Io prego in nome vostro

29 - lo prego in Nome vostro, che per vostro amore gli accetti e gli esaudisca.

Non conosco il volto di Dio, e rimane quello della mia immaginazione devota quanto fervida. A testa china m’inginocchio di botto appena lo vedo ed egli protende le sue braccia verso di me e mi alza, la barba bianca fluente, dolce, stupenda, gli occhi pietosi a farmi coraggio, il sorriso appena accennato ma misericordiosamente benevolo. Voglio rimanere in ginocchio e col capo basso, m’inebria il profumo d’incenso che sale dintorno, quando comincio a pregare; il cielo terso di stamani, i colli ariosi di verde, la danza degli ombrelloni sulla sabbia ma soprattutto il mare con il brillio e l’arrotolarsi lieto delle onde suonano Bach in sottofondo e gli angeli a bocca chiusa fanno coro attorno al trono divino, uno scanno largo con lo schienale d’oro a cimasa triangolare. Sussurro la mia preghiera a nome tuo, Signore del tabernacolo, con lentezza ben pensando alle parole che dico.

Il Padre mi ascolta, il corpo a destra, il gomito appoggiato sul bracciolo di quella parte, il mento posato sulla mano diritta, la barba candida come fiocchi di neve, spiovente sul petto. Vorrei abbassarmi di più, baciargli i piedi, ma ho paura che mi cacci, ne ho ritegno. Qui la preghiera non è elevatio mentis in Deum, è stare vicino a Dio, sentirsi insieme con lui, goderne il profumo, toccare il lembo della veste che gli cade attorno a lambire la terra. Non è faccia a faccia, perché non alzo gli occhi, ne ho timore, non è certamente da solo a solo, in questa solitudine mistica, dove ancora dentro mi tiene la nostalgia dell’esilio dell’uomo. Tutto è per prepararmi a morire, senza più il dolore della condizione umana, un faccia a faccia questa volta sì col Padre che non è più il vecchio dell’immaginazione.

Ho detto che sussurro con lentezza la preghiera. Sì, la lentezza è la virtù che bisogna recuperare, se vogliamo vivere meglio. Contrariamente ai fautori del pensiero corto e debole, io sostengo e difendo i tempi lunghi e forti della riflessione e dico che, se vogliamo che la frenesia, che velocizza, anzi accelera, e i riferimenti sono alle grandezze della scienza fisica, il nostro agire, non annienti la nostra esistenza, dobbiamo tornare ad andar piano. Lo sforzo che l’uomo saggio deve fare nel nuovo secolo è quello di pensare a se stesso ma alle cose di se stesso che non si vedono; ne ha del resto, tutta la possibilità, perché può delegare alle macchine e alla tecnologia relativa la ricerca e la realizzazione di quanto si definisce oggi benessere, uno stato esterno all’uomo, effimero, inappagante.

L’immaginazione si spegne senza lentezza, la creatività si isterilisce nella corsa, l’amore si sgrana nello stress. E la vita dello spirito? Cosa si trova l’uomo alla fine dei suoi giorni? Da dove viene, dove va? Si perde la forza della trascendenza e tutti gli ideali si afflosciano fino ad annullarsi. L’effimero può diventare la sostanza dell’essere? Il rifugio nella virtualità è la prova più evidente dello smarrimento che vive l’uomo d’oggi travolto dal turbinio del cosiddetto progresso. E la preghiera, immerso com’egli è per la debolezza della sua natura nel dolore dell’esilio, non è più momento indispensabile della sua quotidianità, punto ineliminabile di raccordo con l’infinito e con l’eterno per cui è fatto, insostituibile suo rifugio di conforto e di consolazione, unico suo ancoraggio di certezze e di valori.

La preghiera è la domanda a Dio di beni convenienti. Da dove partiamo pregando? Ce lo chiede il Catechismo. Dall’altezza del nostro orgoglio e dalla nostra volontà o dal profondo di un cuore umile e contrito? È colui che si umilia ad essere esaltato. L’umiltà è la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera: l’uomo è un mendicante di Dio. La preghiera è un dono, un grande dono di Dio. Tu gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva. La nostra preghiera di domanda è, dunque, paradossalmente una risposta al lamento del Dio vivente: essi hanno abbandonato me, sorgente d’acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate.

Lo prego in nome vostro; prego il Padre con le parole di sant’Alfonso, le quali sono ben studiate e appropriate, perché, quando Gesù confida apertamente ai suoi discepoli il mistero della preghiera al Padre, svela ad essi quale dovrà essere la loro preghiera, e la nostra, allorquando egli, nella sua umanità glorificata, sarà tornato presso il Padre. La novità attualmente è di chiedere nel suo nome. La fede in lui introduce i discepoli nella conoscenza del Padre, perché Gesù è la via, la verità e la vita. La fede porta il suo frutto nell’amore: osservare la sua parola, i suoi comandamenti, dimorare con lui nel Padre, che in lui ci ama fino a prendere dimora in noi. In questa nuova alleanza, la certezza di essere esauditi nelle nostre suppliche è fondata sulla preghiera di Gesù.

Per la preghiera cristiana non c’è altra via che Cristo. La nostra preghiera, sia essa comunitaria o personale, vocale o interiore, giunge al Padre soltanto se preghiamo nel nome di Gesù. Quindi, la santa umanità di Gesù è la via mediante la quale lo Spirito ci insegna a pregare Dio nostro Padre. L’invocazione del santo nome di Gesù è la via più semplice della preghiera continua. Ripetuta spesso da un cuore umilmente attento, non si disperde in tante parole, ma custodisce la Parola e produce frutto con la perseveranza. Essa è possibile in ogni tempo, giacché non è un’occupazione accanto ad un’altra, ma l’unica occupazione, quella di amare Dio, che ama e trasfigura ogni azione in Cristo Gesù.

