Amen

30 - Amen

 Alla fine del testo originale, Amen non c'è, perché la preghiera e l’imtroduzione fissa alle trentuno visite al santissimo sacramento che si sviluppano per tutto un mese associate alle invocazioni per la comunione spirituale e alle orazioni in onore della Vergine Maria. L’Amen è alla fine di queste e lì lo ripeschiamo per dire che il termine in ebraico si ricongiunge alla stessa radice della parola «credere». Tale radice etimologica esprime la solidità l’affidabilità, la fedeltà. Si capisce allora perché l’Amen può esprimere tanto la fedeltà di Dio verso di noi quanto la nostra fiducia in lui. Lo si chiarisce bene alla fine della parte prima, La professione della fede del Catechismo che è un testo fondamentale, oltre che di dottrina cattolica, anche di cultura.

L’Amen finale del simbolo riprende e conferma le due parole con cui inizia: «io credo». Credere significa dire Amen alle parole, alle premesse, ai comandamenti di Dio, significa fidarsi totalmente di colui che è l’Amen d’infinito amore e di perfetta fedeltà. La vita cristiana di ogni giorno sarà allora l’Amen all'«Io credo» della professione di fede del nostro battesimo. Gesù Cristo stesso è l’Amen; egli è l’Amen definitivo dell’amore del Padre per noi; assume e porta alla sua pienezza il nostro Amen al Padre. Tutte le promesse di Dio in Lui sono divenute «sì». Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.

Con l’Amen noi sottoscriviamo il mistero. Scrive con l’efficacia della sua sintesi sant’Agostino: se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il vostro mistero, ricevete il vostro mistero, A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: il Corpo di Cristo e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen.

In genere, e in qualche parte lo sancisce lo stesso Catechismo la parola Amen significa «Così sia» e si pone alla fine della preghiera perché sottoscriviamo tutto ciò che in essa è contenuto. Ma il termine è pure un augurio fervido a che si arrivi a glorificare il Padre, quando torniamo con la morte sorella nella sua casa celeste, e di conseguenza a glorificare pure noi. Là, e ben lo dice sant’Agostino con la sua autorevolezza di teologo eccelso, sarà la vera gloria dove nessuno verrà lodato per sbaglio o per adulazione; il vero onore, che non sarà rifiutato ad alcuno che ne sia degno, non sarà riconosciuto ad alcuno che ne sia indegno; né d’altra parte questi potrebbe pretenderlo, perché vi sarà ammesso solo chi è degno. Vi sarà la vera pace dove nessuno subirà avversità da parte di se stesso o da parte di altri. Premio della virtù sarà colui che diede la virtù e che promise se stesso come ciò del quale nulla può esservi di migliore e di più grande. Sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Ancora questo indicano… le parole dell’Apostolo: Perché Dio sia tutto a tutti. Egli sarà l’obiettivo di tutti i nostri desideri, contemplato senza fine, amato senza fastidio, lodato senza stanchezza. Questo dono, questo affetto, questo atto sarà certamente comune a tutti, come la stessa vita eterna.

Là, in paradiso, si attuerà in noi la piena signoria del regno; là capiremo il senso vero delle parole di Cristo nostro Signore. Ancora una volta cito Ratzinger, che mi aiuta molto su questo cammino. Discutendo delle affermazioni di Gesù su se stesso, e particolarmente della dizione Il Figlio dell’uomo, si richiama specialmente a Marco, che nel suo Vangelo riporta l’espressione ben quattordici volte uscita direttamente dalla bocca del Signore. Giungiamo al terzo gruppo delle parole sul Figlio dell’uomo: ai preannunci della passione. Abbiamo già visto che le tre predizioni della passione contenute nel Vangelo di Marco, che strutturano sia il testo sia il cammino dello stesso Gesù, annunciano con chiarezza crescente il suo destino venturo e la necessità intrinseca di quest’ultimo. Trovano il loro centro interno e il loro punto culminante nella frase che segue il terzo annuncio della passione e il discorso, ad essa strettamente legato, sul comandare e sul servire: Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Con la citazione di una parola tratta dai carmi del servo di Dio sofferente entra qui nell’immagine del figlio dell’uomo un altro filone della tradizione veterotestamentaria. Gesù che, da una parte, si identifica con il futuro giudice universale, dall’altra, si identifica qui con il servo di Dio sofferente e morente che il profeta aveva previsto nei suoi carmi. Diviene così visibile l’unità di passione ed esaltazione, di bassezza ed elevatezza. Il servire è il vero modo di governare e ci lascia intravedere qualcosa del modo di Dio di essere Signore, della signoria di Dio. Nella passione e nella morte, la vita del Figlio dell’uomo diviene totalmente pro-esistenza; diventa egli il liberatore e il salvatore per i molti: non solo per i figli dispersi di Israele, bensì in generale per tutti i figli di Dio dispersi per l’umanità. Nella sua morte per molti Gesù supera i confini dello spazio e del tempo, si adempie l’universalità della sua missione.

