Alife preromana - Una necropoli alle pendici del Matese
Presentazione di Gianluca Tagliamonte.
Il corposo e articolato lavoro di Antonella Natali rappresenta il fruttuoso esito di un lungo percorso di ricerca e studio che, nel corso degli anni, anche attraverso il conseguimento del diploma di specializzazione in Beni Archeologici e del dottorato di ricerca in Archeologia (Etruscologia), ha portato l’autrice a confrontarsi con la documentazione archeologica di età preromana pertinente al territorio della media valle del Volturno. Di tale percorso si colgono significativi riflessi in diversi contributi scientifici (Natali 2016; 2020; 2022a; 2022b) apparsi in sedi editoriali di tutto rilievo e principalmente rivolti al territorio alifano.
A tali ricerche si collega ora l’importante volume che qui si presenta. In esso è proposta l’edizione integrale di uno dei più vasti sepolcreti preromani della media valle del Volturno, quello rinvenuto ad Alife (CE), in località Cimitero, dall’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta, tra il 2005 e il 2006. Grazie alla liberalità di Enrico Angelo Stanco, all’epoca funzionario archeologo presso la suddetta Soprintendenza e direttore dello scavo, l’autrice ha avuto la possibilità di studiare tale necropoli, nella quale vennero messe in luce 163 sepolture a inumazione, databili tra l’ultimo quarto del VII e la fine del IV sec. a.C.
Strutture tombali e corredi della necropoli del Cimitero sono dunque l’oggetto precipuo del lavoro, condotto con passione, rigore e metodo dall’autrice, con un approccio il più possibile ispirato all’archeologia contestuale, avvalendosi anche delle analisi bioantropologiche e dello studio dei macroresti vegetali, utili alla definizione del campione demografico e alla ricostruzione del paesaggio antico.
La trattazione si fa apprezzare per la chiarezza espositiva, per la capacità di lettura e di analisi critica dei dati raccolti, per la competenza con la quale si maneggia la specifica materia. Le note rinviano a una bibliografia completa e aggiornata; i confronti addotti per i materiali appaiono in modo opportuno circoscritti alle aree (campana e medio-adriatica) culturalmente e geograficamente più vicine a quella alifana.
Di particolare rilievo è la convincente e argomentata proposta di classificazione tipologica delle strutture tombali e dei manufatti (capp. 3-4). Ciò a fronte anche della estrema variabilità formale che pare, in entrambi i casi, denotare siffatta documentazione. Per quanto riguarda la classificazione dei manufatti, essa si basa sui presupposti e sui criteri metodologici propri della scuola romana di protostoria (R. Peroni) e si concretizza in una tipologia con serie aperte, potenzialmente incrementabile, nella quale inserire ogni futuro tipo/occorrenza. Essa si confronta, da un lato, con il dato del ricorrente riscontro di forme non standardizzate, scarsamente ripetitive, e spesso di occorrenze isolate, nel record archeologico esaminato; dall’altro, con quello dell’esistenza di pregresse classificazioni elaborate per comparti geograficamente e culturalmente prossimi (ad esempio, quello caleno).
La classificazione tipologica che ne deriva viene dunque ad accorpare le occorrenze più frequenti, diretta espressione di quei modelli di autorappresentazione che connotano nel lungo periodo l’ideologia funeraria delle comunità alifane. Così facendo, essa mira alla definizione di un repertorio morfologico attraverso il quale si possa riconoscere una sequenza cronologica dei tipi in uso in epoca preromana nel comprensorio alifano e, più in generale, nella media valle del Volturno, contribuendo peraltro alla costruzione di un sistema unico di riferimento per il territorio in questione, di cui certamente potranno giovarsi i futuri studi.
Così pure questi ultimi potranno utilmente tenere conto delle equilibrate e condivisibili considerazioni fatte dall’autrice su alcuni (quelli di maggiore evidenza o documentabilità, stando almeno al record archeologico considerato e disponibile) degli elementi costitutivi dello studio delle necropoli antiche (“Archeologia della morte”) e che, nel caso specifico del Cimitero, riguardano il rituale funerario adottato, il dato antropologico e la composizione del campione demografico, l’organizzazione e l’uso dello spazio funerario, il rapporto topografico e funzionale intercorrente fra i sepolcreti e le realtà insediative circostanti.
Ne deriva un quadro d’insieme che evidenzia il carattere eterogeneo e “fluido” della fisionomia culturale del comprensorio alifano in età preromana: questo si rivela fortemente permeabile ad apporti e influenze provenienti dall’area campana, da un lato, da quella medio-adriatica, dall’altro, anche in considerazione della sua posizione geografica di cerniera fra il versane tirrenico e quello adriatico. È merito dell’autrice avere bene delineato un tale quadro e avere felicemente inserito il caso di studio della necropoli del Cimitero in una più complessiva visione storico-culturale, che abbraccia quanto meno la media valle del Volturno.
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