Piedimonte_24

Cap. XXIV

AGRICOLTURA E ZOOTECNIA

(pp. 232-242)

ESTENSIONE DEL TERRITORIO – Il territorio di Piedimonte è formato in massima parte di monti e di un breve pianoro. La sua superficie è di ettari 4110, e quella agraria e forestale di 4026, come risulta dal nuovo Catasto, dei quali: ettari 194 di terreno seminativo irriguo; ettari 395 di seminativo arborato; ettari 700 di pascolo; ettari 28 di orti irrigui; ettari 442 di oliveti; ettari 1950 di bosco ceduo, come più dettagliatamente in altro capitolo abbiamo scritto. Nell’antico catasto, invece, gli ettari sommavano a 1369.

Da calcoli eseguiti risulta che ora la superficie dei terreni coltivati va diminuendo del 50% mentre quella dei terreni a produzione spontanea va crescendo del 49%.

IRRIGAZIONE – Il sistema d’irrigazione in uso è esclusivamente quello per scorrimento. In generale l’uso dell’acqua è gratuito. Vi sono però dei casi in cui l’utente paga un canone annuo per l’acqua derivata da appositi canali, ovvero per usufruire degli scoli delle fontane pubbliche. Nel bilancio del Comune figurano attività dovute appunto a questi canoni. L’agricoltore paga la spesa per il passaggio dell’acqua nel fondo servente e per l’ordinaria manutenzione del canale.

In massima è da considerarsi che meno i fondi adiacenti al corso del Torano e quelli che hanno una diretta presa di acqua, tutti gli altri terreni sono gravati di un canone dal privato o dal Comune, come si è detto, per il passaggio dell’acqua e per la manutenzione del tratto esterno del canale.

ROTAZIONI AGRARIE – Il seminativo irriguo era nei tempo passati tutto a vicenda di grano e granturco, ma da un trentennio in qua, per l’esempio sopratutto dell’On. Angelo Scorciarini-Coppola e per la propaganda e l’istruzione agraria della Cattedra Ambulante e della Scuola Agraria, si fa larga parte ai medicai ed ai trifoglieti.

Le rotazioni sono in massima triennali con granturco associato a fagioli, frumento ed aveva. La rotazione più usata nei terreni scadenti è quella biennale con lupini o trifoglio incarnato o pascolo, e frumento od avena. In talune contrade si ha anche la rotazione quadriennale con lupini, patate, frumento e biada. In queste rotazioni s’intramezzano quasi sempre le foraggiere, le leguminose e i concimi minerali.

DIVISIONE DELLA PROPRIETÀ TERRIERA – In Piedimonte prevalgono le piccole proprietà, e la piccola coltura, ma la media proprietà e la media coltura sono relativamente abbastanza estese.

CONDUZIONE DEI FONDI – I sistemi predominanti nella conduzione dei fondi sono: a) affitto; b) conduzione diretta; c) colonia parziaria.

L’affitto è molto esteso, e interessa i migliori terreni.

La conduzione diretta riguarda essenzialmente i pascoli, i boschi, i seminativi arborati e gli oliveti. Nella zona collinosa è più di frequente usato tale sistema, giacché l’agricoltore-proprietario, coadiuvato dalla famiglia, coltiva direttamente la proprietà.

La colonia parziaria è più generalmente usata per quanto riguarda i prodotti del suolo, dei quali varia la ripartizione fra colono e padrone, a seconda della bontà dei terreni. Per quelli migliori spetta al proprietario metà del prodotto, pei mediocri 2/5 e pei scadenti 1/3.

COLTURA DELL’OLIVO – Piedimonte sarebbe uno dei centri importanti dell’olivicoltura provinciale per la sua vasta zona olivetata, se la coltura in generale fosse più diligente. Sulle pendici rocciose, dove il terreno magrissimo vorrebbe concime, il proprietario non vi dà quasi nulla, per cui gli oliveti presentano le tracce di vero decadimento. La potatura è anch’essa poco curata ed anche mal fatta.

La produzione dell’olio è scarsa da qualche tempo; potrebbe aumentarsi concimando bene i terreni, sostituendo le piante invecchiate, e curando la potatura di formazione e quella successiva.

