Piedimonte_25

Cap. XXV

AGRICOLTURA E ZOOTECNIA

(pp. 243-248)

CASSA DI RISPARMIO – Prima ancora che altrove fossero conosciute o si fossero sviluppate le svariate forme di previdenza sociale, sorse la nostra Cassa di Risparmio. Ebbe inizio nel gennaio del 1868. Il Decreto del 9 febbraio successivo ne approvò lo Statuto organico e il 14 marzo venne inaugurata.

Il capitale di fondazione fu di sole L. 2550.00, supero di una pubblica sottoscrizione fatta nel 1857 in occasione dell’inondazione di Piedimonte, già destinato per un Monte Pecuniario che non ebbe mai vita. Nel 1867, su deliberazione del Consiglio comunale, la cennata somma, già inoperosa ed infruttifera, venne investita per l’impianto della Cassa di Risparmio. Aumentata dagli utili annuali raggiunse, a 31 dicembre 1890, lire 42,946,90.

La Cassa è retta da un Consiglio d’Amministrazione eletto dal Consiglio comunale. La tutela e la vigilanza, prima tenute dal Municipio, vennero demandate alle autorità governative. Al Consiglio comunale spetta l’esame e l’approvazione delle deliberazioni relative ai Regolamenti interni, al tasso degli interessi attivi e passivi, e al resoconto amminstrativo.

Questo Istituto concorse all’Esposizione di Torino del 1884 e fu premiato con Medaglia d’Argento del Ministero di A. I. e C. Ogni anno eroga somme in favore di opere di beneficenza ed in premio ai più solerti depositanti.

Un concittadino che ha dato continuo incremento all’Istituto è stato il compianto Grande Uff. Nicola Ventriglia, che ne fu Presidente fino al 1905. Lo sostituì, per la sua infermità, il Conte Luigi Gaetani dal 1906 all’ottobre 1908. Dopo del Gaetani ci fu la Presidenza del Cav. Avv. Francesco Ventriglia dal 1909 al 1917. Dal 1918 ne è Presidente il Comm. Avv. Girolamo Masella.

Il capitale patrimoniale della Cassa al 31 dicembre 1924 è stato di L. 256,477,83.

Il nostro Istituto è tra i più accreditati delle Provincia, ed ha goduto e gode meritatamente la generale fiducia.

BANCA POP. COOP. DEL MATESE – Con scopi diversi venne fondata nel 1885 la Banca Matese su iniziativa dell’On. Angelo Scorciarini-Coppola e di altri. Ebbe un capitale iniziale di L. 18,625,00 su 745 azioni sottoscritte di L. 25,00 ciascuna. L’istituto ebbe ben presto agio di svilupparsi e di affermarsi nel campo commerciale, e per i piccoli prestiti che faceva riuscì a debellare in gran parte l’usura privata. Diede efficace impulso all’agricoltura locale e circondariale, fornendo ai contadini non soltanto il credito agrario, ma altresì macchine e concimi chimici, attraverso i Consorzi Agrari.

Venticinque anni dopo la sua fondazione emise una nuova serie di azioni, per cui oggi esse sommano, in complesso, a 4311.

Conseguì nel 1890 il Diploma d’Onore all’Esposizione di Torino e la Medaglia di bronzo a quella di Parigi nel 1900.

Nel 1908, ad opera di alcuni impiegati, subì un ammanco di L. 101.000.00, che venne in gran parte, o quasi tutto, reintegrato dai funzionari dirigenti.

La Banca è amministrata da un Consiglio, eletto dall’assemblea dei soci, sotto il controllo di tre Sindaci. Hanno presieduto il Consiglio, successivamente i signori Romagnoli Avv. Cav. Pietro, Caso Cav. Michele, D’Agnese Cav. Ercole, Imperadore Cav. Luigi, Vitale Rev. Prof. Giacomo e Ventriglia Cav. Avv. Francesco. Al presente n’è Presidente l’Avv. Raffaele Rossi fu Carlo.

