vi adoro dall'abisso del mio niente

7 - vi adoro dall'abisso del mio niente,

La casta adorazione dell'amore, così vorrei che fosse la mia ado­razione a te, Dio uno e trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, e immer­germi nel tuo dinamismo trinitario, io, niente, ma figlio, redento da Cristo e invaso dalla pienezza caritativa dello Spirito. Non sacrificare agnelli o colombe, ma portare corone di fiori ed erbe profumate, non consumare incenso sul tuo altare guardando te però per cercare altri, ma per darti compiutamente il nulla che sono, infinitesimo del pulvi­scolo cosmico che metti in circolo nella tua bontà infinita. Pure Alfonso dice il niente, l'abisso del suo niente, ma è la figurazione estremizzata dell'esistere dell'uomo povero in via con il cuore sfilac­ciato dalla nostalgia dell'esilio dell'eterno per cui è fatto, dalla consa­pevolezza della sua impotenza, dai limiti della sua finitezza..

Niente sì, ma tua creatura, l'infinitesimo che ti gira attorno, ormai messo nel fluire del tutto e ineliminabile. Di questo nulla, di questo poco che sono le ragioni dell'essere sono tutte nella tua glori­ficazione. Per questo, dall'abisso del mio niente, cioè dal profondo di quel poco che sono, il punto di minimo della vita dell'uomo, adoro te, l'immenso, e mi avvolgo nel turbinio del tuo amore immisurabile. Quant'è del mio esistere che è nelle mie mani? Quasi nulla, poco, e quel poco pure bacato. Ma ci sono e sono intoglibile dal giro della vita, un punto a segnare il passaggio tra due punti vicini, il prece­dente e il susseguente, degli infiniti impalpabili punti della linea, il cerchio che hai tracciato il giorno della creazione.

L'adorazione, secondo il Catechismo della Chiesa, è la disposi­zione fondamentale dell'uomo che si riconosce creatura davanti al suo creatore. Essa esalta la grandezza del Signore che ci ha creati e l'onnipotenza del salvatore che ci libera dal male. È la prosternazio­ne dello spirito davanti al re della gloria e il silenzio rispettoso al cospetto di Dio sempre più grande di noi. L'adorazione del Dio tre volte santo e sommamente amabile ci colma di umiltà e da sicurezza alle nostre suppliche. È, dunque, l'atto principale della virtù della religione: adorare Dio è riconoscerlo come Dio, creatore e salvatore, signore e padrone di tutto ciò che esiste, amore infinito e misericor­dioso. L'adorazione a Dio è il riconoscimento, nel rispetto e nella sot­tomissione assoluta, del nulla della creatura, la quale non esiste che da Dio. Più m'immergo nella pienezza, di Dio, più mi affondo nell'a­bisso della mia umanità, cioè del mio niente, perché niente sono senza Dio. Tanto valgo per quel che valgo davanti agli occhi di Dio.

L'espressione usata da Alfonso Maria de' Liguori, l'abisso del mio niente, è indicativa della virtù del santo certamente, ma di più del­l'altezza della sua preghiera di adorazione. L'umiltà è il fondamento della preghiera, ma è pure la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera. Agostino di Tagaste con l'acu­me del suo intelletto e con la capacità di sintesi della sua comunica­zione, dice l'uomo un mendicante di Dio. Sì, io ti adoro, Dio, e chie­do l'elemosina del tuo amore infinito. Ho scritto che vengo a trovarti nella solitudine umana e divina delle specie eucaristiche, non so che chiederti e mi soddisfa solo il vederti; riprendo Paolo, che ai romani confessa: nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare. Ma ora mi faccio coraggio e chiedo il tuo amore infinito. Quanto com­muove per la bellezza della sua semplicità Teresina di Lisieux: per me la preghiera è uno slancio del mio voler bene, è un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore nella prova come nella gioia.

La preghiera è l'antenna che rende efficace il mio rapporto inti­mo e personale con il Dio vivo e vero. La mia è richiesta di miseri­cordia. Me ne sono andato dalla tua casa e manco ho per me le car­rube che mangiano i porci, a me affidati in custodia mentre pascola­no nei campi. Ma ti dico: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Mi corri incon­tro e fai festa: questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era per­duto ed è stato ritrovato. Lo dice Cristo, il messia: ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. Il segno vivente della misericordia di Dio è l'eucaristia: il sacrificio del Figlio che si rinnova e si mantiene con la sua presenza in carne ed ossa nelle specie consacrate del pane e del vino. Non è l'eucaristia il banchetto aperto al figliuol prodigo e a quanti riconoscono la divina misericordia?

Leggo qui, davanti a te, Signore nel tabernacolo, la parte centra­le, breve ma ora utile alla mia riflessione, del primo capitolo della prima lettera di Paolo di Tarso a Timoteo: Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta. Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho otte­nuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua longanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Mi crea tumulto nell'anima, questa lettura: si affastellano l'una sull'altra le idee che mi derivano dalla riflessione sui sostanziosi con­tenuti che si esprimono in poche battute e con tanta efficacia, in que­sta parte delle confidenze paoline a Timoteo. Non so strutturarle, queste idee, in proposizioni bene ordinate da presentare a te come preghiera. Sto zitto, come sempre, e ti guardo; ma presento a te, lo metto qui ai tuoi piedi, sui gradini dell'altare davanti al tabernacolo, tutto il fascio dei pensieri che mi son venuti dentro. Mi basta vederti, lo sai bene. E nel cumulo delle ansie che metto ai tuoi piedi ci sono quelle che mi urgono dentro per gli altri. Qui, con te, faccio sempre comunione, lo sai, con tutta la mia Chiesa, con tutti gli uomini del mondo per i quali sei venuto a morire e a proclamare dall'infinita grandezza del tuo sacrificio sulla croce il regno dell'amore.