In ordine infine ai prezzi dell’olio praticati nei tempi passati, risulta che nell’anno 1774 esso si vendeva ad 11 carlini lo staio (10 litri), pari a L. 3,90.

Nello stesso anno risulta che uno degli incettatori di olio fu D. Marcantonio d’Agnese per staia 2000.

COLTURA DEL GRANO – Riportandoci a quanto esposto nella parte riguardante le rotazioni agrarie, aggiungiamo che una delle cause riflettenti la poca produzione di grano è la rara esecuzione delle maggesi a sole. Il terreno, invaso da erbacce, dovrebbe essere sottoposto alla coltura delle leguminose. Gli agricoltori che se ne avvalgono, ottengono lusinghieri risultati.

COLTURA DEL GRANTURCO – Della deficiente produzione del granturco ne è causa la povertà del terreno e della concimazione perfosfatica e stallatica. Nel piano la produzione è pressoché insignificante pel pessimo sistema d’irrigazione, ed anche perché questa non viene praticata mai in tempo ed in determinate ore. Ciò succede perché mancano regolari canali, e l’irrigazione viene fatta, come si è detto, per scorrimento. Le acque si spandono a casaccio nel terreno, asportando gran parte di humus contenuta.

COLTURA DEI LEGUMI – Lo stesso va detto per la produzione dei legumi, e aggiungiamo che al terreno si fa mancare ogni concimazione fosfatica o fosfopotassica, assai indicata, dato che desso ha un’eccessiva quantità di materiale breccioso e sabbioso.

COLTURA DELLE ORTAGLIE – Le acque abbondanti che irrigano gli orti, quasi tutti prossimo all’abitato, fanno sì che il terreno offra una discreta produzione, non sufficiente però ai bisogni generali, tanto vero che qui vengono importate le ortaglie di Alife.

COLTURA DELLE VITI E CONFRONTI COL PASSATA – Poche sono le zone poste a vigneto. Le vigne di un tempo non sono state più ricostituite e molte sono andate distrutte per gli effetti della peronospera, dei venti e dell’umidità persistenti. La produzione del vino è perciò limitata. La coltura delle viti meriterebbe maggiore interessamento da parte dei proprietari dei fondi.

Un tempo, però, Piedimonte produceva vini speciali, assai rinomati, specie il famoso Pallagrello. La collina Monticello, in particolare, era ricca di questa vite, il cui vino fu decantato dal Trutta, dal Giustiniani e perfino dai poeti del « Caprario ». L’Eupidio di questa Accademia (1728 e 1732), cioè il letterato napoletano Niccolò Giovo, in un brindisi a Idasio (Francesco Carafa principe di Colubrano) così cantava:

........................

Ecco primier già spillo

Il dolce pallagrello,

Che da’ suoi tralci stilla il Monticello;

Ecco n’empio il bicchiero,

E mentre spuma e brilla

E tremula e zampilla

Questo di buon sapore

Spiritoso liquore,

A te, Idasio gentil, di questo monte

Pregio e gloria maggior, volgo la fronte...

A proposito di vino, ci piace qui riportare una statistica sul suo consumo.

Nel 1810 si consumarono 4050 barili, così divisi: 1416 nel rione Vallata, 2374 nel rione Piedimonte, e 260 nella borgata Sepicciano. Totale litri 137,700. Dato il numero degli abitanti in quell’epoca, abbiamo una media di litri 22,57 per ogni abitante. Un secolo dopo, nell’anno 1910, sopra una quasi identica popolazione, si consumarono litri 114,296 con una differenza in meno di litri 23,404. La media per ogni abitante è stata quindi di litri 18,71.

Il vino di Piedimonte venduto a 2 tornesi la caraffa nel Sec. XVIII, e a due grana prima del 1860, aveva acquistato tale rinomanza da venire smerciato anche in Napoli, tanto vero che proprio nel luglio dell’anno 1763 l’ufficio della Zecca di Napoli pretese riscuotere il tributo daziario sui barili provenienti da Piedimonte, ove erano stati precedentemente zeccati e quindi esenti dal tributo. Della faccenda s’interessò direttamente il Re, sopra ricorso del Pubblico Parlamento di Piedimonte; e su parere della Regia Camera, quel monarca dette ragione ai nostri esportatori. Ora, invece, il vino viene in gran parte importato.

