Avvocata Santissima Madre Maria

10 - di avermi data per Avvocata la vostra Santissima Madre Maria,

II ringraziamento è sentito e in questa parte assume particolare significato per l'amore che ha Alfonso de' Liguori per la Vergine Maria, di cui è fortemente devoto. Egli sa bene cosa sia dare per avvo­cato a chi dev'essere assistito nel giudizio civile o penale per colpe commesse: è stato egli stesso di professione avvocato prima di rispon­dere alla chiamata al sacerdozio. Ma per estensione il termine ha anche il senso di difensore, di protettore, di intercessore; ha ragione, quindi, di dir grazie a Cristo che gli ha dato il dono di sentirsi difeso da Maria, che è santissima da sempre, e non poteva essere diversa­mente, essendo essa destinata a diventare la sua madre, cioè a por­tarlo nel ventre, a dar la vita umana al Figlio di Dio.

Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te, ti vuole bene... Concepirai un Figlio... che regnerà... e il suo regno non avrà fine... Nulla è impossibile a Dio. E Maria, prima turbata, sbigottita, non si rende conto, ma poi dice il suo «eccomi» e si dichiara la serva del Signore. Qui, in questo passaggio tutto il mistero dell'uomo si carica del mistero di Dio: c'è l'annuncio anche del regno, e la prima ad accettare la signoria del regno è Maria. Il de' Liguori la sente avvoca­ta e ha buone motivazioni questa sua scelta che gli viene dal cuore, mosso dalla continua contemplazione delle glorie della Madonna, che racconterà in uno dei suoi lavori di scrittura tanto significativi e di tanto valore teologico e morale che Pio IX il 23 maggio 1871 lo dichiara dottore della Chiesa.

Nel nostro Catechismo, tra i titoli più significativi che si danno alla beata Vergine, il primo è avvocata, come la invoca il vescovo di Sant'Agata dei Goti; poi vengono ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice. Vi si richiama la Lumen gentium: la maternità di Maria nell'eco­nomia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso prestato nella fede al tempo dell'annunciazione, e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli elet­ti. Difatti, assunta in cielo, non ha deposto questa missione di salvez­za, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenere i doni della salvezza eterna.

Certo, non condivido, se pur rispetto, la forza delle tradizioni popolari e alcuni momenti devozionali cui ho assistito di persona: per esempio, il percorso bocconi, leccando la terra con la lingua, dalla porta del santuario all'altare, a Pompei, o i giri ginocchioni, a ginoc­chi liberi o fasciati in pezzi di copertoni di ruote di macchine, per tutto il lungo piazzale o più volte attorno alla cappellina dell'albero delle apparizioni, a Fatima. Hanno la loro importanza i sensi nella vita dell'uomo e la mortificazione di essi è atto nobile e giovevole: ci sono, però, alle urgenze di partecipazione di tutti e cinque i sensi del­l'uomo alla voglia forte di testimoniare con compiutezza corporale la propria devozione alla Madonna, dei limiti di natura igienica e fisio­logica, i quali devono essere rispettati.

Per Maria, la mamma di Gesù Cristo, comunque, ogni sacrificio è gioioso, ogni voto è appagante, ogni espressione d'amore e di devo­zione è consolante. Anch'io a Loreto appoggio la testa alle pietre di quella casa, e così ci starei per tempo interminabile, e a Lourdes vado a toccare col capo la roccia sotto la Vergine, e m'incanto di beata soli­tudine. O Maria, sei la vita dell'uomo, perché in te si è incarnato il Figlio dell'uomo che è il Figlio di Dio, che ci ha redento e ci ha aper­to la via dell'amore divino, ci ha brillato dentro lo Spirito, ci ha rifat­to l'essere e l'esistere. Sei bella, Maria. Quanti cantori e poeti hanno fatto le tue lodi e quanti pittori hanno effigiato il tuo volto. Sei la virtù eccelsa, la personificazione della virtù, non soggetto di tutte le virtù, ma la virtù. Potrei vederti seduta nella capanna di Betlemme, come ti metteva mio padre nel suo grosso presepe di corteccia d'albero che occupava un vasto pianoterra della mia casa, con il Bambino in brac­cio a mostrarlo appena nato ai pastori, stupiti della strana stella lucente in cielo e del coro degli angeli. Ti potrei vedere nel cenacolo alla Pentecoste, con la fiammella dello Spirito in testa. Ma tu lo Spirito l'hai dentro, ab aeterno, predestinata ad essere la sua sposa. Così voglio vederti e così ti vedo per goderne tutto, avvolto pur io nelle lunghe ali di Gabriele, l'arcangelo, incantato a guardare la tua faccia mentre ti meravigli, dici le tue ragioni e poi pronunci il fiat dell'amore. M'immergo nella diafanità dei colori dell'Angelico e t'amo, cantando in gregoriano pur io il tuo Magnificat. Sei la madre, Maria.

