Marrocco_agricoltura

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Raffaello Marrocco

I L M A T E S E

Napoli

Editrice Rispoli Anonima

1940

Cap. V (pp. 107-128)

L’Agricoltura, l’Industria e il Commercio

Il massiccio del Matese rappresenta uno dei migliori esempi della montagna del Mezzogiorno, ove coesistono armonicamente le tre forme di coltura montana: forestale, pastorizia ed agraria, senza che si verifichi quel dannoso sopravvento dell’una sull’altra o un pregiudizio all’economia generale della regione, né il turbamento di quell’equilibrio statico della montagna, che ha poi tanta dannosa conseguenza nei riguardi del piano. Questo massiccio è ricoperto in massima parte da folti boschi di faggio saggiamente sfruttati e protetti, appartenenti quasi tutti ai Comuni cui pervennero in seguito alle leggi eversive. Però fino ad una quindicina di anni fa la loro estensione, in rapporto all’intero gruppo, era alquanto limitata pel continuo abuso di tagli. Mercè ora l’oculata vigilanza della Milizia Forestale cominciano ad ampliarsi. Anzi la Milizia lavora anche per il rimboschimento delle zone rocciose ed ha iniziato e sviluppato su vasta scala la trasformazione di quei boschi da cedui da carbone in alti fusti, che soli possono fornire assortimenti legnosi di valore. Fra un ventennio, quindi, se non prima, il Matese vanterà i più bei boschi d’Italia. Del resto in fatto di bellezza silvana anche adesso si hanno interessanti zone boschive, come quella di Campochiaro di vastissima estensione.

Tali zone sono ricche di selvaggina: vi primeggiano itassi, i galli cedroni, i picchi, le donnole, le martore, le lepri, le volpi, i capri, i cinghiali, i lupi, ecc., come lungo i corsi d’acqua e presso i laghi, sono numerose le lontre, gli aironi, le folaghe, le anitre selvatiche, i beccaccini e le beccacce, mentre sulle rocce vivono le aquile, i falchi reali, le pernici, le starne, gli avvoltoi, ecc. dando opportunità ai seguaci di S. Uberto di effettuare interessanti partite di caccia.

Oltre i boschi prevalgono sul Matese anche i pascoli. Tale prevalenza non è di oggi, ma rimonta ad epoche assai remote, quando cioè l’altipiano in specie ebbe un’indiscussa importanza, per quanto non ancora esattamente valutata, nell’economia e demografia delle genti italiche, come produttore e rigeneratore dell’industria armentizia. La conca del lago naturale particolarmente è stata sempre meta della periodica emigrazione estiva degli armenti delle popolazioni montane e pedemontane di tutto l’importante gruppo orografico. Ne fan fede le tracce di una strada assai rozzamente basolata, svolgentesi sullo stesso altipiano in direzione da nord-ovest a sud-est, lungo cioè le pendici della quota 1239, che risponde al nome locale di “Passo delle giumente”, lunga vari chilometri, con sbocco verso Guardaregia e di là a Boiano e a Sepino.

Amedeo Maiuri che esaminò questa strada, ne afferma il carattere antico, e dice che è forse uno dei primi esempi di strade di alta montagna nell’Italia meridionale, e che la sola ragione che se ne può dare è di vedere in essa un antico tratturo, creato per facilitare appunto la trasmigrazione periodica degli armenti tra l’altipiano e le valli del Tammaro e del Biferno.

Essa infatti venne costruita dopo la conquista della Daunia e del Sannio, quando cioè i Romani organizzarono, a beneficio dell’erario, il sistema della pastorizia transumante nell’attuale Tavoliere delle Puglie, sistema perdurato fino agli Angioini e richiamato in vigore da Alfonso I d’Aragona con la denominazione di “Dogana della mena delle pecore in Puglia”. Quel sistema portò la conseguenza che i popoli Bruzi, dopo la conquista romana, furono spogliati di metà del loro ager publicus che fin d’allora dicevasi Sila, dando così origine a quel famoso demanio di centomila ettari, di cui un avanzo di tremilacinquecento forma colà tutto quel complesso di boschi governativi inalienabili.

La strada serva ancora oggi per le mandrie transumanti dal Matese alle Puglie e viceversa, e per la sua grandezza e lunghezza, e pel carattere costruttivo, rappresenta un’opera imponente anche dal punto di vista archeologico.