COLTURA DELLA FRUTTA E CONFRONTI COL PASSATO – Le piante da frutta danno ben poca produzione causa, principalmente, il vento e il freddo. Potrebbero attecchire quelle piante collocate in siti riparati e situate a spalliera, ma questo sistema è poco praticato nelle nostre contrade. Ma la coltura delle frutta non ha efficaci sostenitori.

Non sappiamo però spiegarci questo fatto: mentre oggi la produzione delle frutta è scarsa e di pessima qualità, durante il Sec. XVIII era notevole e di qualità eccellente, tanto vero che la rinomanza di questo prodotto passò anche alla storia. Ne abbiamo una prova in un documento epigrafico, tuttora esistente, murato nella facciata di una casa colonica sulla Strada Provinciale n. 76 appartenente alla famiglia Pertusio, oggi Scorciarini-Coppola.

La famiglia Pertusio forniva la Corte di frutta e di altri prodotti coltivati nel fondo della cennata contrada, e perché venissero rispettati, la Gran Corte della Vicaria collocò l’epigrafe in parola.

In essa s’indicano le pene pei contravventori.

L’iscrizione è interessante, e crediamo sia unica del genere.

Leggiamola:

« Ferdinando IV per grazia di Dio Re delle Sicilie. Banno e Comandamento da parte della Gran Corte della Vicaria col quale si fa noto a tutte e qualsivogliano persone di qualunque grado e condizione si sia che da oggi avanti e dopo la pubblicazione del presente non ardiscano né presumano di passare né ripassare per dentro la masseria di moggia ventisette circa vitata fruttata ed olivata di D. Angelo Pertusio sita nelle pertinenze della Città di Piedimonte nel luogo detto Monticello tanto di notte quanto di giorno con lume e senza né a piedi né a cavallo né con carri carrette o some né in quella introdurvi veruna sorte di animali né cogliere frutti così acerbi che maturi né rompere frasche di alberi fruttiferi o infruttiferi né romper vadi o siepi né in quella farci veruna sorta di danno sotto pena di ducati cinquanta per ciascheduno contraveniente tante volte quanto contraveniranno al presente banno applicandi a beneficio del Regio Fisco. Dato in Napoli dal Palazzo della Gran Corte della Vicaria li 30 marzo 1775. Philippus Mazzocchi – Bonaventura Cenatiempo ».

GIORNATE DI LAVORO DEI CONTADINI – Le giornate lavorative dei contadini non sono continuative per l’intero anno. Dei 365 giorni bisogna dedurre:

1) Domeniche 52

2) Da 26 a 28 feste ecclesiastiche, con deduzione di quelle che coincidono con le domeniche 24

3) Giorni di pessimo tempo 20

in totale 96

Meno domeniche e feste che capitano in periodi di ressa alle irrorazioni, vendemmia, ecc. 6

ne restano 90

Per cui le giornate utili sono intorno a 275. Da queste però occorre toglierne da 10 a 15 per malattie ed altre cause impreviste, per cui ne restano effettivamente 250 a 260 al contadino volenteroso.

La donna, poi, deve dare almeno un giorno ogni settimana per il bucato, per fare il pane e per un pò di rassetto alla casa. Se terremo presenti i parti, la donna potrà dare al massimo dai 170 ai 180 giorni di lavoro.

ORARI GIORNALIERI DEI CONTADINI – D’inverno il lavoro s’inizia fra le 7 e le 7,30. Si ha una sosta di mezz’ora, verso le 9, per la colazione; poi il riposo dalle 12 alle 13-13,30. Il lavoro continua fino alle 16,30-17, con una durata massima di ore 8,30, minima di 6,30 a 7.