E voglio vederti ancora sotto la croce, quando ti mettono in grembo Cristo morto, la pietà per antonomasia, il dolore pietrificato dei cento e cento dipinti degli artisti famosi, il Figlio disteso in posi­tura rigida, la sofferenza stampata in te, nell'immobilità del corpo minuto, nei gemiti inespressi del tuo volto, un istante di fissità umana immortale. Non Tiziano, son io il vecchio della Pietà, dall'artista pen­sata per la sua tomba ai Frari di Venezia, poi a Sant'Angelo e dal 1631 alle gallerie dell'Accademia: ha gran dolore Maria, ma con amore verso di me protende il Cristo morto, a darmelo tutto, a farmelo baciare, quasi a farmelo mangiare, eucaristia del sacrificio appena consumato. Non c'è tutto il resto della scenografia che non mi piace: ci sono Maria e Cristo, belli assai più della pittura, ed io lì, ai loro piedi, strascinato, implorante amore e misericordia, ma più amore che misericordia. Mi si spacca dentro il cuore malato, lacerato, ma il tuo martirio di madre di Dio mi da conforto, e m'illumina. Il mistero dell'uomo. Sei la mamma, tra le tre che ho quella dell'anima, della vita dell'anima, delle cose che non si vedono. Sei piccola, dolce, stu­penda, un batuffolo di grazia, tutta la grazia, concetta immacolata, illibata, madre divina e madre mia.

Alfonso de' Liguori t'ama con la sensibilità di uomo colto e nelle viscere per la profondità del pensatore raffinato; egli, avvocato, ti fa nostra avvocata, sapendo bene il ruolo che ti assumi a difendere i col­pevoli e quindi pure me. Ma io ti voglio e ti chiamo mamma, perché la mamma è tutto, è l'unica persona della terra che veramente ci vuol bene, disposta a tutto pur di salvarci da qualsiasi calamità, pure a morire. Tengo stampato in mente il fatto di quella madre colpita a morte dal figlio: a chi la uccide sorride, gli protende le braccia per stringerlo ancora una volta al seno, per raccomandargli di non farsi male con l'arma, per dirgli che gli vuole bene com'è, che gli perdona tutto e che l'ama alla follia, veramente fino alla morte. Maria, la mamma dell'accettazione, della gioia, dell'estasi, del dolore, della pietà, del martirio. Mater mea, fiducia mea, e la preghiera ripetitiva, quella che fa bene all'anima e al corpo, si allunga notte e giorno, con il piacere che dà d'essere vicino alla persona invocata che si ama, e diventa musica di vita, oltre che ancoraggio di salvezza.

Scrive il Capecelatro con immagini felici che la divina maternità, appunto perché dono quasi infinito, riesce centro sì della vita, sì molto più della smisurata perfezione di Maria. Da essa maternità, come da un centro luminosissimo, partono due raggi, di cui uno arri­va al primo istante della Concezione Immacolata di Maria e un altro giunge alla dolcissima sua Assunzione in cielo. Questi due raggi illu­minano non solo il Concepimento e l'Assunzione, che sono i due principali prodigi che coronano la Madre di Dio, ma abbelliscono tutta la vita di questa donna singolarissima, la quale o è concepita, o nasce, o parla, o ama, o concepisce, o stringe a sé il Figlio, o lo allat­ta, o lo bacia, o lo serve, insomma o vive o muore, tutto fa per effetto di quella beatissima luce che parte dalla sua divina maternità.

Nella mente così passano le raffigurazioni più belle della Madonna nell'arte e la contemplazione serenante viene cullata dalle musiche che hanno inciso profondo nelle viscere e dai fruscii della natura, pur essa madre, creata da Dio a cantare la sua gloria: al cuore arriva quanto i nervi e il sangue filtrano e l'emozione prorompe in sospiri. Sei bella, Maria, madre di Cristo e madre mia, amorosa nel tuo mistero sublime ad ascoltare la mia anima bisognevole. Nella Vergine di Nazaret scopriamo le meraviglie di Dio: è per essa che il Figlio s'impasta di carne ed entra nella mia storia per redimermi. Il ringraziamento di Alfonso Maria de' Liguori, assai sentito come fatto d'intelligenza ma pur di volontà e d'amore, è a Cristo, seconda perso­na divina che l'ha avuta per madre e per lui al Padre che l'ha prede­stinata ad una collaborazione unica, misteriosa, avvincente.

Ti ringrazio, Dio, per averci dato Maria, madre umana di Gesù Cristo, sposa mistica del tuo amore infinito, lo Spirito Santo. Se Dio entra così da vicino nella mia vita fino a farmi mangiare il suo corpo e a farmi bere il suo sangue e se io entro nel giro ineffabile del dina­mismo trinitario, lo devo a Maria, la prescelta tra tutte le donne, la più bella, la più grande, quella cui il Signore ha voluto bene dall'e­ternità e che ha saputo accettarlo con il suo «eccomi» umile e grazio­so, dichiarandosi subito sua ancella in un rapporto misterioso, fitto di tanti stupori. E il de' Liguori, tessendo le lodi della Vergine appunto nelle sue Operette spirituali, si pone sulla scia di san Bernardo, per il quale Dio non dispensa alcuna grazia se non per mano di Maria: Deus nihil voluit nos habere quod per manus Mariae non transiret.