In labore requies

In labore requies,

in aestu temperies,

in fletu solatium.


Le immagini che ritrova l'autore del carme sono prettamente umane, direi terrestri, ed hanno una semplicità quasi biblica: ridurre il difficile alle possibilità di comprensione di tutti è opera intelligente che richiede buone capacità di cultura, di elaborazione e di sintesi. bisogna prima di tutto avere idee chiare sulle cose di cui si vuol trasmettere la conoscenza e poi saperle ridurre in confronti sapienti al linguaggio comune. In genere, la semplificazione è sempre una grossa fatica, ma una volta fatta produce consistenti effetti, riduce ai minimi termini, quelli più accessibili, le complicazioni dell'esistere e dà fiducia rinnovata di poterle affrontare e risolvere in maniera più agevole. Le figurazioni dello Spirito son prese allora dalla quotidianità della vita dell'uomo e si toccano: diventano strumenti di pacificazione interiore in quanto danno la possibilità di rendersi conto di fatto dei beni che produce rimettersi alla volontà del Padre.

Il labore requies: chi non misura l'utilità della pausa ristoratrice nel lavoro di ogni giorno, spossante, ripetitivo, monotono? Riposo nella fatica. la punizione per la superbia e la disubbidienza dell'uomo viene data da Dio all'alba dei tempi. «Poiché hai ascoltato la voce della tua donna, ed hai mangiato il frutto che ti avevo comandato di non mangiare, maledetta la terra del tuo lavoro; tra le fatiche ne ricaverai il nutrimento in tutti i giorni della tua vita; ti germoglierà triboli e spine, e ne mangerai l'erba. Col sudore della tua fronte ti procaccerai il pane, fino a quando tu ritorni alla terra dalla quale sei stato cavato, perché polvere sei, ed in polvere tornerai». Ma poi il Padre manda lo Spirito, in labore requies.

I versi della quarta strofe continuano ad essere, come quelli della terza, apposizioni del Paraclito e queste si agganciano tutte a momenti distintivi della quotidianità della condizione umana. Stamani il mare è tranquillo, fa tonfi sordi sotto, li percepisco nella chetezza del mattino di fine agosto, indorato da un sole caldo. Non c'è gente: poche persone, un silenzio, una pace. Al mio ombrellone, a qualche metro dal bagnasciuga, m'immergo nella natura on la mia solitudine, e vi trovo riposo. Ti ringrazio, Signore, per tutto ciò che mi doni, la vita, tutto il resto e questo momento d'incanto. La quiete, il riposo nel lavoro. L'immagine si ritaglia subito nella mente, biblica, la fatica del procacciarsi il pane, il sudore della fronte, e il pensiero mi porta in campagna, al contadino che vanga, in paese, al muratore che porta le pietre, in montagna, a chi taglia la roccia o butta a terra gli alberi.

La fatica, anche se non è così pesante; e non lo è più manco per le figure ritagliate perché la tecnologia ha sgravato l'uomo dall'eccessivo impegno fisico, è sempre dura e stanca. Il riposo, quindi, risulta ognora benefico e risollevante. Che allo Spirito si colleghi l'immagine della quiete dopo il lavoro è una rappresentazione di effetto che trova buon riscontro nella quotidianità dell'esistere. E di più fa immediata l'idea della similitudine del verso successivo. In aestu temperies. Nella calura dell'estate, quando il solleone ha le sue fauci infuocate tutte aperte, giova assai un po' di fresco, una temperatura giusta, conveniente, moderata. Le parole mandano ancora la mente di chi scrive, e forse anche di legge, con immediatezza all'ombra di un albero frondoso in campagna durante la lavorazione dei campi in piena stagione estiva: d'altra parte, quando si compone il carme, la fatica della terra sotto il sole battente è quasi di tutti e l'estate è sinonimo di caldo afoso.

Torna il discorso sulla quotidianità presa a metro del canto e sulla voluta semplicità del linguaggio per similitudini per dare efficacia alla comunicazione che si vuol trasmettere. Quando par che non ci sia il fiorellino lilla che offro al mare ogni mattina a ricordare mia moglie, ne spunta uno dal cespuglietto più alto della roccia e mentre lo colgo una lucertola mi passa sulla mano. Ne dico al mio amico vecchio contadino che col mare fa compagnia ai suoi giorni di quasi centenario a riposarsi delle infinite calure sofferte, e la risposta che ne ho è rassicurante: porta fortuna. Dopo la paura di non trovare il fiore, solo una volta mi è capitato questa stagione, la buona sorte della tradizione contadina.

Piccole cose son queste, la piccola paura e il buon augurio ma nei dovuti rapporti sono in parallelo con la durezza e l'ansia della fatica cui fa ristoro l'ombra dell'annoso arbusto frondoso piantato sul ciglio della strada. Spirito di Dio, tu sai bene che le cose si misurano piccole e grandi a secondo di come le prende l'animo dell'uomo. Temperies. Se si fa buona riflessione, potrebbe dirsi che non c'è molto stacco tra i primi due versi e il terzo di questa strofe: in fletu solacium, che mi sembra più vicina alla nostra traduzione comune: consolazione. Entra in gioco il dolore dell'uomo: in fletu. In una parola si stampa la condizione umana nella sua impronta più marcata, la sofferenza. Anche qui l'immagine è presa dalla vita comune: nel pianto. Anche qui il senso traslato ha risvolti di ordine intellettivo e volitivo carichi d'impegno. Però, qui la presa è sul dolore dell'uomo, il centro dell'essere intorno al quale si dispiega l'esistere: una punizione data da Dio, ma grande come sa fare nella sua onnipotenza.

È la presenza del male nel mondo, la quale è un rischio pure per la fede. Lo si scrive nel Catechismo. La fede, luminosa a motivo di colui nel quale si crede, sovente è vissuta nell'oscurità. la fede può essere messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza: le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano contraddire la buona novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione. È il problema del male, che è all'origine del dolore dell'uomo. Da dove viene il male? Se lo chiedeva sant'Agostino, ma «non erat exitus». la sua sofferta ricerca troverà sbocco nella conversione al Dio vivente. Il mistero dell'iniquità si illumina soltanto alla luce del mistero della pietà. la rivelazione dell'amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l'estensione del male e la sovrabbondanza della grazia. Dobbiamo, dunque, affrontare la questione dell'origine del male tenendo fisso lo sguardo della nostra fede in colui che, solo, ne è il vincitore.

Allora tu, Spirito di Dio, in questo senso sei il conforto. Ma l'immagine, presa dalle cose visibili, ovviamente è sbiadita, perché a fronte del male, il più grosso problema dell'uomo, ci sei tu con la tua grazia, tu che non sei solatium, ma sei vita, il signore della vita, sei tutto, il risolutore del travaglio interiore della creatura fatta ad immagine e somiglianza del creatore ma dal suo creatore distaccata dal male, sei il riconciliatore del figlio con il Padre, sei il datore della vita eterna.