Di primavera la giornata di lavoro si allunga col crescere delle ore di sole. Intorno ad aprile il contadino è sul campo alle 6. Lavora fino alle 12, con mezz’ora di riposo verso le 8,30; fa una sosta di mezz’ora fino alle 13,30 oppure alle 13, e in tal caso una terza alle 16 per la merenda. Abbandona il lavoro fra le 18 e 18,30. La giornata dura da 9 a 10 ore.

Così pressapoco avviene in autunno.

D’estate la giornata si prolunga ancora, sino ad arrivare ad 11-12 ore. Il contadino si trova nel fondo quanto più presto gli è possibile per cessare dal lavoro verso le 11,30, prolungando talvolta fino alle 16 l’ora della siesta meridiana onde evitare i forti calori. Continua fino alle 19,30 od alle 20. Al mietere del grano col solleone, salvo il caso di cottimo, l’orario è dalle 5 alle 12 con mezz’ora o poco più di riposo, e dalle 15 alle 19,30 con un’altra breve sosta.

Non vi sono differenze rimarchevoli fra uomini, donne e ragazzi in ordine alle ore di lavoro.

SALARI DEI CONTADINI – Precedentemente al 1915, i contadini lavoravano per lire 1,25-1,50 al giorno, in media. Soltanto d’inverno il salario era portato tra lire 1,50-2,50, e, raramente, d’estate a lire 3,00. Le donne lavoravano con salario inferiore. Dal 1915 ad oggi i salari hanno subito un aumento cinque volte superiore, per cui la media varia tra le 10-12 lire al giorno.

Raro è l’uso del vitto; però alle messe si dà sempre un litro di vino agli uomini, e mezzo alle donne e ragazzi.

IL PANE DEL CONTADINO – È stato sempre misto di grano e granturco, o confezionato con solo granturco. Da pochi anni gran parte del ceto agricolo ha cominciato l’uso del pane di solo grano, e soltanto in caso di scarso raccolto, usa pane misto.

LE ABITAZIONI DEL CONTADINO – Le abitazioni delle campagne sono in genere discrete, e poiché vi è un ceto di medi agricoltori e di agricoltori proprietari, esso ha l’abitazione di più stanze – in media tre – in condizioni buone. L’igiene nelle abitazioni viene però poco osservata.

EFFETTI DEL LAVORO SULLA SALUTE DELLE CONTADINE – Le donne dei braccianti, dei piccoli fittuari e mezzadri, lavorano, si può dire, fino alla vigilia del parto, anche in opere faticose. Non è raro vederne anche presso le pubbliche fontane a lavare, ed in casa ad attendere al bucato e alla panificazione. I puerperii sono sempre ridotti a non oltre i 10-12 giorni, dopo di che la donna riprende il consueto lavoro, senza alcun riguardo a quei periodi in cui l’igiene consiglia il risparmio di forze ed il riposo. Quando allatta rimane in casa per quanto può; poi, costretta dalle esigenze del lavoro, si reca a compierlo come di solito.

Per le cause accennate le donne di campagna quando si sposano fiorenti di salute, verso i trent’anni già avvizzite, a quaranta con l’aspetto di vecchie, e a cinquanta decrepite.

Gli aborti sono frequenti; la mortalità degli infanti non bassa; le malattie dipendenti dal lavoro anticipato dopo il parto, specialmente prolassi uterini, non infrequenti, per cui la donna ha l’organismo in deperimento precoce. Malgrado ciò la natalità nelle campagne è più alta che in città.

LAVORO DEI FANCIULLI DEI CONTADINI – Prima della istituzione delle scuole rurali di Stato, i fanciulli dei contadini poco o niente frequentavano la scuola. Essi attendevano ai lavori del campo adatti però alla loro età. Erano adibiti alla sorveglianza dei maiali al pascolo, ed ai piccoli trasporti. Anche oggi, pur frequentando le scuole, eseguono tali lavori. Questi fanciulli, verso i 14 anni, già cominciano le operazioni di sarchiatura e di zappatura, e ai 17-18 sono adibiti agli altri lavori che compiono gli adulti.

In riguardo alle giovanette le cose procedono nella stessa proporzione. Esse però non vengono adibite a lavori pesanti.

