In ringraziamento di questo gran dono

13 – Primo, in ringraziamento di questo gran dono.

Il compimento di tutte le nostre opere è l’amore: lo dice sant'Agostino e sant'Alfonso ne è convinto, come dimostra l’impostazione della sua ascetica, ma di più lo comprova il fervore del suo equilibrio mistico, dinamico ma serenante. L’amore si profonde in continui rendimenti di grazie, sempre efficaci pur se a volta ripetitivi come in questa sostanziosa preghiera, in cui il ringraziamento per l’eucaristia, il grande dono di Dio all'uomo di tutti i tempi, la presenza di Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità in tutte le chiese cattoliche, si reitera con consapevolezza e con gusto interiore. Il riconoscimento del bene ricevuto sollecita il bisogno continuo di dimostrare gratitudine verso chi lo fa e la considerazione del valore inestimabile di esso fa urgente l’accettazione piena della persona del donante e del suo messaggio e comporta il dovere di dare a lui fedeltà ed amore, di avvertire la soavità del giogo della sua signoria e di sentirne l’appartenenza con gioia ineffabile.

Quando il dono è di se stesso, della persona intera, carne e spirito, non è il massimo che possa aversi? E quando la persona è Dio, il figlio di Dio, la seconda della Trinità, la quale col Padre fa processione d’amore e s’immola sulla croce per salvare l’uomo? E quando, prigioniero di carità, questo Dio si chiude, sotto le specie del pane, ad essere presente fino alla fine dei secoli alla quotidianità dell’esistere umano? Ha ragione Alfonso di ripetere, di cantare, di gridare il suo ringraziamento. Se ciascun cattolico, nella cella della propria intimità, va ad analizzare l’origine e l’attuale posizione del suo rapporto con Dio, a studiare per dir così la propria teandria, si rende conto di quale ruolo abbia sostenuto la sua relazione con il santissimo sacramento, a partire dalla fanciullezza per finire all'età matura: i primi rudimenti catechistici sulle braccia della mamma, il segno della croce, la preghiera della sera e del mattino, la severa preparazione alla prima comunione con il parroco occhialuto che grida e con la suora più dolce ma pignola, i genitori assidui, particolarmente il papà devoto, a farti vedere il tabernacolo con le sacre specie e a ripeterti fino all'inverosimile che lì, dietro la porticina, c’è Gesù Cristo vivo e vero in carne ed ossa, il tremito della prima confessione preparatoria, il vestito bianco, il nastro sul braccio con il monogramma ricamato dalle monache francescane nostre ospiti una volta al mese nel giro che facevano per la questua a favore a favore delle loro orfanelle, la trepidazione dell’incontro con il Figlio di Dio ai piedi della Vergine di Pompei, il giorno di santa Rita da Cascia, la santa di cui era devota la mamma.

E il resto? Tutto quanto succede in un’esistenza lunga quattro quinti di secolo. Cattiverie, cattiverie. Ma sempre la tua misericordia, la misericordia del tuo cuore, amantissimo di me. Il dono della tua vita per riscattare la mia vita, il dono di te giorno e notte per starmi vicino, senza stancarti mai di chiamarmi, di farti vedere, di perdonarmi. Sei lì raffigurato mentre la prima volta, tu personalmente consacri il pane, la cui sostanza trasformi in sostanza del tuo corpo e del tuo sangue. Il dono, è questo il grande dono: pane del cielo tu ti dai in pasto agli uomini della terra.

Attorno al fatto, centrale nella vita della Chiesa, si costruisce la messa, la celebrazione eucaristica che rinnova il sacrificio della croce, l’immolazione del Figlio di Dio per amore dell’uomo. L’atto dell’istituzione dell’eucaristia in quella sala ben preparata del discepolo Prisco è l’atto di donazione che Dio fa di sé all'umanità, incarnatosi per il nostro riscatto e ucciso in croce per nostro amore, si dona per farsi mangiare, si offre vittima per ciascun di noi, il suo sacrificio redentivo si fa essenzialmente personale, la sua carne e il suo sangue assimilati naturalmente diventano carne e sangue nostri, ma soprattutto per il valore incommensurabile che hanno diventano nutrimento fondamentale del nostro essere e del nostro esistere. Sacrificio di Cristo che si rinnova quindi per tutta l’umanità è la messa, strumento di edificazione spirituale e corporale è la comunione che assumiamo durante la celebrazione eucaristica.

