Luigino De Cesare

Giuseppe Terranova

LUIGINO DE CESARE:

VICENDA TERRENA DI UNA STORIA SOLITARIA

(in Narrazioni, vol. 3, num. 1, marzo 2001, pp. 73-74)

On deoi jilousin apodnhskei neos

Muor giovane colui ch’al cielo è caro

Menandro

Poggiato alla sua grossa moto fissava il lontano orizzonte dirigendo alternativamente lo sguardo in un ampio spazio, quasi a voler individuare qualcosa che non riusciva a scorgere. Mi avvicinai e gli chiesi cosa volesse discernere con tanta attenzione. Mi fissò con sguardo incerto e pensieroso e non seppe dare una risposta alla mia domanda. Cercai di parlargli rivolgendogli qualche frase di circostanza, che ora non ricordo, ma egli sembrava seguirmi a fatica, come assorto in reconditi pensieri dei quali non riuscivo ad intuire la natura. Improvvisamente inforcò la sua moto, mi salutò bruscamente e con una sonora sgommata si avviò a velocità sostenuta verso una metà ignota sia a me sia a lui. Scossi il capo e restai a riflettere su quello strano comportamento.

Luigino era fatto così: a volte sembrava essere improvvisamente dominato da un impulso misterioso ed irresistibile che lo costringeva ad andare, a muoversi freneticamente, come un uccello migratore al momento della migrazione.

Luigino era figlio di un mio lontano parente e di una signora di una buona famiglia del vicino comune di Sant’Angelo d’Alife. Era venuto al mondo quando i genitori erano già piuttosto attempati, motivo per cui era rimasto orfano in tenera età e viveva ormai solo nella grande casa paterna, non avendo altri familiari con i quali condividere la sua difficile esistenza. Dicono le cronache da piccolo Luigino avesse un carattere del tutto indipendente e ribelle, per cui era croce e delizia dei deboli genitori e soprattutto della vecchia zia Vittoria, che lo assistette per il periodo iniziale della sua vita e venne anche lei a mancare quando egli era ancora poco più che un bambino. Rimasto completamente solo, senza una propria famiglia, il carattere di Luigino assunse connotazioni di timidezza che lo portarono ad estraniarsi e ad evitare contatti con il prossimo. La solitudine fu per sempre la sua naturale compagna ed egli cercava un compenso alle proprie frustrazioni con comportamenti a volte stravaganti ed apparentemente incomprensibili.

Trovò lavoro alle dipendenze del Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano: l’attività lavorativa ed i conseguenti contatti con altre persone sembravano stemperare in qualche modo l’introversione del suo carattere e Luigino si aprì, infatti, ad una maggiore socievolezza e ad un’accresciuta disponibilità all’incrocio sia con i suoi coetanei che con le persone più adulte. Ciò nonostante le note predominanti del suo carattere gli impedirono di concepire una normale collocazione della sua vita affermativa nel contesto di un naturale vincolo matrimoniale che, solo, avrebbe potuto condurlo ad una definitiva, interiore normalizzazione. Fu solo da fanciullo e solo volle per sempre restare. Unico temperamento alla sua solitudine fu compagnia di una vicina famiglia di brave persone che di lui ebbero cura nei limiti del possibile e vigilarono, sia pure a distanza, sul suo precario stato di salute. Luigino, infatti, già da qualche tempo era affetto da disturbi cardiaci di notevole gravità ed inutili furono i continui consigli e gli incitamenti, anche di parenti medici ad aver maggiore cura della sua salute, ad eseguire i necessari accertamenti clinici ed a sottoporsi alle terapie ed agli eventuali interventi chirurgici che si fossero resi indispensabili. Credo che l’apparente indifferenza per il suo stato di salute fosse in realtà determinata da una soglia di paura che egli non riuscì mai a superare. Cioè fece maturare in Luigino un’intima e funeste rassegnazione che lo portò ad accettare, ancora giovane, l’eventualità non infondata di una fine prematura. Ultimamente, peraltro, l’acuirsi dei propri disturbi e l’innato istinto di sopravvivenza lo avevano determinato ad affrontare l’indispensabile intervento chirurgico, già da troppo tempo pronosticato, ed a tale scopo aveva recentemente preparato quanto necessario per un imminente ricovero presso un ospedale di Salerno. La sua decisione è purtroppo risultata tardiva: un infarto lo ha stroncato, a soli 46 anni, nella mattina del 13 febbraio.

Mentre scrivo queste brevi note mi opprime un senso di angoscia, quasi di rimorso, sia pure incolpevole, per la mia impotenza a fare qualche cosa di utile per questo mio parente così sfortunato che dalla vita non ha ricevuto soddisfazione alcuna, soddisfazione che certamente sarebbe stata giusta mercede per un animo sensibile e buono quale era quello di questo caro scomparso.

Caro Luigino, il tuo ricordo resterà sempre costante in ognuno di noi ed io t’immaginerò sulla tua inseparabile moto mentre percorri ad alta velocità le celesti ed interminabili autostrade del cielo prive di ostacoli e di curve pericolose. A sera ti scorgerò a cavallo di un raggio di luna mentre ci scruti con il tuo sorriso scanzonato, finalmente pervaso dall’eterna felicità.