COMIZIO E CONSORZIO AGRARIO – Il Comizio agrario sorse in Piedimonte, in seguito alla legge del 1866, per promuovere l’incremento e lo sviluppo dell’agricoltura nelle nostre contrade. Con l’istituzione però della Scuola Pratica di Agricoltura, nel 1889, esso non ebbe più ragione di essere.

Tra il 1900 e 1901 furono istituiti dalla Banca Matese, per iniziativa dell’allora Direttore On. Angelo Scorciarini-Coppola, il Consorzio Agrario e la Federazione di tutti gli altri Consorzi del Circondario, alla quale passò il patrimonio, la biblioteca, e gli atti del Comizio Agrario. La stessa Banca Matese – quantunque i Consorzi avessero propria amministrazione – forniva loro il credito agrario e i mezzi per acquisto di macchine, concimi, ecc.

La Federazione si è sciolta da alcuni anni, ed è rimasto in vita il solo Consorzio.

SCUOLA PRATICA DI AGRICOLTURA – Istituita con R. D. del 12 luglio 1888, n. 5644, dopo lunghissime e laboriose trattative (rimontanti all’anno 1881) da parte del Comizio Agrario e del Municipio di Piedimonte, iniziò la sua missione nell’anno 1889.

I locali ove fu istallata sono quelli dell’ex Convento dei Cappuccini o di S. Francesco, di proprietà comunale, nella contrada Petrara, all’uopo riattati mercé un mutuo di L. 80,000,00 contratto dal Comune con la Cassa DD. e PP. all’interesse del 2% ammortizzabile in trenta annualità. All’estinzione di questo mutuo hanno contribuito, oltre Piedimonte, tutti gli altri Comuni del Circondario. Il nostro Municipio concesse anche due fondi di sua proprietà attigui alla Scuola. Altri fondi, poi, vennero acquistati. Al suo mantenimento provvedono il Ministero e l’Amministrazione della Provincia. Nel 1919, in seguito all’interessamento dell’On. Morisani, il Ministero concesse un contributo straordinario di L. 100.000,00 per l’ampliamento del fabbricato, ora soltanto in via di esecuzione.

Oltre ad aule bellissime, dormitori, e appartamenti pel Direttore, Professori ed impiegati, la Scuola ha un interessante Gabinetto per esercitazioni scientifiche, ed uno scelto materiale didattico, oltre un piccolo osservatorio meteorologico, deposito di macchine, vaccheria, cantina, ecc.

Questa Scuola – raccogliendo principalmente ed a preferenza i figli di agricoltori e di proprietari di fondi della Provincia e fuori – impartisce loro l’istruzione teorico-pratica, in modo da formare dei tecnici capaci di poter dirigere un’azienda agraria.

Ne regge le sorti un Consiglio di Amministrazione composto dai rappresentanti il Governo, la Provincia e il Comune di Piedimonte.

Questa Scuola, d’interesse provinciale, non è stata frequentata dai figli dei nostri contadini, e grava sulle finanze comunali per l’uso gratuito di vasti locali, per la manutenzione di essi, e per l’uso pure gratuito di terreni di proprietà del Municipio.

Intanto agli effetti dell’Art. 61 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3214, la Scuola Agraria ha, col 1° ottobre 1924, cessato di funzionare quale istituto governativo, ed è divenuta ente consorziale autonomo, con personalità giuridica sotto la vigilanza del Ministero dell’Economia Nazionale.

L’articolo stesso dichiara obbligatorio e continuativo il consorzio fra Stato e Provincia, e restano consolidati, a beneficio di essa, i contributi dello Stato e degli Enti locali, per cui dal 1° ottobre 1924 la Scuola dispone delle seguenti entrate:

Contributo dello Stato (mantenimento) L. 27,000,00

“ “ “ (personale) “ 72,950,00

“ “ Provincia “ 18,000,00

Totale L. 117,950,00

Somma che è depurata dalla cifra di L. 5942, consolidata per il personale a 31 dicembre 1908.