La Milizia Forestale ha già in studio dei provvedimenti per migliorare ed elevare la produzione dei pascoli, come alcuni privati proprietari di terreni hanno già apportato sull’altipiano razionali miglioramenti per la creazione di prati falciabili, stalle a tipo alpino e fabbricati per la confezione di latticini. Nell’Azienda pastorale Scorciarini, in località Piano Maiuri, si sono avuti in pochi anni degli aumenti sorprendenti di produzione, tali insomma da lasciar sperare che, estendendosi questi miglioramenti agli altri pascoli, il Matese non avrà nulla da invidiare alle rinomate malghe alpine. Infatti la Società Cirio ha creato anch’essa magnifici pascoli sullo stesso altipiano e costruito non pochi fabbricati con stalle razionali per il ricovero anche in pieno inverno, di animali vaccini di razza speciale.

Ma la Milizia non attende soltanto ai boschi ed ai pascoli, essa sta provvedendo anche alla sistemazione idraulico-forestale del massiccio sia con l’estinguere alcuni focolari di disordine idrogeologico, fortunatamente pochi, sia con regolarizzare il corso di alcuni torrenti, per cui fra pochi anni i centri di disordine idraulico del bacino montano saranno convenientemente assestati.

Proprio su queste zone di montagna vive spontanea e lussureggiante una flora interessane, cioè numerosissime piante di cui sarebbe troppo lungo l’elenco. Ne indichiamo alcune: l’alabrano, l’androsage, la carlina, il doronico, il drauco cretico, il timo, le poligonacee, la pelosella, il lino del fiore giallo, il ribes, il dente di leone (la famosa cicoria del Matese), ecc., nonché quelle medicinali come la camomilla, la nepitella, la valeriana, la genziana, la genzianella, il lichene, il trifoglio fibrino (di sapore amarissimo e tonico migliore della quassia), l’arnica, l’elefantide di Campochiaro

(il cui infuso serve come calmante nell’epilessia) ecc., e le floreali come gli anemoni azzurri, il cerastio, il crisantemo dorato, il miosotide, il ciclamino, il bucaneve, i glodioli selvatichi, gli astri, la balsamina, la viola alpina, la viola azzurra, la viola dalla corolla gialla odorosa, che si accosta alla viola calcarata di Linneo e che fiorisce in pieno gennaio; piante e fiori studiati dagli insigni botanici Colonna, Tournefort, Cirillo, Macry, Guarnieri, Tenore, Gasperini, Terracciano ed altri.

In quanto alle coltivazioni in alta montagna, esse riguardano in principal modo la produzione delle patate e della segala di meritata rinomanza. In altre zone sono estesissime le coltivazioni di legumi anch’essi ricercatissimi.

Nelle colline è in prevalenza l’olivo e a mezza costa la vite. Gli oli sono molto rinomati per il loro gradevole sapore e vengono raffinati naturalmente senza ricorrere a speciali trattamenti. Centri di olivicoltura sono le basse falde del Matese, come l’Alifano e le zone d’Isernia, Cerreto e Pontelandolfo. Alcune zone vitate danno uve speciali, come la “Bombini” e la “Pergolani” di Roccamandolfi, la cui produzione sorpassa i duemila quintali l’anno e si esporta all’estero in speciali cestini; nonché vini, anch’essi speciali come il “Ciprigno” e il “Barbera” di Castelvenere, il “Malaga” di Sanframondi, il “Solopaca” di Telese, S. Salvatore e S. Lorenzello, il “Pallagrello” di Piedimonte e Capriati ecc., vini gradevolissimi, deliziosi, robusti, che vanno dal rosso cupo al giallo ambrato, dal rosa delicato al rubino brillante.

La coltivazione della frutta, tra la collina ed il piano, è anche essa fiorente. Un tempo però la frutta era notevolissima, specie in Piedimonte, ricercata da Principi e Sovrani. Infatti il paese ne forniva la Casa Reale Borbonica, come risulta da un editto di Ferdinando IV in data 30 Marzo 1775, inciso sopra un marmo, murato presso una casa colonica sulla strada interprovinciale per il Matese, di proprietà Scorciarini-Coppola (già Pertugio), e come si rileva da alcuni componimenti poetici di scrittori pedemontani facenti parte dell’Accademia del Capraio, fondata nei primi anni del Secolo XVIII da Francesco Carafa, Principe di Colubrano.

La coltivazione del frumento, invece, viene fatta ovunque, anche in parecchie zone di montagna, ma estesamente nelle pianure, come nell’agro telesino e nella piana alifana che risale, lungo il corso del Volturno, fino a Capriati. Da qualche tempo si nota anche un notevole incremento nella produzione e qualità del frumento e il Governo Nazionale, nei passati concorsi per la Battaglia del Grano, volle perciò premiare, con vistose somme, due benemeriti agricoltori matesini: il Cav. Amedeo Pacelli di S. Salvatore Telesino ed il compianto Dott. Angelo Scorciarini-Coppola di Piedimonte.

Di piante alimentari si hanno in tutti i terreni irrigui. La più estesa coltura è quella dei cavolfiori. Si coltivano pure largamente broccoli, cavoli-cappucci ed altre specie similari, in gran parte esportati.

