Codici miniati Capranica

Marco Buonocore

Tra i codici miniati del Collegio Capranica

in "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo", 110, 2 (2008), pp. 167-187.

Nonostante importanti contributi sulla biblioteca del cardinale Domenico Capranica (1400-1458) apparsi nel corso del secolo appena passato nonché la possibilità che abbiamo di poterci confrontare con gli inventari di quel patrimonio librario, non è ancora agevole identificare con esattezza gli oltre quattrocento manoscritti legati dal cardinale, alla sua morte, al Collegio da lui fondato, che dal Cinquecento subirono una incontrollata dispersione. È vero che la gran parte di questo eccezionale lascito confluì nel 1842 nel fondo Rossiano (e poi dal 1921-1922 in Vaticano) e che dati interni ed esterni i di ogni singolo manoscritto possono facilmente ricondurre a quella originaria paternità, ma è anche accertato che non pochi di quei testimoni, prima dell’acquisizione rossiana, avevano già da tempo subito l’infausto destino, purtroppo analogo ad altre biblioteche private, di un’arbitraria distrazione. Qualche esempio: singolare è la circostanza che alcuni codici, appartenuti al Capranica, già all’inizio del Cinquecento erano ‘passati’ al cardinale Girolamo Grimaldi (de Grimaldis) titolare di S. Giorgio al Velabro (1528-1543) come si evince dalla nota di possesso presente sul primo foglio («Reverendissimi Domini Hieronymi Grimaldi Sanctae Romanae Ecclesiae Sancti Georgij Diaconi Cardinalis»), il quale poi li donò nuovamente al Collegio. Fulvio Orsini era venuto in possesso -ma non ne conosciamo le precise modalità- del ben noto Gellio, ora Vat. Lat. 3452; ma già prima e poi con Paolo V ed Alessandro VII autorevoli cimeli erano stati prelevati ed immessi nella Biblioteca Apostolica Vaticana nel “Fondo Antico” (1590-1610) tra i Vaticani Latini, come Vat. Lat 1321 e 1328 (già nn. 3019-3020) latori dei Concilia Calcedonense e Contantinopolitanum III, il Vat. Lat. 4039 con numerosi trattati ecclesiologici in prevalenza del periodo dei concili della Riforma, i Vat. Lat. 4187 e 5600 (quest’ultimo proveniente dall’Archivio di Castel S. Angelo) con le Collectanee del cardinale, il Vat. Lat. 4280 (già n. 414) esemplare del De statu et planctu ecclesiae con dedica al Capranica, il Vat. Lat. 6742 latore delle Constitutionel Aegidianae con correzioni ed aggiunte del cardinale, il Vat. Lat. 6772 con un Formularium Romanae Curiae. Tra il 19 ed il 29 settembre del 1798 entrarono in Vaticana almeno altri ventotto codici del Capranica, ora segnati Vat. Lat. 7289, 7293-7305, 7307-73020; in seguito fu acquisita anche la Collectio extravagantium decretalium ora Vat. Lat. 12572. Per altri possiamo a fatica recuperare il loro penoso iter. alla Classense di Ravenna troviamo, ad esempio, il Formularium officii Poenitentiariae; alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze migrarono gli Atti del Concilio di Basilea; alla Biblioteca Universitaria di Bologna si conserva il Tractatus sive Manipulus Episcopatus Firmi per Reverendissimum Dominum Dominicum Capranica, composto tra il 10 gennaio ed il 24 luglio del 1450; la Chigiana (dal 1923 parte integrante delle collezioni vaticane) aveva acquisito un Eusebio nella traduzione di Giorgio Trapezunzio (De praeparatione evangelica).

Ma non è mia intenzione intrattenermi in questa sede sulla dispersione e sull’identificazione di questo posseduto librario, anche perché la mia ricerca finalizzata a tale scrutinio è lungi dall’essere terminata. Nell’occasione gentilmente concessami dagli organizzatori di questo Incontro ed in sintonia con le sue finalità, vorrei brevemente soffermarmi sui codici miniati del Collegio Capranica ed, in particolare, sull’importanza che essi rivestono al fine di valutare con serenità di giudizio il rapporto intercorso fra testo ed immagine, secondo quelle coordinate ecdotiche, che solo recentemente e non senza difficoltà lo studio di questa particolare e direi privilegiata categoria di manufatti ha fatto proprie.