Trovandoci a citare le indicazioni catechistiche, una riflessione va fatta; anche la preghiera al Padre nostro insegnataci dal Figlio stesso è preghiera nostra, se si prega nel nome di Gesù, che nella sua preghiera sacerdotale chiede: Padre santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dati. L’invocazione in nome del Figlio non è sufficiente per sant’Alfonso, che insiste chiamando in causa l’amore. Dio è amore, lo dice Giovanni: l’essere stesso di Dio è amore. Mandando, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio unigenito e lo Spirito d'amore, lo ripetiamo, Dio rivela il suo segreto intimo: è egli stesso scambio d’amore: Padre, Figlio e Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi. Chiedendo «per vostro amore» a Cristo eucaristico è lo stesso che chiederlo al Padre.

Potremmo dire, se non ci sembrasse irriverente, che ci troviamo di fronte ad una forzatura tautologica. In nome di Cristo e per amore di Cristo il Padre accetti ed esaudisca, uniti, gli affetti miei e gli affetti di Cristo. Con te, in te e per te, Signore vivo e vero dell’eucaristia, il Padre accolga la mia preghiera supplice, che faccio con le parole di un santo al quale voglio bene. Il Padre, che è amore, nella pienezza della sua carità mi faccia entrare nel desiderio del suo Spirito: così sarò esaudito. Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri. Se noi chiediamo con un cuore diviso, adultero, Dio non ci può esaudire, perché egli vuole il nostro bene, la nostra vita. O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi? Il nostro Dio è geloso di noi, e questo è il segno della verità del suo amore. Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi.

Deus caritas est, e Benedetto XVI lo ha spiegato in una sua lettera enciclica che vorremmo tutti i cristiani leggessero alla stessa maniera dell’esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis. Si tratta di due documenti che si integrano e insieme rivelano il pensiero del papa su uno dei temi centrali della teologia cattolica. Il secondo particolarmente riguarda l’adorazione e la pietà eucaristica, segna un’esigenza di ripresa devozionale fondamentale nella vita di ogni cristiano e traccia un itinerario di riaggancio alle tradizioni fortemente radicate nel popolo di Dio sull’essenzialità dell’eucaristia nell’esistere di ogni fedele della Chiesa cattolica.

Ci sono segni forti della ripresa auspicata, che si avvia ad essere una realtà specialmente nel mondo dei giovani. Arrivano questi segni dalle giornate mondiali della gioventù, specie quelle di Colonia del 2005, dagli incontri internazionali dei gruppi di adorazione eucaristica, dalle giornate nazionali dei giovani, come quella di Palme del 2007, dei «Seminatori di speranza», nati a Parigi nel 1998, dal raduno di Loreto, dove il papa ha condannato l’amore usa e getta. Sono specialmente i giovani che ritrovano nell’eucaristia i valori di una fede vivente e ci danno grande fiducia per un ritorno d’interesse e di devozione attorno al dolce Cristo vivo e vero del tabernacolo. Quando si considera come e quanto la caduta degli ideali abbia travolto l’equilibrio formativo delle classi giovanili, disorientate dalle crisi profonde della famiglia, della scuola e delle stesse strutture ecclesiastiche, si ha di che temere. Rimangono, però, i pilastri inabbattibili, i capisaldi della pedagogia tradizionale, e primo tra lutti il bisogno di ritrovare certezze per liberarsi dalle contraddittorietà dell’esistenza umana, dalla provvisorietà del trantran quotidiano e dall’esilio dell’uomo segnato dalla ineluttabilità della condizione umana.

Fondamento della pedagogia e della vita del cristiano, punto di riferimento insostituibile per ogni sicurezza e per la pienezza della fiducia, è il Figlio di Dio vivo e vero, presente giorno e notte sui nostri altari. Di questo sostegno di sostanza hanno bisogno i giovani, che in Cristo Signore trovano il confidente benevolo, capace di ogni comprensione e latore della gioia vera, non effimera, quella che alimentano le cose che non si vedono, quelle che valgono veramente.

In un mondo dominato dal relativismo e dalle tendenze ad un pluralismo religioso, ad una torre di Babele in cui tutto s’ingarbuglia e le insidie dell’indifferentismo e della cattiva coscienza hanno facoltà di mimetizzarsi, l’eucaristia è l’unico polo d’attrazione dove si ritrovano verità certezza e fiducia. È il Figlio di Dio in corpo, sangue, anima e divinità che si offre all’uomo come via praticabile di salvezza e come risposta indefettibile in carne ed ossa al bisogno di spiritualità e alla richiesta di valori ideali che rimbalza dal mondo giovanile del nostro tempo. Il fascino del mistero richiama i giovani e il mistero di Dio che si fa pane vivo con la transustanziazione sollecita l’adorazione e la confidenza.

Tra gli affetti miei che unisco a quelli di Gesù nell’eucaristia c’è pure il desiderio che tu, Signore Dio; possa estendere il regno a tutti i giovani della terra e da questi a tutti gli uomini di ogni età. Che tutti sentano la signoria tua come il sommo bene è un voto sentito nelle viscere con tutti gli altri, con tutti quelli di questa preghiera, che offro al Padre misericorde in nome e per amore tuo affinché li accetti e li esaudisca.