Oltre gli ovini, nei quali si notano buone pecore di sangue spagnolo (merinos) ed affini, si ha, in tutto il Matese, un considerevole numero di bestiame vaccino, sì che ciascun paese possiede la sua scorta sia per la lavorazione dei campi che per l’alimentazione pubblica.

Buona parte del sottosuolo, poi, è ricca di acque minerali, come nei territori di Telese, Pratella, Ciorlano, Fontegreca, Ailano, S. Massimo e Pontelandolfo. Ma oltre di acque, il sottosuolo è ricco anche di altri minerali, specialmente di bauxite, di cui si sono individuati banchi regolari dello spessore di oltre due metri e per una lunghezza di venti chilometri, nonché di pirite che si rinviene nelle zone argillose. Vi sono altresì banchi di micascisto, di gneiss e di quarzo, e copiosi giacimenti di manganese, specialmente nel gruppo del Miletto, e di lignite nel territorio di S. Polo. Giacimenti di torba si rinvengono nel Comune di Morcone ed in quasi tutte le valli. Gli altri minerali, pirite e bauxite, trovansi nei territori di Cusano, Pietraroia, Faicchio, S. Gregorio, Piedimonte, ecc.

In quanto alle industrie sono prevalenti quelle dei carboni, dei formaggi, dei laterizi, della lana, del ghiaccio, dei coltelli, dei merletti, delle coperte a trapunto, ecc. ma sono le così dette “piccole industrie”. Le “grandi industrie”, invece, quelle capitalistiche, sono limitate, ma importantissime, e riguardano la confezione della carta, delle tele, della pasta e la produzione dell’energia elettrica.

La carbonizzazione del legno è largamente praticata in tutti i boschi non castagni, giacché i castagni vengono utilizzati soltanto come legname. L’industria procede dappertutto con i metodi consueti della formazione delle cataste (catozzi) all’aria aperta, in cui si determina la combustione iniziale del legname, che si arresta allorché lo stesso è ridotto a carbone ardente. Le essenze che si impiegano sono il faggio, la quercia-rovere, il cerro, la farnia, l’elce, il carpino ed il frassino.

Le lane vengono lavorate e trasformate nei luoghi stessi di produzione, principalmente nel Boianese, ove quasi tutte le famiglie sono provviste di telai. Il ghiaccio e le coperte a trapunto (imbottite) si confezionano a Piedimonte, i merletti a Letino, i mobili artistici a Sassinoro e i laterizi a Cerreto Sannita e nell’agro telesino. In Isernia si confezionano pregevoli lavori di “tombolo”, che si diffondono in tutta Italia.

L’industria casearia è bensì sviluppata, ma la lavorazione viene fatta con sistemi primitivi. Si producono ottimi formaggi (caciottelle, caciocavalli, provoloni, scamorze, ecc.) senza che la lavorazione avesse i caratteri della vera industria.

La “grande industria”, come dicevamo, è sviluppata soltanto in pochi centri, come Isernia, San Massimo, Prata Sannita e Piedimonte d’Alife.

In Isernia sono numerosi gli stabilimenti di paste alimentari, ottime ed igieniche. Si può dire che Isernia viva sulla industria delle paste, anche perché queste vengono esportate in Inghilterra, in Oriente ed in America.

In Piedimonte d’Alife l’industria della carta viene esercitata su vasta scala dalla Società Cartiera Martino e C. Nel modo come è attrezzata questa cartiera, azionata a forza idraulica, potrebbe confezionare qualsiasi specie e quantità di carta. Ma data la larga richiesta, limita la sua attività alla sola carta-paglia ed a quella di imballo, che esporta nelle Colonie, a Malta ed in Egitto.

La Società Manifatture Cotoniere Meridionali entra nel vivo quadro della vita economica di Piedimonte coi suoi grandiosi stabilimenti di telerie, il cui impianto ebbe inizio nel 1813 da parte di un industriale svizzero, Gian Giacomo Egg. Poi passò in proprietà alla Ditta Berner, indi alla Società Cotonifici Riuniti di Salerno ed in ultimo alle Cotoniere Meridionali. Gli articoli che in prevalenza si producono sono quelli denominati “Domestic”, “Cabota” e “Tessuti pesanti”, grandemente ricercati e che vengono esportati, i primi, in Turchia, Albania, Slovacchia e Iugoslavia, i secondi nella Colonia Eritrea ed Etiopia, e gli altri nel Marocco Francese. La produzione degli articoli è di metri trentamila al giorno, e, per essere più precisi, di otto milioni di metri l’anno. Gli stabilimenti sono azionati a forza idraulica ed hanno una propria centrale elettrica a scopo d’illuminazione e di riscaldamento. Circa settecento operai sono impiegati nella lavorazione.

