Parole incise e dipinte

Marco Buonocore

Parole incise e dipinte:la storia della Vaticana attraverso le epigrafi

in «La Vaticana nel Seicento (1590-1700) - Una biblioteca di biblioteche», Storia della Biblioteca Vaticana, vol. III, 2014, pp. 709-744


1. La memoria incisa: tradizione e tipologia

Sapeva bene anche Plinio il Vecchio quanto importante fosse per la conservazione del passato, a fronte della inesorabile robigo del tempo, la testimonianza scritta veicolata dalle iscrizioni: «la terra consegna anche monumenti e iscrizioni, prolunga il nostro nome, allunga il ricordo contro la brevità del tempo»[1]. Concetto che si recupera in numerose clausole di leges, dove chiaro è il riferimento alla convinzione di una comoda lettura delle norme incise: ita ut de plano recte legi possint (così che si possano correttamente leggere); quo loco commodissime legi possint (così che in quel luogo si possano con estrema comodità leggere); quo facilius totius actae rei ordo posterorum memoriae tradi possit (affinché l’andamento di tutto quello che è stato fatto possa essere più facilmente trasmesso al ricordo dei posteri)[2]. Giustiniano, ancora, nel 535 d.C., inviando un provvedimento sull’ordine giudiziario e sull’amministrazione della giustizia[3] all’allora prefetto del pretorio Giovanni di Cappadocia[4], affinché si attivasse per farlo circolare in tutte le province dell’impero, aggiungeva che avrebbe operato in modo migliore e anche più conveniente per tutti gli abitanti di quelle zone se, scolpendo quel provvedimento, l’avesse fatto ricopiare su tavole o pietre da affiggere sotto i portici della chiesa[5].

Il messaggio scritto, che proprio a Roma a partire da Augusto acquisì tutta la propria valenza mediatica gettando le basi di stilemi grafico-formali ampiamente seguiti, sortiva un impatto emotivo non trascurabile, anche nelle persone non perfettamente acculturate. La semplicità dei formulari, la ripetitività di determinati sintagmi, la sottesa evoluzione di specifici compendi, faticosamente in seguito compresi dall’uomo del Medioevo, erano facilmente intesi da quasi tutti quelli che avevano dimestichezza con la lingua ufficiale dello Stato. E anche se non tutti potevano disporre di quel bagaglio dottrinale per potersi muovere con agio tra le pieghe della Latinitas dei poeti o degli storici che andavano di moda, di contro, una percentuale di gran lunga maggiore poteva serenamente dialogare con la scrittura incisa che affollava luoghi pubblici e privati.

Autorevoli studiosi sono più volte intervenuti su come la memoria di qualcosa dovesse essere correttamente comunicata, scandagliando con cura e competenza l’oceanica documentazione in nostro possesso, cercando sempre di offrire una valida giustificazione a quelle determinate modalità di messaggio. Non occorrerà, pertanto, ribadire concetti ampiamente dibattuti, sulle mode e sulle tecniche della comunicazione e della autorappresentazione del mondo antico, ma non solo, sul significato storico-politico della figurazione e della scrittura, sugli stretti legami intercorsi, per esempio, tra la parola delle immagini e la forma della scrittura o tra cultura dell’oralità e cultura scritta: le linee per una ricerca sull’alfabetismo, sulla produzione e sulla circolazione della scrittura “esposta” nella storia della società sono state ormai definitivamente tracciate e metabolizzate[6]. D’altronde è ben noto, per esempio, l’ammonimento di Luciano nel suo breve trattato in cui criticava gli storici a lui contemporanei...


[1] Plin. nat. 2,154: (Terra) etiam monimenta ac titulos gerens nomenque prorogans nostrum et memoriam extendens contra brevitatem aevi (ed. Beaujeu, II, p. 67 [BL]).

[2] W. Eck, Öffentlichkeit, Monument und Inschrift, in Atti dell’XI Congresso internazionale di epigrafia greca e latina. Roma, 18-24 settembre 1997, I-II, Roma 1999, p. 55.

[3] Edictum scriptum in omni terra deo amabilibus archiepiscopis et sanctissimis patriarchis.

[4] PLRE, III, Ioannes 11.

[5] Novell. Iust. 3,14,14 ep. Edictum: Facietis autem melius et illic habitantibus universis hominibus utilius, si eam (scil. legem) sculpentes aut tabulis aut lapidibus in porticibus sanctissimae ecclesiae describatis (ed. Schöll – Kroll, p. 79, 13-16).

[6] Cfr. da ultima, con ricchissima bibliografia, M. Corbier, Donner à voir, donner à lire. Mémoire et communication dans la Rome ancienne, Paris 2006.