Servire e dare la propria vita in riscatto per molti: è quel che dice Gesù delle ragioni della sua venuta sulla terra. È il senso del regno con la regalità piena che si manifesta sulla croce. La parola basileia del Nuovo Testamento può essere tradotta con regalità, nome astratto, regno, nome concreto, oppure signoria, nome d’azione. Il regno di Dio è prima di noi. Si è avvicinato nel Verbo incarnato, viene annunciato in tutto il Vangelo, è venuto nella morte e risurrezione di Cristo. Il regno di Dio viene fin dalla santa cena e nell’eucaristia esso è in mezzo a noi. Il regno verrà nella gloria allorché Cristo lo consegnerà al Padre suo. Come sostiene san Cipriano di Cartagine, è anche possibile che il regno di Dio significhi Cristo in persona, lui che invochiamo con i nostri desideri tutti i giorni, lui di cui bramiamo affrettare la venuta con la nostra attesa. Come egli è la nostra risurrezione, perché in lui risuscitiamo, così può essere il regno di Dio, perché in lui regneremo.

Per me, Signore Gesù, il regno è tutto quello che dicono gli altri, e quanti sono i padri della Chiesa e i teologi che si sono interessati e s’interessano al fascinoso tema, ma è soprattutto la signoria che vorrei avere di te su di me. Sei il mio Signore, il mio tutto. Sono qui, seduto sullo scanno della cappella del sacramento, e qui mi trattengo in silenzio, a vederti nel tuo mistero. In cuor mio recito la preghiera di sant’Alfonso e ne provo consolazione, perché la sento letta dal prete nei giorni della mia fanciullezza con l’accento della parlata locale, biascicata in fretta.

Ma la recita meglio danzando la neve che cade a fiocchi sul cratere del vulcano spento, dove Maria ha gli occhi di pietra dipinti. La canta il mare sommessa sommessa, con i suoi tempi sordi di stamani, la sabbia liscia di vento che ha già patito le impronte del colombo cercatore, il cielo grigio con le nuvole che si accavallano comprese del dolore dell’esilio dell’uomo. È la natura che con me la declama a benedire il creatore con le luci dei suoi colori stupendi e con le melodie dei suoi movimenti inarrestabili: i luoghi e i tempi dell’esistere concentrati nelle mie viscere, ora qua, in questa solitudine.Benedicite, omnia opera Domini, Domino; laudate et superexaltate eum in saecula.

Con me la dicono tutti gli uomini e le donne che hanno attraversato e attraversano la mia vita, e quante vicende potrei raccontare del nostro stare insieme. Le vorrei rivivere? Benedicite, filii hominum, Domino; benedicite, lsrael, Domino. In un abbraccio corale, cosmico, com’è proprio della preghiera, la sento cantata da tutti gli esseri viventi della terra, soprattutto ad invocare la pace nel mondo, quella interiore di ciascuno e quella tra i popoli. Finiscano le guerre. Bush ha detto stamani nella sua visita a sorpresa in Iraq che si possono ridurre le truppe. Evviva! E non è George Herbert Walker Bush a scrivere nel suo libro Dead Certain che è solo e piange molto sulla spalla di Dio?

Della campana su agli alcantarini mi porta qui i rintocchi il venticello settembrino già assai fresco e riprende l’eco più lontana di quella del monastero di Montecassino: i monaci e i frati, uno ad uno, infilano la sequela dei loro scanni nel coro. E si rinnova ancora il tuo sacrificio. Hoc est enim Corpus meum. Hoc est enim calix Sanguinis mei.Sto zitto. Attento. A vederti.

Inclina, Domine, aurem tuam, exaudi me; quia miser et pauper sum ego.