Il capitale patrimoniale a 31 dicembre 1924 ascende a L. 107.775.00.

Anche la Banca Matese, malgrado l’ammanco surricordato e la concorrenza di Istituti congeneri, gode la generale fiducia.

ALTRI ISTITUTI DI CREDITO – Durante e dopo la guerra mondiale furono istituite in Piedimonte le sedi dei seguenti Istituti: Banca Italiana di Sconto, Banco di Napoli, Banca Italiana di Credito e Valori, e Banca Commerciale di Terra di Lavoro. Dopo il fallimento della Banca Italiana di Sconto, la sede dipese dalla Nazionale di Credito, abolita a sua volta nel settembre 1922. Di recente sono state chiuse le altre sedi, pure per fallimento, meno quella dell’antico e glorioso Banco di Napoli saggiamente amministrata da solerti funzionari.

FIERA DI SAN MARTINO – È la principale e più antica fiera che si celebra in Piedimonte. Non si hanno notizie sulla sua origine. Si sa soltanto che la sua istituzione venne riconfermata con Decreto del 24 maggio 1824.

La fiera ha luogo nei giorni 10 e 11 novembre con notevole concorso di forestieri, e sua principale caratteristica è la contrattazione di animali vaccini ed equini.

FIERA DI SAN MARCELLINO – Venne istituita fin dal 1748, e riconfermata con Decreto del 1820. Si celebra nei giorni 1° e 2 giugno in occasione della festività del Patrono. Dimessa un tempo, venne ripristinata con Decreto Prefettizio del 18 novembre 1905, su proposta del Consiglio comunale.

FIERA DEL CARMINE – La sua istituzione rimonta al 1824. Si celebra nei giorni 14 e 15 luglio in occasione della festività del Carmelo. È caratteristica la contrattazione delle cipolle.

FIERA DI SAN BARTOLOMEO – Si celebra nella borgata Sepicciano la seconda domenica di settembre. Venne istituita nel Sec. XVIII, poi abolita, e circa trent’anni or sono ripristinata. In essa si fanno contrattazioni di animali vaccini.

Fiera di San Bartolomeo


FIERA DI SETTEMBRE – Non è più in uso da oltre un trentennio. Venne istituita con Decreto del 24 maggio 1824, ma dopo alcuni anni abolita. Con altro Decreto Prefettizio in data 26 maggio 1885 fu ripristinata, ma dopo qualche tempo nuovamente abolita.

FIERA DI SAN GENNARO – La troviamo in vigore già nel Sec. XVII. Si celebrava il 4 ottobre. Da due secoli circa è stata abolita e neppure tradizionalmente se ne serba il ricordo. I mercanti di lana venivano esentati da ogni pagamento doganale e di posteggio durante il suo svolgimento.

MERCATO SETTIMANALE – Il mercato settimanale risale in tempi remotissimi. Nel Sec. XVIII se ne celebravano due la settimana – il giovedì ed il lunedì – presso il Largo S. Maria Vecchia, di sopra il palazzo dei Gaetani, e nei giorni di pioggia sotto il porticato dello stesso palazza. Quando, poi, l’attuale piazza Municipio venne completata (Sec. XVIII), vi furono trasferiti imercati, donde il nome dato alla piazza. In prosieguo di tempo rimase soltanto il mercato del lunedì, affollatissimo. Vi si smerciano granaglie, frutta, verdura, ed altri prodotti terrieri ed industriali.

