Mancini_L'infante di Spagna a Raviscanina

Nicola Mancini

L’INFANTE DI SPAGNA A RAVISCANINA

(in Raviscanina – Ricerche storiche, pp. 105-106)

Intanto in Europa, e particolarmente in Italia, si stavano verificando importanti mutamenti politici che avrebbero interessato il Regno di Napoli. Il primo si ebbe in Toscana, dove il Granduca Gian Gastone, senza eredi, adottò ed indicò suo successore Carlo di Borbone, figlio di Filippo V, re di Spagna, e di Elisabetta Farnese. Perciò il 3 febbrai 1732 Carlo, allora appena sedicenne, entrò in Firenze, acclamato duca di Parma e Piacenza e Gran Principe di Toscana, mentre Spagna e Francia gli promettevano altri territori italiani[1].

Si riferivano al Regno di Napoli, finito in mano agli Austriaci con l’ultima guerra di successione. E proprio un altro conflitto europeo, scoppiato in quei giorni per il trono di Polonia, offrì a Filippo V l’opportunità di riconquistare, per suo figlio, quanto perduto nel 1707. Infatti, nel febbraio del 1734, Carlo di Borbone, Infante di Spagna, lasciò Firenze alla volta di Napoli con trentamila uomini comandati dal generale Montemar. Contro gli Spagnoli si mosse il generale austriaco Traun, che da Napoli corse vero Mignano per bloccare l’invasione. Ma il tentativo fallì perché Montemar aveva già occupato quelle strette gole che l’austriaco aveva scelto per la resistenza.

Il Traun dovette perciò ritirarsi, mentre l’Infante proseguiva la sua marcia per fermarsi a Vairano. Qui il Montemar decise di superare il Volturno alla Scafa di Raviscanina, allo scopo di aggirare il nemico che, per impedirgli il passaggio del fiume, lo attendeva a Capua. Il traghetto avvenne il 5 aprile, probabilmente nella tarda mattinata. Il re e la corte alloggiarono a Rocca Canina. L’esercito accampò a S. Angelo. E dal campo di S. Angelo, in quel giorno 5 aprile, fu diretta alla città di Napoli una lettera firmata dall’Infante duca, nella quale si domandava un pronto atto di sottomissione[2].

È facile immaginare con quali festeggiamenti e con quanto entusiasmo dovette essere accolto l’illustrissimo personaggio, ma non si può stabilire con certezza dove presero alloggio Carlo e la sua corte. Indubbiamente dovettero essere ospiti dei cittadini più ricchi di Raviscanina, perché essi soli potevano offrire abitazioni abbastanza comode e spaziose. Perciò è molto probabile che l’Infante abbia passato la notte in Via Casabotta, presso la famiglia Pollastrino, mentre la corte si divise tra le altre famiglie più agiate del paese[3].

Il giorno dopo tutti partirono per Piedimonte, dove l’Infante tenne consiglio di guerra. L’indomani riprese la sua marcia che terminò il 10 maggio a Napoli, dove, col nome di Carlo III, governerà saggiamente per venticinque anni.

[1] Al momento dell’adozione, Carlo era già duca di Parma e Piacenza, territori che gli venivano da parte della madre. Il trono di Spagna, invece, sarebbe toccato a Ferdinando, suo fratello maggiore.

[2] M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Napoli, 1923. La lettera di cui fa menzione lo Schipa era conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli, ma è andata distrutta durante l’ultima guerra mondiale.

[3] Dal Catasto Onciario del 1743 Giovan Camillo Pollastrino risulta essere, di gran lunga, il più ricco del paese, con una rendita annua di 240 ducati. Abitava con sette familiari, tra cui il figlio Pietro Filippo, regio giudice, nella vecchia casa dei Botti, oggi di proprietà de Cesare.

Avrebbero potuto ospitare una parte della corte Costantino Mancini, abitante in Via Torre; Carlo Iannucci alla via Rave (oggi via Roma); il dottore in legge Nicola di Rao, alla via Piana; Ferdinando De Sisto, abitante in Piazza col fratello, rev. don Biagio. Tuttavia sembra strano che l’Infante e la corte non abbiano preso alloggio a S. Angelo, nel palazzo baronale dei Grimaldi, certamente molto più adatto e confortevole della sistemazione trovata a Raviscanina.