine epigrafica nel territorio dell’alto Tammaro potrebbe permettere di definire alcuni aspetti della realtà sociale ed economica di questo territorio nel corso dell’età imperiale. In questa prospettiva si presentano qui due monumenti funerari, uno edito in maniera non corretta nel CIL, l’altro inedito.

1. Lastra reimpiegata alla base del campanile della chiesa di S. Marco Evangelista a Morcone. La prima segnalazione si deve a Giuseppe Capozzi, Lettera ai signori editori delle Memorie Istoriche del Sannio, del 1826. Il Capozzi (*1770, †1857), arciprete morconese, uomo di buona cultura teologica e storica, ma sostanzialmente legato nel bene e nel male all’erudizione napoletana settecentesca, cercando di avvalorare la corrispondenza dell’attuale Morcone con Murganzia ne portava a conferma la presenza di «una gran lapide fabbricata nel muro occidentale della mia Chiesa Curata di S. Marco Vangelista, che contiene insieme tre busti togati colla seguente iscrizione: Q. Fabius Fabricia Nice. Peregrinus / Tertius Maner. / Hic siti sunt. Si sa da L. Floro quanto sia stata celebre nel V. secolo di Roma la famiglia Fabia annoverata nella Tribù Fabricia; e poiché C. Fabricio fu protettore de’ Sanniti, grande riputazione dovette avere tra questi popoli. E perciò non è inverosimile, che P. Fabio di questa Tribù cogli altri morti in Morcone avessero in esso avuto il loro sepolcro».

La successiva edizione, quella del CIL IX 1472, non si basava su di un’autopsia, ma solo sulla sagacia interpretativa del Mommsen, che era in grado di presentare una corretta impaginazione del testo, con i nomi suddivisi in quattro colonne corrispondenti a ciascuna effigie, tranne l’ultima riga comune a tutte, ma non poteva correggere gli errori e le omissioni di lettura del Capozzi. Successive letture, con qualche variante, sono state effettuate negli anni ’30 dall’ispettore onorario Pasquale Lombardi e più di recente da p. Giuseppe Plensio. Il rilievo è stato di sfuggita menzionato anche da Frenz nella sua nota monografia sui rilievi funerari romani...

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