APPROVVIGIONAMENTI E PANIFICAZIONE – La preveggenza degli uomini preposti al Governo municipale nei tempi passati, andava al di là di ogni immaginazione, poiché dessi s’interessavano in tempo opportuno dei bisogni della popolazione. Questa preveggenza consisteva nel provvedersi, non soltanto nei paesi vicini, ma perfino in Puglia del grano occorrente, con denaro della Cassa comunale, ed, in mancanza, contraendo debiti. Nel 1764 si verificò, appunto, una mancanza di fondi, ed il Sindaco del tempo, riunendo il Pubblico Parlamento (1° gennaio 1764), informò i reggimentari di aver trovate delle persone disposte a sborsare il denaro occorrente per l’acquisto del grano, e chiese, perciò, la necessaria autorizzazione per contrarre il debito. Si concluse « che in tutti i modi – dice l’atto deliberativo – si pigliasse danaro ad interesse per comperar grano ed altre sorti di vittuaglie p. uso del Pubblico. Li grani ed altro comperando » si dovevano « ponere ne’ magazzini per dispensarsi dalli stessi » individui « che mettevano fuori il danaro... dando tutta la facoltà al d.o Mag.co Giudice e Sindaco e Mag.ci Eletti di dett’Uni. per prendere danaro ».

Col medesimo interessamento si pensava alla pubblica panizzazione. Questa non veniva fatta liberamente, come oggidì, ma per appalto. L’appaltatore, in sostanza, si obbligava di confezionare tanto pane al giorno per quanto ne occorreva ai cittadini. Mancando il pane, o smerciandone di cattivo, oppure di peso non giusto, oltre al pagamento delle multe, veniva sottoposto anche a pene restrittive. Questo sistema durò fino a tutto il mese di settembre dell’anno 1832, perché in tale epoca una ministeriale diretta al Comune ne annunziò l’abolizione col 1° gennaio 1833. Venne però continuato provvisoriamente dall’ottobre al dicembre di quell’anno.

Siccome l’appaltatore del tempo – Giovangiuseppe d’Agnese – aveva contrattata la fornitura del pane per tutto l’anno 1833, convenne il Comune in giudizio per il pagamento di un indennizzo, ed il Comune fu costretto pagargli alcune centinaia di ducati.

Dal 1833 il libero esercizio della pubblica panizzazione ha dato continue noie e preoccupazioni alle Amministrazioni comunali; anzi esso è stato un incubo costante non soltanto per la questione del prezzo, ma sopratutto per la qualità e cattiva confezione del pane.

Non è fuor di luogo ricordare la sospensione di Domenico Paterno dalla carica di Sindaco nell’aprile del 1784 in seguito ad una relazione di Giuseppe Gagliani. Dalla relazione risulta il mal governo del Paterno col lasciare piena libertà ai commercianti di vendere i generi a prezzo arbitrario.

Durante il periodo bellico si ebbero a lamentare non pochi inconvenienti di ordine agli approvvigionamenti. Il Comune figurava di ritirare dal Consorzio Granario di Caserta il grano, le farine e le paste, ma in effetto il finanziamento ed il ritiro venivano fatti dall’Ente Autonomo dei Consumi con i mezzi forniti dalla Banca Matese. Si mangiava pane antigienico, orribile, razionato e ritirato con tessera familiare. Così per la pasta, lo zucchero e altri generi.

I contadini e le famiglie cospicue si nutrivano di pane bianco, confezionato in casa, eludendo la vigilanza sull’abburattamento prescritto.

L’Ente Autonomo realizzò oltre L. 30.000,00 di utili, versati poi alla Congregazione di Carità.

FERROVIA NAPOLI-PIEDIMONTE – Dopo un breve servizio automobilistico tra Piedimonte e Caserta – istituito nel 1908, finito, poi, miseramente – il 30 giugno 1914 giunse la prima volta in Piedimonte la vaporiera. Fu un avvenimento memorabile nel quale si racchiusero le ansie ed i palpiti di oltre quarant’anni di aspettative, di lusinghe e di turlupinature. La ferrovia Napoli-Piedimonte è stata sempre il sogno della cittadinanza che, si può dire, l’ha tirata a sé a forza di sospiri!