Rimane a disposizione della Scuola quanto ad essa presentemente è destinato pel suo funzionamento: locali per la Scuola-Convitto, e relativa suppellettile scientifica, didattica e di arredamento; terreni e fabbricati dell’Azienda agraria, con relativo capitale circolante e scorte vive e morte. La Scuola è da molti anni diretta dal nostro comprovinciale Prof. Dott. Luigi Marsella.

CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA – Una grande utilità ha reso all’agricoltura locale la Cattedra Ambulante istituita circa venticinque anni or sono. Nei primi tempi era addirittura derisa dal ceto agricolo: questo non potevasi capacitare come sotto le spoglie di un cattedratico vi fosse un tecnico, e, quindi, un maestro di agraria. La sua mentalità fu tale da far ritenere insano qualsiasi tentativo per un perfezionamento tecnico di esso ed anche per il miglioramento dell’agricoltura. E siccome di generazione in generazione i nostri contadini sono stati adusati ad un continuo sfruttamento della terra, impoverendola, diffidavano dei propagandisti. Un pò di colpa fu anche di costoro, poiché più che fare conferenze tecniche, avrebbero dovuto compiere sopralluoghi, discussioni ed esperimenti.

Ci era, però, chi, sostenendo la buona causa, persisteva nell’attuarla, dimostrando con esempi come soltanto con i sistemi sperimentali si poteva sperare nella resurrezione dell’agricoltura. Quest’uomo è stato l’On. Angelo Scorciarini-Coppola. Coadiuvato, in un primo tempo, dal prof. Lotrionte, riuniva i contadini in conversazioni amichevoli; formava campi sperimentali e dimostrativi; operava concimazioni, innesti, potatura, ecc., fino a convincere con prove di fatto i più ostinati e recalcitranti agricoltori.

Un altro cattedratico, il Prof. Donato Bellini, ha continuata l’opera del Lotrionte con poche conferenze teoriche, ma più con conversazioni pratiche e con esperimenti, sicché oggi i nostri contadini non possono fare a meno delle macchine, dei concimi chimici, e dei nuovi e più razionali sistemi di lavorazione.

MISURE AGRARIE LOCALI – L’antico nostro palmo era eguale a 1/7000 del miglio. Questo corrispondeva alla lunghezza dell’arco di un minuto primo medio del meridiano terrestre, diviso in 5400 minuti primi, ed il passo, unità delle misure lineari, era eguale a palmi 71/2.

Verso il 1840 la lunghezza del palmo, comparata col metro campione, costituito dallo « Standard Scale di Simms », risultò eguale a metri 0,26455 e quindi il metro corrispose a palmi 3,78.

Il moggio è equivalente ad ettari 0,400446. L’ettare equivale, quindi, a misure locali 2,497. Il tomolo equivale ad are 32,25.

ZOOTECNIA – Secondo una relazione del Veterinario Martucci, conservata nell’Archivio comunale, risulta che la pianura alifana – ov’è compreso in parte il territorio di Piedimonte – è una zona che si presta alla coltura intensiva, e quindi idonea per l’industria del bestiame, essendo essa irrigua e perché ha rotazioni agrarie ordinarie, nonché colture ordinate in un avvicendamento nel quale le foraggere leguminose hanno notevole sviluppo, con quattro-cinque tagli di medica all’anno. Oltre alla pianura, l’altipiano del Matese presenta pascoli naturali ottimi dal maggio all’ottobre, per cui esso può considerarsi come mezzo sussidiario all’allevamento del bestiame durante la stagione estiva, in modo, così, da risparmiare i prati artificiali della pianura ed aversi materiale per la fienagione.

La specie del bestiame esistente in Piedimonte è rappresentata da: 1) bovini da lavoro; 2) bovini da latte; 3) suini; 4) ovini per la produzione del latte e della carne; 5) equini.

I bovini da lavoro e da carne sono di razza nostrana derivata dalla pugliese. È troppo modesta, dice la relazione, per avere la duplice attitudine di lavoro e di carne, e manca di precocità. Occorrerebbe migliorare la razza con quella romagnola, importando qui tori romagnoli, possibilmente razzatori, formando monte taurine, e attuando il metodo della selezione. In tal modo la nostra zona potrebbe diventare luogo di produzione.