A S. Massimo l’energia elettrica viene generata dalla utilizzazione delle acque del piccolo Lago di Campitello, messo in valore prima dal Cav. Di Pietra, poi dalla Società Molisana per le Imprese Elettriche.

La centrale sviluppa dai sette agli ottomila HP, e fornisce l’energia a cinquanta paesi del Molise.

Prata Sannita produce anch’essa energia elettrica utilizzando le acque del Lago di Letino, incanalate in una condotta forzata. Le acque avendo origine dalla diga del lago stesso, entrano in una galleria attraverso il Monte Cappello e, sboccando ad ovest di questo, scendono con un tratto di metri 1700, alla Centrale di Prata, ove sviluppano una potenza di undicimila HP. Proprietaria di questo impianto è la Società Meridionale di Elettricità. Esso è collegato a quello di Piedimonte di cui è sussidiario.

L’impianto di Piedimonte, conosciuto col nome di “Impianto Matese”, è pure della stessa Società. È costato oltre cinquanta milioni. Dopo quattro anni di lavoro, l’impianto entrò in regolare servizio nel 1922. Esso sfrutta le acque del Lago Matese che vengono utilizzate in due salti successivi, uno posto in Val Paterno, l’altro giù in Piedimonte, alle falde del Monte Cila, per una caduta utile totale di 800 metri, e integra gli altri della stessa Società. Dà circa 60 milioni di KW annui, con una potenza massima nella prima fase di 24 mila HP elevabili in una seconda a 48 mila.

Le acque del lago entrano in una galleria forzata, scavata nella roccia, della lunghezza di due chilometri e mezzo, e s’immettono in una condotta, anch’essa forzata, del primo salto (Val Paterno) contenente due gruppi idroelettrici della potenza di 14600 HP. Defluiscono poi in un canale derivatore lungo tre chilometri, contenente i cavi a diecimila volts, che trasportano l’energia alla Centrale di Piedimonte. Un’altra condotta forzata trasporta le stesse acque del Lago a quest’ultima centrale, ove sono altri due gruppi idroelettrici della potenza complessiva di 10 mila HP. L’energia viene infine trasformata, elevandosi il potenziale a 64 mila volts.

Da questo impianto partono due linee, una per Napoli lunga 70 chilometri, l’altra per Benevento lunga 50. Con gli impianti Sila e della trasmissione a 150 mila volts Sila-Puglia, questa linea è allacciata all’altra Foggia-Bari lunga circa 130 chilometri. Il trasporto di forza Matese-Puglia, così risultante, è lungo circa duecentosettanta chilometri.

Il commercio delle derrate e dei prodotti industriali matesini è strettamente connesso alle vie ed ai mezzi di comunicazione. Laddove queste vie e questi mezzi esistono, ivi il commercio è più fortemente sviluppato e maggiore è il vantaggio che ne risente l’economia pubblica. Ma se è vero che vi sono strade che allacciano col piano i paesi della montagna, è altrettanto vero esservene di quelle prive di celeri mezzi di trasporto, giacché poche sono le linee automobilistiche e limitate le reti ferroviarie, come a Telese, Sepino, Boiano, Isernia e Piedimonte. Alcune strade di allacciamento sono incomplete, come quella di Gallo e manca una strada tra San Massimo e Roccamandolfi, come un prolungamento Gallo-Roccamandolfi di capitale importanza commerciale.

L’interprovinciale per il Matese (Piedimonte-Guardiaregia-Campobasso), che giunge ora fino a Piano Maturi, lascia sperare in un risveglio commerciale, perché essa, tagliando netto il cuore del massiccio, abbrevierà la distanza tra Campobasso e Napoli. Le speranze non sono infondate, poiché di questa utilissima strada se ne avvantaggeranno immensamente non poche industrie, come la casearia, agraria, mineraria, turistica ecc., come se ne avvantaggerà lo Stato Maggiore Militare pel suo carattere strategico.

Con questi rilievi nei riguardi della questione stradale e commerciale non devesi intendere che il Matese sia addirittura fuori la grazia di Dio. Se il commercio non è grandemente sviluppato; se le strade non sono del tutto complete e sufficienti ai bisogni, se i mezzi di comunicazione sono ristretti, purtuttavia al Matese è riservato il più promettente avvenire economico, tale insomma da sfatare anche la credenza che cioè la montagna sia sinonimo di povertà. Il Matese – che comincia a richiamare correnti turistiche per le sue eccezionali bellezze, per le sue opere d’arte, per le sue industrie e per il suo folclore – si è già iscritto nel quadro delle forze vive e produttive della Nazione. Il che, come si è visto, non è una esagerazione.

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