Dobbiamo tuttavia subito porci la domanda: è possibile determinare quali obiettivi si era prefissato questo illuminato cardinale, quando agli inizi del Quattrocento cominciò lentamente a dotare la sua biblioteca di manoscritti, su cui non di rado apponeva correzioni e suggestioni? Non solo li acquistava personalmente ma li faceva anche appositamente trascrivere a copisti, i cui nominativi, se eccettuiamo quell’anonimo, che ultimò nel 1438 a Ferrara un s. Bonaventura, risultano ben certificati da numerosa altra documentazione: Iohannes de Ghistella negli anni 1436 e 1438 elaborò un Lattanzio, un s. Girolamo ed un s. Leone Magno; Bernardus de Albricis fu autore di un s. Bernardo nel 1437; Ioannes Dorenborch (alias Muleden) de Gronlo redasse nel biennio 1440-1441 il Confessionale di s. Antonino, gli Acta Synodi octavae Constantinopolitanae quartae e nel 1453 gli Atti del Concilio di Basilea; Bartholomaeus de Magistris si assunse l’onore di scrivere nel 1455 il Mileloquium; Iohannes Gobellini de Lyns approntò nel 1457 il Commento di s. Tommaso d’Aquino all’Etica Aristotelica; Franciscus de Toledo impegnò l’intero anno 1457 nella stesura del De statu et planctu ecclesiae di Alvaro Pelayo (Pelagio), un’opera tanto cara al Capranica come risulta da un’altra copia del medesimo trattato, già ricordata, a lui espressamente dedicata. Non è da escludersi, tuttavia, che ulteriori manoscritti, presenti nella biblioteca del Capranica, vergati in quegli stessi anni dai medesimi (o altri) copisti, pur non riportando nella sottoscrizione l’esplicita indicazione «pro Reuerendissimo in Christo patre ac domino domino Dominico sanctae Romane ecclesie sancte Marie in Via lata diacono Cardinali Firmano», siano stati espressamente allestiti per il cardinale.

Le norme fondanti di questa biblioteca erano comuni a quelle di tante altre istituzioni proprie di quel periodo irripetibile nella storia del pensiero umano, che aveva visto nel contemporaneo Tommaso Perentucelli (1397-1455), poi Papa Niccolò V (1447-1455), un indiscutibile protagonista: ricordo a tale proposito, al fine di evidenziare la sodalitas intercorsa tra le due personalità (ed una singolare sors li volle entrambi distaccati dalla vita a 58 anni), che fu proprio il Capranica a farsi promotore del codice di dedica dell’opera offerta a Niccolò V De controversi trium animae poenitentiarum inter se de praesentia disputatntium. Dalla lettura degli inventari della biblioteca del Capranica, così come dalla Vita Cardinali Firmani redatta da Giovan Battista Poggio, figlio del grande umanista, ed indirizzata al cardinale Ammannati, e dall’Oratio funebris pronunciata nel 1460 da Niccolò Palmieri, lo scenario che si apre è veramente maestoso ed è indice di quale raffinatezza culturale il cardinale fosse provvisto, di certo non minore di altri bibliofili a lui contemporanei (la sua formazione si era giovata degli insegnamenti ricevuti presso le Università di Padova e di Bologna).

La maggior parte di questi manoscritti è collocabile in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del Quattrocento e gli argomenti escussi interessano principalmente quesi settori di studio più vicini al mondo ecclesiastico, come gli scritti dei Padri della Chiesa e dei teologi, i trattati di diritto canonico (ma non solo) e le questioni di storia allora maggiormente dibattute (ampia vetrina viene concessa agli Acta concilio rum) od anche discussioni sull’estensione del potere della Chiesa. Ma non mancano trattati scientifici, tra cui la Cosmografia di Claudio Tolomeo tradotta da Jacopo di Angeli di Scarperia, che tanta fortuna ebbe proprio nel… leggi tutto