Un’intensa commozione pervase i Piedimontesi nell’udire la prima volta il fischio della vaporiera. Una folla immensa accorse a festeggiare l’ingresso del primo treno, e con battimani fragorosi, ne salutò l’arrivo.

Questo nastro d’acciaio che unisce Piedimonte a Napoli, mentre è sembrata piccola cosa, si è palesato la spina dorsale dei nostri traffici, inariditi per le mancate comunicazioni con i paesi vicini e con quelli delle province di Caserta e Napoli.

L’avvenimento del 1914 ha fatto dimenticare tutto un passato!

Si spera, ora, venga presto elettrificato il resto della linea, da S. Maria Capua Vetere a Piedimonte.

SERVIZIO AUTOMOBILISTICO PER ISERNIA – Dal 1921 venne iniziato il servizio Piedimonte-Venafro-Isernia da parte della Ditta Vallecchi & C. Il servizio è importante perché oltre ad attraversare numerosi paesi di questo Circondario, congiunge la nostra Provincia a quella di Campobasso.

SERVIZIO AUTOMOBILISTICO PER TELESE E CAIANELLO – Venne iniziato nel 1921 dalla Ditta Ing. Giuseppe di Lullo. Lo continuò G. Ferrazza ed è ora gestito dalla Ditta Enrico Fortuna. Si è palesato effettivamente importante e di grande utilità e comodità pubblica, inquantoché unisce Piedimonte alle province di Benevento e Napoli con scalo a Telese, ed alle Province di Roma e Napoli, con scalo a Caianello, allacciando numerosi paesi del nostro Circondario, privi di altri mezzi di comunicazione.

EMIGRAZIONE – I dati statistici che riportiamo, inerenti al nostro movimento emigratorio, sono approssimativi, poiché, malgrado le diligenti ricerche negli uffici locali, non ci è riuscito averne di esatti, causa la non aggiornata tenuta dei registri.

I dati raccolti sarebbero:

Decennio 1872-1881 emigrati 571

“ 1882-1891 “ 950

“ 1892-1901 “ 1577

“ 1902-1911 “ 1446

“ 1912-1921 “ 401

Totale generale emigrati 4945.

Nei riguardi di quest’ultimo decennio occorre tener presente la circostanza che dal 1915 al 1918 l’emigrazione venne impedita causa la guerra mondiale.

Anteriormente al periodo bellico, il 90% degli emigrati fu di soli contadini.

Nel seguire la serie dei censimenti (1861-1911) va notata una notevole diminuzione nella popolazione in conseguenza, principalmente, dell’emigrazione verificatasi nello spazio di quarant’anni (1872-1911), che può calcolarsi su una media del 48%.

Le cause di questo movimento emigratorio hanno avuto riscontro: a) nelle condizioni poco liete nelle quali trovavasi la classe agricola i cui sforzi s’infrangevano contro la mancanza di capitali e per la concorrenza di prodotti esteri che paralizzavano le iniziative locali; b) nel salario addirittura irrisorio dei contadini e degli operai; c) nei prezzi delle derate, il cui ricavato non permetteva di pagare neppure il fitto dei fondi; d) nella illusione di seducenti ricchezze d’oltre mare decantate da colore che rimpatriavano; e) nel sistema tributario e nel tasso elevato della Ricchezza Mobile che colpiva la vitalità della industria agraria.

Cosicché l’emigrazione, agli effetti demografici ha prodotto diminuzione nella popolazione; agli effetti morali ha avvantaggiata la quiete pubblica per diminuzione di reati, come in altra parte abbiamo scritto; agli effetti familiari ha scosso l’organizzazione della famiglia; agli effetti economici ha dato luogo al risparmio, al miglioramento edilizio ed all’aumentato valore della piccola proprietà; ed agli effetti intellettuali ha fornito ai reduci delle Americhe un corredo di cognizioni superiore di molto a quello che essi avevano prima di emigrare.

Dal complesso di quanto esposto risulta che l’emigrazione ha evidentemente giovato al nostro paese.

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