I bovini da latte sono di razza bruna adatta alla produzione del latte. L’allevamento avrebbe, però, bisogno di sviluppo, poiché al presente la produzione del latte non è affatto sufficiente ai bisogni locali.

I suini sono in prevalenza di razza casertana. L’allevamento lascia molto a desiderare poiché gli animali vengono tenuti in stalle impossibili, fredde, sporche, prive di aria e di luce, per la falsa credenza che quanto più lurido è l’ambiente tanto più l’animale ingrassa, senza comprendere che così lo si dispone a contrarre malattie infettive. La causa per cui i nostri suini non raggiungono che eccezionalmente i 120 chilogrammi di peso, dipende dal fatto che l’allevatore tiene gli animali al pascolo fino ad un anno di età e pretende metterli a stabulazione permanente per l’ingrasso, quanto non hanno raggiunto il completo sviluppo scheletrico.

Gli ovini – pur essendo in gran numero – non rappresentano una buona qualità. Occorrerebbe l’incrocio con la razza bergamasca, indicatissima, inquantoché questa, per la buona attitudine alla produzione del latte, risponderebbe ai bisogni dell’industria del formaggio pecorino.

Il nostro cavallo, infine, è troppo leggero e quindi non adatto a lavori pesanti, avendo poco sviluppato e poco robusto il petto. La riproduzione del mulo è fatta in modo irrazionale, e scarsa è la riproduzione dell’asino, il quale non raggiunge mai l’altezza voluta. Essa ha il petto poco ampio, groppa corta, poco inclinata, nonché zoccoli piccoli. Un ottimo asino-stallone riuscirebbe di grande utilità per la riproduzione.

Le condizioni sanitarie, poi, sono discretamente soddisfacenti, perché – fatta astrazione delle malattie comuni, alcune delle quali trovano la loro causa nell’irrazionale allevamento del bestiame – non esistono quelle infettive (morva, afta epizootica, carbonchio sintomatico, tubercolosi ovina, morbo coitale, colera, peste aviaria, rogna, ecc.); oppure sono rappresentate da casi sporadici (carbonchio ematico, agalassia contagiosa, ecc.), o si presentano in forma benigna (vaiolo ovino, farcino criptococcico, ecc.).

Occorre pure che il ceto agricolo sia più educato all’ubbidienza delle leggi sanitarie. Esso, poco alieno all’osservanza dell’igiene della casa e della stalla, quasi sempre occulta al sanitario le malattie dei propri animali. Diffidente per natura, non transige sui metodi inveterati, tramandati di generazione in generazione, per cui necessita l’opera di persuasione e di propaganda continua, adottandosi, pei recalcitranti, anche dei mezzi coercitivi per raggiungere l’intento.

STAZIONE IPPICA – Allo scopo di apportare incremento alla produzione equina locale e dei paesi vicini, migliorandone la specie, l’Amministrazione comunale del tempo (anno 1906) ripristinò l’antica Stazione di monta. Il Ministero secondò l’iniziativa e la Stazione s’istituì alla dipendenza del Deposito di S. Maria C. V. che ha sempre fornito il riproduttore. Nel 1909 la Stazione passò nei locali di Deposito-macchine della Scuola Agraria, ma poiché recentemente i riproduttori sono stati portati a due, così il Comune è stato costretto utilizzare una parte dei locali del macello pubblico.

CENSIMENTO DEL BESTIAME – Dalle statistiche degli anni 1754, 1907 e 1923, risulta il seguente numero di animali in Piedimonte:

Vogliamo credere che il miglioramento della specie si sia effettivamente verificata, ma non possiamo nascondere che agli effetti della riproduzione degli equini il rendimento è stato assai scarso. Tenendo poi presente che precedentemente al 1923 i muli sono stati importati nel Comune da squadre di carbonai provenienti da altri paesi, abbiamo che il loro notevole numero, in confronto al censimento del 1907, non è in relazione all’attività della Stazione Ippica, perché, se così fosse stato, si sarebbe dovuto verificare un maggior rendimento nella riproduzione degli asini e dei cavalli.

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