Alla parte della consacrazione, che porta Cristo, Figlio di Dio e figlio dell’uomo vivo e vero, sull'altare per rinnovare il calvario, con il tempo si sono aggiunti altri elementi e si è strutturata via via la messa com'è oggi, comprensiva delle letture del messaggio biblico del vecchio e del nuovo testamento, per ricordare i passaggi salienti della storia antica ebraica e della vita di Gesù. La liturgia eucaristica o dominicale è il risultato di secoli di elaborazione e sulle sue componenti fisse e mobili, queste ultime variabili, esprime la ricchezza della cultura teologica della Chiesa. È pur essa un dono, questa liturgia, non solo per ciò che evoca, ma per la sinteticità e l’efficacia del periodare, per la qualità morfologica e stilistica della struttura, per la valenza contenutistica che ha, ma anche per la struttura formale, che per tanti versi può qualificarsi letteraria. Dà godimento seguirla passo passo nel senso delle parole usate, una gioia profonda dei nervi e del sangue, emozioni fervide e voglia di partecipazione.

E la comunione? In un punto, in un momento, lo spazio e il tempo ridotti verso il limite zero ma lì addensati a farsi infinito ed eterno, Dio e l’uomo si fondono, e intorno il coro di mille angeli con le ali lunghe lunghe d’oro e d’argento, e tutti i cari presenti, gli uomini delle storie vissute e scritte, morti e vivi, a cantare la gloria del Padre, che il sorriso nasconde dentro la barba bianca e una lacrima forse gli pende dagli occhi sul viso. Anche la comunione ha la sua storia. Sin dalle origini del monachesimo viene raccomandato l’uso quotidiano del grande dono dell’eucaristia. I monaci antichi erano profondamente e fermamente convinti che il loro particolare sacramento fosse la vita monastica, come dice Penco «stato reale e continuo di sacrificio e di olocausto che predispone l’anima alla santità». Però, non è eccezionale il caso di Apollonio di Ermopoli che ammoniva: «Occorre che i monaci, se possono, si comunichino tutti i giorni nei misteri di Cristo, perché chi se ne allontana si allontana da Dio. Chi invece lo fa di continuo riceve di continuo il Salvatore». E Cassiano, respingendo le raccomandazioni dei monaci, che si comunicavano una volta l’anno, com'è riportato nelle Consolationes, li esorta ad assumere quotidianamente le sacre specie. Non dobbiamo astenerci dalla comunione del corpo del Signore perché abbiamo coscienza d’esser peccatori, dobbiamo al contrario cercarla avidamente, per trovare in essa la salute dell’anima e la purezza dello spirito. Sì, con sentimento d’umiltà e di fede, pur giudicandoci indegni d’una grazia sì grande, dobbiamo andare alla comunione, per aver un rimedio alle nostre ferite. Se aspettassimo di esser degni non faremmo la comunione neppure una volta l’anno! Si son fatti un tal concetto della santità e della grandezza dei divini misteri, che secondo loro si può andarli a ricevere solo siamo santi e senza macchi, non già per santificarci e liberarci da ogni macchia.

La comunione è l’unico punto di raccordo effettivo, sostanziale, tra l’umano e il divino. È il centro della vita dell’uomo, ma pure il centro della vita di Dio: se la gloria di Dio è l’uomo vivente, Dio si fa uomo e nel Figlio che s’incarna e nell'uomo che con questa incarnazione si redime trova la sua gloria. Chi è Dio senza l’uomo? La domanda ovviamente ha ragioni retoriche, perché Dio oggettivamente è chi è, ma pure è indicativa del valore del rapporto personale che si tesse tra l’uomo e Dio. E l’eucaristia questo rapporto rende più accessibile, più umano, più diretto: nella solitudine della cappella dove si conservano le sacre specie, nella penombra mistica che crea la posizione spirituali di chi vi si acconcia per incontrare Dio fatto uomo vivo e reale, talvolta favorita dalla tenuità delle luci che vi arrivano da fuori e dalla fiammella ad olio che si consuma lenta come la mia preghiera, colloquio si risolve assai spesso con il silenzio da tutte e due le parti, ma lo Spirito opera dentro l’anima e il desiderio ti viene dentro urgente di ringraziare per il grande dono fattoci. Allora comprendi come il rapporto di Dio creatore e signore del cielo e della terra possa essere personale con te, Cristo mediatore, unico mediatore, e il meccanismo del rapporto lo senti dispiegato in te dallo Spirito Santo, la cui grazia opera la conversione, che è elemento primario della giustificazione.

Io sono il pane vivo disceso dal cielo: ha detto Gesù nel Vangelo. È Cristo stesso, sommo ed eterno sacerdote della nuova alleanza, che agendo attraverso il ministero dei sacerdoti, offre il sacrificio eucaristico che è il sacrificio del Golgota, così unico sacrificio con una sola ed identica vittima. È solo diverso il modo di offrirsi. Cristo si offrì una sola volta in modo cruento sull'altare della croce, ma si offre in modo incruento per il ministero dei sacerdoti. E con la presenza reale sotto le specie del pane continua il sacrificio eucaristico. E Gesù vivo e vero che si trattiene con me nella penombra mistica della cappella del sacramento, vittima d’amore, a donarmi il pegno della gloria futura presso di lui.